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 2014  marzo 17 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’INCONTRO DI RENZI CON LA MERKEL


REPUBBLICA.IT
BERLINO - "Sono rimasta molto colpita dal cambiamento strutturale in Italia, è davvero impressionante". Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel nel corso della conferenza stampa tenuta a conclusione del faccia a faccia a Berlino con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. "Anche per me è chiaro - ha aggiunto Merkel - che l’Italia tiene conto della stabilità ma anche delle due componenti crescita e occupazione. So bene che l’Italia per quel che riguarda il patto di stabilità e di crescita lo rispetterà".
Quanto a Renzi, il presidente del Consiglio ha spiegato che il bilaterale berlinese "è stata un’occasione per illustrare un processo di riforme molto ambizioso e coraggioso". "L’Italia - ribadisce - deve fare le riforme perché lo chiedono i nostri figli e non i partner europei. Tutti abbiamo da guadagnare, ma l’Italia deve smettere di pensare che si fanno le riforme perché ce lo chiede Bruxelles, Berlino, noi facciamo le riforme per noi. Il governo ha come orizzonte il 2018 ma per noi le riforme devono esere fatte subito".
Si tratta, ripete Renzi, "non di misure una tantum, ma di misure irreversibili di cambiamento". "Il debito è cresciuto, nonostante l’Italia abbia avuto un avanzo primario con interventi per ridurre la spesa noi abbiamo smesso di crescere. Occorre mantenere i vincoli, fare misure strutturali, ma dentro il pacchetto occorre aiutare a recuperare la domanda interna", osserva ancora il presidente del Consiglio.
Tornando sul tema delle coperture alle misure economiche, Renzi precisa che "non c’è bisogno che le conosca Angela Merkel. Angela Merkel ha scherzato dicendo che qui non ci sono slides... Noi rispettiamo tutti i limiti che ci siamo dati, a partire dal trattato di Maastricht. L’Italia non chiede di sforare le regole, dando il messaggio che le regole sono cattive". "Le regole ce le siamo date insieme - ricorda - e sono importanti ma occorre avere la forza di investire sul grande problema dell’Italia: con le misure di questi anni il rapporto debito/pil è cresciuto al 132% perché, nonostante l’avanzo primario, il nostro problema è la mancata crescita".
Parole che hanno incontrato il consenso della cancelliera. "So bene che l’Italia per quel che riguarda il patto di stabilità di crescita lo rispetterà, non ho dubbi che le riforme potranno avere efficacia" e che l’Italia "arriverà a rispettare" i vincoli europei, dice Merkel, aggiungendo che "il bicchiero italiano è semipieno, l’Italia lavora per riempire la parte mezza vuota".
Rispondendo alle domande dei giornalisti sul jobs act, il premier italiano afferma che "la pretesa di creare posti di lavoro attraverso una legislazione molto precisa, restrittiva è fallita. Ora bisogna cambiare le regole del gioco". "Nel modello delle politiche del lavoro della Germania - chiarisce - troviamo un punto di riferimento: lo dico dopo aver visto risultati e lo dico pensando che noi abbiamo deciso subito un primo passo con un dl e un ddl".
"Da ex sindaco di Firenze - rilancia ancora Renzi - trovo che sia molto bello che il percorso che la Germania e l’Italia, grandi economie manifatturiere, hanno avviato verso un nuovo rinascimento comune europeo. Noi vogliamo essere economie competitive, non vogliamo essere un’economia che perde un’occasione con la storia".
Nell’ambito della visita del governo italiano in Germania si è svolta anche una riunione plenaria tra la delegazione ministeriale italiana (composta dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, quello dello Sviluppo economico Federica Guidi, il titolare delle Infrastrutture Maurizio Lupi, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, quello della Difesa Roberta Pinotti e la titolare della Farnesina) e quella tedesca.
In attesa della conferenza stampa congiunta, il ministro delle Finanze tedesco Wolfang Schaeuble, dopo il bilaterale con Padoan, ha diffuso un comunicato nel quale promuove l’obiettivo del nuovo governo italiano di accelerare il tempo delle riforme per aumentare produttività e crescita in Italia, ma mette in guardia da rinvii sul consolidamento delle finanze statali.
L’Italia "non è un alunno somaro da mettere dietro la lavagna",
aveva messo in chiaro il presidente del Consiglio prima di mettersi in viaggio per Berlino. Posizione sostenuta anche dal suo vice Angelino Alfano. "L’Italia - ribadisce il ministro degli Interni - è un grande paese che sa esattamente quello che deve fare". "L’Italia - insiste il leader del Ncd - ha avviato la ripresa, e siamo sulla strada giusta. Siamo un paese fondatore dell’Ue, e dunque un paese che deve contribuire a dare la linea".

