Corriere della Sera 16/3/2014, 16 marzo 2014
L’ALBATRO DI CHIVASSO SI MANGIA LA POESIA
Viviamo un’epoca di grandi trasformazioni e di grandi migrazioni, non solo umane. Gli uccelli marini hanno cominciato, già da parecchio tempo, a trasferirsi sulla terraferma, con buona pace dei poeti che non possono più servirsene per immaginare i grandi spazi della natura e i grandi voli del pensiero. Non so che fine abbia fatto una rivista letteraria spagnola del secolo scorso che si intitolava «Cormorán y delfin»: so la fine che hanno fatto i cormorani, diventati l’incubo delle associazioni di pescatori nelle valli alpine dove fanno strage di trote. Per non parlare dei gabbiani. Quelli bianchi e neri, i ridibundi, arrivano a migliaia sui campi appena arati nella valle del Po; gli altri più grandi, i gabbiani reali, si sono insediati stabilmente nelle nostre città e nelle nostre discariche. Da predatori di pesci si sono tra¬sformati in predatori di animali a sangue caldo: recentemente ha fatto notizia la colomba bianca del Papa, afferrata in volo da un gabbiano e uccisa con un colpo di becco alla nuca. In un’intervista comparsa sulla rivista «Airone» nel marzo del 1987, Il gabbiano di Chivasso , un esemplare di quella specie confessava candidamente all’intervistatore Primo Levi di apprezzare come cibo le pantegane. Il giorno che a Chivasso verrà segnalato un albatro (quello di Baudelaire) potremo dire, mestamente, che «non c’è più poesia».