Giuseppina Manin, Corriere della Sera 16/3/2014, 16 marzo 2014
SERVILLO «L’ITALIA È UN POPOLO DI FRATRICIDI NON PERDO LA TESTA PER L’OSCAR»
«L’Oscar? Un sogno da accarezzare con la fantasia, ben sapendo che mai accadrà». Parola di Toni Servillo, protagonista de La grande bellezza, film che l’Oscar se l’è portato a casa.
E allora capita che il sogno si avveri.
«Quando abbiamo sentito: “The winner is…” Paolo Sorrentino e io ci siamo guardati. Nessuna parola, solo uno sguardo incredulo e felice che riassumeva tutto. La gioia pubblica per quel riconoscimento straordinario e un’altra gioia, privata, per la lunga avventura cominciata insieme 12 anni fa con L’uomo in più. Mai allora avremmo immaginato… Poi sono arrivati gli altri film, Le conseguenze dell’amore, Il Divo... I David di Donatello, i Nastri d’Argento. Infine l’Oscar».
E nell’arco di poche ore lei è passato dalla ribalta del teatro dove recitava «Le voci di dentro» di Eduardo a quella scintillante di Hollywood.
«Quel brusco passaggio è stato la mia fortuna. In scena al Petruzzelli di Bari venerdì sera, l’aereo di notte per Los Angeles, tre giorni di magnifico stordimento e di nuovo in aereo. Dritto a Padova per riprendere Eduardo al Teatro Verdi… Quei chilometri messi di mezzo hanno aiutato a ridurre la distanza tra sogni e realtà, a dare la giusta misura a quel che era accaduto».
Vere docce scozzesi...
«Una lezione di vita. Quell’emozione planetaria poteva dare alla testa. Poterla iscrivere nell’esercizio quotidiano del mio mestiere mi ha aiutato a ristabilire l’ordine delle cose, a contenere l’ubriacatura».
Il teatro era, e resta, la sua passione prima.
«Il teatro è concretezza. Costringe chi lo pratica a mettersi a nudo davanti a se stesso, a confrontarsi con i desideri e le frustrazioni, le ambizioni e le sconfitte. Un esercizio che ogni giorno porta la sua pena e la sua gioia».
Gioia soprattutto, visti gli esiti di questo «Voci di dentro».
«Un secondo Oscar… Abbiamo debuttato giusto un anno fa a Marsiglia e abbiamo girato già mezza Europa e ricominceremo l’anno prossimo. Una vera tournée all’antica, ma anche un percorso di conoscenza dello stato delle cose del teatro in Italia. Ci sono città di provincia come Modena o Ferrara dove è stato ben seminato e il pubblico è ricettivo ed esigente. Altre invece, narcotizzate dalla tv, si sorbiscono solo degli squallidi intrattenitori di scuola televisiva».
Martedì intanto debuttate al Carignano di Torino.
«E dopo cinque giorni saremo al Barbican di Londra… È dal ‘95, da quando Strehler vi portò i suoi Giganti della montagna , che uno spettacolo italiano non arrivava in quel teatro. Stavolta persino in napoletano!».
Insomma, teatro e cinema sono ancora prodotti da esportazione .
«La cultura resta il nostro miglior biglietto da visita all’estero. Un credito illimitato pari solo all’incredulità degli stranieri per la nostra incapacità di valorizzare tale patrimonio».
È la nostra vocazione a farci del male da soli.
«Umberto Saba sosteneva che gli italiani sono incapaci di uccidere i padri e quindi fare la rivoluzione, ma invece chiedono ai padri il permesso di uccidere i loro fratelli. O quanto meno misconoscerli. All’estero Rosi, Fellini, Petri, Visconti, Bertolucci, Bellocchio godono di un rispetto straordinario. Così come Eduardo, Strehler, il Piccolo Teatro, la Scala. Da noi invece sono spesso trascurati o dimenticati».
La cultura è l’ultimo dei pensieri dei nostri governanti.
«A prescindere da qualsiasi colore politico. La cultura è un seccante problema di spesa, mai un investimento. Parigi ogni anno spende per la cultura quanto noi stanziamo per l’intero Paese».
Su questo il governo Renzi le dà qualche speranza?
«Preferisco aspettare un po’ prima di pronunciarmi. Il voler liquidare subito ogni novità fa parte di un malcostume nazionale insopportabile. Viviamo in un costante stato di sovreccitazione di cui anche i media sono responsabili. E questo annebbia qualsiasi considerazione critica di natura razionale».
A proposito di media, il suo Jep Gambardella è un giornalista. Osservatore cinico di una «Bellezza» grande e degradata.
«Il suo sguardo fa da filtro consapevole agli aspetti di un mondo di cui non si può andar fieri. In Italia ma non solo. Roma caput mundi… A quel degrado Jep vorrebbe opporsi ma la sua inerzia emotiva, la sua attrazione per l’errore, lo spingono a reiterare gli sbagli. La sua vita è una scia di occasioni perdute. Registi come Cuarón, Scorsese, Tom Hanks hanno riconosciuto in lui tratti universali».
Così universali che Jep ha creato uno stile, è diventato una maschera.
«Nel senso più nobile del termine. I francesi hanno parlato di una “Jep attitude” alludendo al suo modo di muoversi, di vestire. Jep non è un contenitore vuoto ma un vuoto che non trova un contenitore. Per questo gli servono giacche sgargianti, scarpe alla moda, occhiali pesanti. Sorrentino, che lavora per immagini, l’ha costruito su di me come un abito su misura».
Umberto Contarello, sceneggiatore del film, avrebbe detto che il ruolo all’inizio era stato pensato per Benigni. Poi ha rettificato precisando che si trattava di un altro progetto.
«Cado dalla nuvole. Paolo mi ha parlato di Jep fin dall’inizio».
Il prossimo film non lo farete insieme.
«Paolo avrà come protagonista Michael Caine. La riprova della sua fama».
Ma forse sarà Sorrentino a fare la regia del dvd de «Le voci di dentro».
«Me lo auguro. Lui aveva già curato il dvd di Sabato, domenica e lunedì. Se accadrà, tra cinema e teatro sarà il nostro sesto incontro».
Domani intanto al Quirinale sarete ricevuti da Napolitano...
«Siamo onorati. Lo conosco prima ancora che diventasse presidente. A differenza della maggior parte dei politici, è sempre stato un affezionato frequentatore di cinema e teatri. Del resto, credo che in gioventù abbia anche calcato le scene».