IMPORT-EXPORT ITALIA-GERMANIA
[...] Per l’Italia, la salute economica tedesca rimane fondamentale. Lo scambio con la Germania costituisce il 13,1 per cento del commercio complessivo del nostro paese con l’estero: esportiamo in Germania, anche perché la Germania possa esportare a sua volta. Nonostante la crisi in Italia, la bassa produttività e i consumi interni in caduta libera, il volume dell’export italiano verso i teutoni, dopo la battuta d’arresto del 2009 (-21,6%), è tornato a crescere in modo significativo: nel 2010 del 18,8% e nel 2011 del 11,7%, per un valore complessivo di 49.348 milioni di euro. Questo dato supera perfino il massimo storico di 47.254 milioni di euro raggiunto nel 2007. Disaggregando questo numero in settori merceologici si trovano al primo posto i metalli e i prodotti in metallo (17%), seguiti da macchine e apparecchiature meccaniche (14%), mezzi di trasporto (12%), prodotti di altre attività manifatturiere (12%): non solo moda, ma chiavi inglesi e meccanica mandano in visibilio i biondi cugini.
[...] Uno studio di IntesaSanpaolo (“Strutture e performance delle esportazioni: Italia e Germania al confronto”) sottolinea quanto per i tedeschi sia stato fondamentale nella crescita delle esportazioni, andare oltre il Vecchio Continente, in primo luogo in direzione Cina e Hong Kong, che oggi nella bilancia delle esportazioni tedesche rappresentano il 5,2%.
Eppure, gli italiani da quelle parti sono approdati ben prima dei tedeschi. Già a metà degli anni Novanta il volume di prodotti italiani venduti in Cina e Hong Kong rappresentava il 3% del totale. Poi è seguita una drastica diminuzione, per tornare a crescere lentamente e sfiorare nel 2009 il 3,4%. Altro fattore sottolineato da Intesa Sanpaolo, è che i flussi dell’export italiano testimoniano di una maggior diversificazione nelle destinazioni geografiche: si va dall’Asia al Nord Africa, dai Balcani al Mar Nero e un particolare focus su paesi come Turchia, Tunisia, Romania, Croazia, Slovenia. Nell’export italiano predominano i beni di consumo semidurevoli (moda) e non durevoli (alimentari), mentre in Germania trovano al primo posto quelli durevoli (a cominciare dal comparto auto). Nello studio di Intesa si legge anche che «la Germania rimane il nostro principale concorrente sui mercati internazionali, tenendo conto delle pressioni competitive esercitate sul fronte della qualità». L’export complessivo italiano resta tutt’ora caratterizzato da un peso elevato di prodotti di bassa qualità (nel 2001 rappresentava il 36,3 per cento; nel 2009 il 32,6%).
«È vero che in passato le quote del made in Italy, in particolare del tessile, abbigliamento e calzature, erano molto più elevate – nel 2001 rappresentavano il 6,2 per cento, nel 2011 il 3,2 per cento –» spiega il professor Marco Mutinelli dell’Università degli Studi di Brescia, autore dello studio per la Camera di Commercio tedesca. «E lo stesso vale per la quota metalli di base, soprattutto tondini». In compenso però è cresciuta la quota di prodotti farmaceutici (se nel 2001 rappresentavano il 2,8 %delle esportazioni verso la Germania, nel 2011 la quota era del 3,8%) e chimici (2001: 6,1%; 2011: 7,9%). Il che, sottolinea Mutinelli prova anche un maggior contenuto tecnologico. Così come ne è prova il fatto che siano aumentate dal 2006 al 2011 le esportazioni di componentistica dell’auto verso la Germania e il loro valore medio (euro per chilogrammo) sia salito da 5,06 a 5,57. «E se non fosse migliorato il livello qualitativo» fa notare Mutinelli «difficilmente colossi come Bmw, Mercedes, Audi e VW continuerebbero ad acquistare da noi. Anche se, certo, si potrebbe fare ben di più», soprattutto se si confronta il valore italiano con quello tedesco, passato nello stesso lasso temporale da 9,6 euro per kg a 10,12.
