Lorenzo Dilena, Pagina99 WE 17/3/2014, 17 marzo 2014
DE BENEDETTI FA IL RENZI DELLA FINANZA
Altro che scioglimento di patti di sindacato e partecipazioni incrociate, peraltro imposto dal fatto che la crisi ha reso insostenibili i salotti buoni alla Rcs. O l’estromissione dei vecchi sodali, come avvenuto con i Ligresti in Fonsai. Stavolta un taglio drastico con le logiche del capitalismo relazionale, per le quali ogni singolo affare è un solo elemento all’interno di uno scambio di favori più ampio, è arrivato da Carlo De Benedetti, il patron della Cir e del gruppo L’Espresso che gioca a fare il Renzi della finanza. Il diktat dato dall’Ingegnere nella trattativa su Sorgenia, società elettrica controllata dalla Cir, sta provocando uno shock fra i banchieri. Tanto più forte in quanto l’Ingegnere non è certo un estraneo ai vecchio sistema, pur avendolo sempre frequentato con spirito un po’corsaro.
Accade dunque che a ridosso di Natale Sorgenia chiede alle banche una ristrutturazione del debito. Fino a quel momento i signori del credito avevano lasciato scorrere i rubinetti. E il debito viaggia ormai 1,8 miliardi di euro. Insostenibile a causa di scelte di investimento fatte anni prima ma anche causa delle difficoltà di tutto il settore elettrico. Sulle prime qualche banchiere si illude che la questione possa essere risolta en amitié. Magari regolando successivamente le reciproche cortesie su altri tavoli. In fondo, la Cir gestisce altri business su cui l’aiuto delle banche toma utile.
Ma il diktat dell’Ingegnere è netto: valgono solo i contratti. Punto. E sui debiti di Sorgenia non è stata data garanzia né dalla Cir né dall’altro socio, l’austriaca Verbund. Perciò, ognuno prenda le sue decisioni sulla base della propria convenienza economica, e se ne traggano le conseguenze. Se non si trova un accordo, la Cir rischia l’azzeramento della partecipazione e quindi la perdita definitiva dell’investimento storico, circa 200 milioni. La Verbund si è già chiamata fuori qualche mese fa: non ci metterà più un soldo, perderà quanto investito, e amen. Si tratta comunque di poca cosa rispetto a quei 1,8 miliardi che le banche hanno prestato a Sorgenia. Senza un accordo su chi ci mette quanto e a che titolo, la società andrebbe dritta dritta in amministrazione straordinaria, con l’effetto di obbligare le banche a dichiarare il credito in sofferenza.
In pubblico, i banchieri moderano i toni. Per Mps, la più esposta, ballano 600 milioni. «Ci sono in corso negoziazioni serrate ma le posizioni sono distanti ed difficile fare previsioni sull’evoluzione» (Victor Massiah, a.d. Di Ubi, pare uno dei più arrabbiati). «Non siamo intenzionati a fare regali a nessuno, nemmeno alla famiglia De Benedetti», si spinge a dire Pier Francesco Saviotti, a.d. del Banco Popolare. Un banchiere che nelle relazioni crede a tal punto da non avere avuto timore di rimettere in campo più di un immobiliarista finito a mal partito, da Luigi Zunino a Danilo Coppola.
In privato la musica cambia e si mostrano furenti: che alla fine il vecchio è sempre il solito squalo, che non ce l’aspettavamo e che non si fa così. Ufficialmente, dalla vicenda Sorgenia l’Ingegnere è fuori. Due anni fa trasferì il controllo della Cir ai tre figli, dopo che nel 2009 aveva lsciato le cariche operative all’inizio del 2009. Si è tenuto solo la presidenza del gruppo L’Espresso. A capo della Cir c’è invece il figlio Rodolfo con Monica Mondardini amministratrice delegata da poco meno di anno. Ed è proprio a quest’ultima che è stato affidata la trattativa con i banchieri, che alla Cir chiedono di mettere nuovi capitali in Sorgenia e si sono dette disponibili a convertire parte dei debiti. Almeno 150 milioni, dopo una richiesta iniziale di 300. La Cir, che peraltro è una società quotata, ha fissato la sua convenienza economica a rimanere azionista di Sorgenia alla soglia di 100 milioni. Per qualche broker, addirittura, Cir farebbe meglio a lasciar perdere, consegnando la società alle banche. Ma le posizioni sono distanti. E i toni si sono riscaldati parecchio. Chi segue la trattativa da vicino riferisce una telefonata incandescente di Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi, proprio con Mondardini. Che non si è fatta impressionare più di tanto. Tanto Massiah quanto gli altri banchieri sanno perfettamente che hanno una parte rilevante di responsabilità. Per anni, mentre più di una boutique finanziaria di grido si faceva avanti proponendosi come consulente per riscadenziare il debito, loro hanno scelto di ignorare il problema. Che intanto cresceva.
Non solo. Fino a pochi mesi fa, i livelli operativi delle banche andavano a proporre nuove linee di credito al management della Sorgenia, che ora è prossima a finire la liquidità. Quella che c’è basterà fino a fine mese, poi, se non c’è, l’accordo, non resta che la Prodi-bis. A quel punto le relazioni saranno sgretolate. Cir correrà il rischio di dover cercare nuovi finanziatori bancari per le altre sue società. Ma ha già cassa a sufficienza per rimborsare un prestito obbligazionario da 259 milioni, in scadenza nel 2024 ma soggetto a richiesta di rimborso anticipato se una società dello stesso gruppo è inadempiente. Per i campioni del capitalismo di relazione, invece, il caso Sorgenia sarà una lezione bruciante e difficilmente dimenticabile. Molto più incisiva di qualunque obbligo formale su trasparenza, conflitti di interesse e dichiarazioni di principio. Ogni transazione è una relazione a sé: non ci sono altri tavoli o camere in cui compensare affari e reciproci favori.