[http://www.linkiesta.it/italia-germania-import-export, 14/6/2012]

ALTRO PEZZO DE LINKIESTA
La locomotiva d’Europa non traina più le esportazioni italiane. Prodotti alimentari e abbigliamento in cambio di automobili: il classico interscambio tra i rispettivi “made in” non basta più. La caduta dell’export segue quella – inevitabile in un Paese in recessione – delle importazioni dalla Germania. Se prima l’andamento dei due indicatori era fortunatamente opposto, ora i due si muovono invece all’unisono. Un campanello d’allarme che non va sottovalutato per un semplice motivo: secondo i calcoli dell’Istat, nel 2011 l’export italiano in direzione Berlino ha toccato 49,3 miliardi di euro, poco meno del doppio rispetto all’insieme dei Paesi emergenti (24,8 miliardi). Non solo: la Germania è il primo Paese da cui importiamo beni per 62,4 miliardi di euro. E non è un caso: il peso dell’export sul Pil tedesco è passato, dal 2000 al 2011, dal 33,4 al 50,1% del Pil.
Un dato che fa capire il senso del dibattito europeo sulla reazione troppo lenta della Germania a trazione Merkel nell’allentare le politiche di austerity imposte al Club Med europeo. Il paradosso tedesco, almeno per quanto concerne l’Italia è infatti questo: il Paese è sia concorrente che cliente. L’Outlook 2012-2013 pubblicato lo scorso giugno dalla Bundesbank, l’istituto centrale tedesco: «Sebbene le quote dei Paesi dell’area euro nell’export tedesco siano in calo negli ultimi anni, le loro economie rimangono importanti per la Germania. La necessità di aggiustamento nei Paesi più colpiti dalla crisi del debito sovrano si è dimostrata maggiore di quanto inizialmente previsto ed è aggravata dalle difficili condizioni dei sistemi bancari di quei Paesi». Oggi le posizioni sembrano più flessibili, nonostante il falco Jens Weidmann, governatore della Buba, abbia ribadito qualche giorno fa: «Posporre il consolidamento dei conti pubblici significa rimandare i problemi al futuro».
Fonte: Intesa Sanpaolo
Intanto, il rallentamento della Cina d’Europa – Pil in crescita soltanto dello 0,7% rispetto al 3% del 2011 – è costato all’Italia mezzo miliardo di euro nel 2012. Una nota stonata dopo un anno, il 2011, che ha segnato un ritorno ai livelli pre-crisi, a quota 50 miliardi e a +11,7% sul 2010, equivalente a un peso della Germania pari al 13% dell’export totale. Una partner commerciale, quello tedesco, vitale soprattutto per le Regioni del Nord: il Paese assorbe il 13,1% dell’export veneto, il 23,6% dell’export del Piemonte, e il 14% di quello lombardo. Le società specializzate del manifatturiero lombardo – l’esempio è Brembo – che hanno la forza contrattuale per sedersi al tavolo con marchi come Volkswagen, Audi e Bmw hanno un peso predominante nell’export verso la Germania: nei primi nove mesi del 2012 si è assestato a quota 10,9 miliardi di euro – su un complesso di attività per 11,48 miliardi – rispetto agli 11,2 miliardi di fine settembre 2011 (-3%).
Lato compratore, la bilancia commerciale teutonica pende sempre più verso la Cina. Se è vero che nel 2012 il 70% dell’import proviene dall’Europa, mentre l’Asia è al secondo posto con il 18%, è altrettanto vero che il Celeste impero nell’arco di un decennio ha superato l’Italia, passando dal 2 all’8% dell’import mentre lo Stivale è sceso da quota 6,5 al 5% della torta complessiva, causa doppia recessione. Nello stesso lasso di tempo la crescita dell’export tedesco verso Pechino è stata portentosa: dall’1 a oltre il 6% tra 2000 e 2011, mentre l’Italia è scesa dall’8 a meno del 6 per cento. Anche a fronte del rallentamento del Pil, dunque, l’avanzo della bilancia commerciale tedesca per il 2012 ha toccato la cifra record di 210 miliardi di dollari. Un surplus che, in teoria, dovrebbe far dormire sonni tranquilli ad Angela Merkel in vista dell’appuntamento elettorale di settembre.
L’Italia non solo non tiene il passo in termini di volumi, ma soprattutto nel mercato di fascia alta, naturale sbocco del made in Italy. Gli analisti del Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, in una nota del 6 marzo scorso, delineano il quadro con chiarezza: «L’arretramento italiano ha riguardato soprattutto le produzioni del made in Italy legate al sistema casa (elettrodomestici, prodotti e materiali da costruzione, mobili) e al sistema moda. L’Italia è riuscita a tenere nella filiera metalmeccanica (metallurgia, prodotti in metallo, meccanica, componenti dell’automotive) e a guadagnare quote di mercato negli intermedi chimici e nell’elettrotecnica. In questi settori l’industria italiana, nonostante la forte concorrenza cinese, è riuscita a inserirsi nelle filiere produttive tedesche grazie anche a notevoli progressi sul fronte qualitativo e ai legami societari tra le imprese dei due paesi».
Le imprese italiane partecipate da gruppi tedeschi sono infatti 1.319, impiegano 124.500 addetti e fatturano 73,2 miliardi di euro, «pari al 4,7% del Pil italiano e al 15% del fatturato complessivamente realizzato all’interno delle imprese italiane partecipate da stranieri». recita ancora il report di Intesa. Tra queste l’alimentare – con Barilla e Ferrero – conta da solo il 15% del totale. Gli analisti della banca calcolano in 51,1 miliardi di euro il fatturato generato dalle 1.762 imprese tedesche partecipate da gruppi italiani, che impiegano 97mila lavoratori.
«La predominanza della Germania dipende anche da questioni geografiche. I tondini prodotti nel distretto bresciano sono difficilmente trasportabili in Usa con costi competitivi», spiega Marco Mutinelli, ordinario di Gestione aziendale all’Università di Brescia ed esperto di internazionalizzazione delle imprese. «Teniamo presente che essere fornitori dell’industria tedesca non è male, anzi: si tratta di clienti esigenti che vogliono la qualità e sono disposti a pagarla adeguatamente, riuscire a mantenere le quote di mercato in Germania significa, per le imprese italiane, essere competitive anche sui mercati mondiali», aggiunge Mutinelli, che nota: «Ormai quello tedesco è un mercato domestico: la sfida è convincere le imprese a crescere dimensionalmente e non continuare a vicacchiare, perché i grandi numeri si fanno soltanto attraverso adeguate strutture distributive e di filiera. Pensiamo all’alimentare: a parte Autogrill, Grom e Eataly c’è il vuoto pneumatico».
Fortunatamente il fascino del Belpaese rimane intatto. Il rapporto tra incassi turistici dei tedeschi in Italia e dei turisti italiani in Germania è di 5 a 1, ovvero – a novembre 2011 – 4,8 rispetto a 1,1 miliardi di euro. Nel 2010 il surplus del settore è stato di 180 milioni di euro. Risultati lusinghieri che non bastano se la locomotiva mette più carburante nel motore per viaggiare verso Oriente.
commento
Deficit commeciale it-de 2011 (come da voi riportato): 13,1 mld Deficit commerciale it-de 2012: 6,5 mld Il deficit si è quindi dimezzato (sostanziale tenuta dell’export, forte riduzione dell’import). Occhio a usare dati aggiornati.
http://www.linkiesta.it/import-export-italia-germania, 19/3/2013]


L’Europa non riesce a uscire dalla crisi? Tutta colpa di Angela Merkel. A dirlo stavolta è nientedimeno che la Commissione Ue, secondo cui il surplus commerciale della Germania "può mettere pressione sull’apprezzamento dell’euro e rendere difficile il recupero della competitività dei Paesi periferici dell’Eurozona".

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Un divario con gli altri Paesei così evidente che Berlino è finita sotto indagine nel rapporto europeo sugli squilibri. Il governo Ue ha così deciso di avviare "un’analisi approfondita sull’elevata eccedenza di bilancio" della Germania, come ha annunciato il presidente Josè Manuel Barroso precisando che l’indagine è finalizzata a capire se Berlino "può fare di più per contribuire al riequilibrio dell’economia europea". In particolare, la Cancelliera "dovrebbe aprire il settore de servizi" alla concorrenza: "Sarebbe equo e un bene sia per i tedeschi che per l’economia europea", ha aggiunto Barroso, che insieme a Rehn ha però ricordato come l’economia tedesca sia uno dei principali "motori dell’economia europea" e che "dovrebbe essere un esempio" per tutti gli altri Paesi.

Resta sotto osservazione l’Italia, in cui "povertà ed esclusione sociale sono aumentate in modo significativo", anche se "si cominciano ad intravedere i primi segnali di ripresa". "Ma si tratta di una ripresa molto fragile", avverte però Barroso, "Per questo non si deve mettere a rischio il percorso delle riforme promesse dal governo. Con i progressi raggiunti finora si è vista una reazione positiva dei mercati, che ora sono più stabili, ma sempre vulnerabili alle azioni dei leader politici. Ma quando hanno una chiara percezione della volontà dei governi di fare le riforme, le ricompense arrivano sempre". E non bisogna dimenticare la pressione fiscale, che resta tra le maggiori in Europa, soprattutto per il lavoro. "Nonostante le misure già prese e quelle annunciate nel 2014, resta alta in Italia la tassazione sul lavoro e il capitale", segnala la Commissione Ue.