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 2014  marzo 17 Lunedì calendario

AMARCORD CHELSEA HOTEL


IL MITO Il rock ha una sua storia e una sua geografia, spesso imprecise perché mitizzate. Ma c’è un luogo che davvero ha fuso arte e vita, cronaca e visione: il Chelsea Hotel, al 222 della 23esima strada, zona Manhattan, dodici piani di assurdi inquilini raccontati nel libro di Sherill Tippins Inside The Dream Palace e dal libro-disco Chelsea Hotel di Massimo Cotto e Mauro Ermanno Giovanardi.
Fu palazzo dei sogni e degli incubi, concepito dall’architetto Philip Hubert, devoto della comune socialista di Fourier, che ritenne New York pronta per l’esperimento. Aprì nel 1884, ci abitavano in cooperativa pittori, attori, operai e elettricisti. Nel 1905 diventò hotel. O meglio l’Hotel, senza eguali. Ogni stanza decine di storie. Mark Twain lo chiamava “casa”, Edgar Lee Masters non riusciva a staccarsene e all’edificio dedicò un poema, il pittore Jackson Pollock vomitò nel salone del piano terra durante la mostra che avrebbe dovuto presentare la sua arte al mondo e il collezionista Hazel Guggenheim McKinley suggerì allo staff di tagliare quel «tappeto d’autore» come investimento per il futuro.
BLATTE E WHISKY
Qui negli anni ’50 Arthur Miller scrisse “Dopo la caduta” e, dopo il divorzio da Marilyn Monroe, si ritirò nella camera 614. Nella squallida 205 «dove anche le blatte avevano i denti», il poeta Dylan Thomas ingollò diciotto bicchieri di whisky di fila e morì a 39 anni. Al Chelsea Jack Kerouac passò la notte con Gore Vidal e butto giù senza punteggiatura, squassato dalla dexedrina, la prima stesura di Sulla strada. Qui viveva l’Herbert Huncke che ispirò L’urlo di Ginsberg e inventò il termine beat per la sua generazione, e fra quelle mura William Burroughs elaborò The Third Mind.
A quella reception si presentò Charles Bukowski in calzini, così ubriaco da aver dimenticato le scarpe sull’aereo. All’attico il compositore George Kleinsinger viveva con alberi importati dal Borneo, una puzzola, una scimmia e un pitone di quasi 3 metri. Edie Sedgwick, la musa della Factory, diede fuoco al materasso della sua camera e poi infiammò il cuore di Bob Dylan. Dylan che viveva nella stanza 211 e appuntava i testi del suo album Blonde On Blonde. Nella 411 Janis Joplin stringeva la bottiglia del suo Southern Comfort, nella 424 stava Leonard Cohen, che riuscì a portarsi a letto Janis fingendo di essere Kris Kristofferson e fissò l’episodio nella bellissima canzone Chelsea Hotel #2.
Patti Smith divideva la 104 con lo scrittore Sam Shepard, nella suite 303 si appoggiava Hendrix, nella 103 era passata Edith Piaf. All’ultimo piano, nutrendosi di tè, crackers e pâté, Arthur C. Clarke creò 2001 Odissea nello spazio. Sotto abitava la scrittrice femminista Valerie Solanas, che sparò a Andy Warhol, il quale girò proprio nell’albergo le scene del suo discusso film Chelsea Girls.
MURI A PICCONATE
Il Chelsea: un ballatoio fra creatività e distruzione, dove ogni tanto si ripeteva un incendio, un suicidio, un omicidio. Devon Wilson, famosa groupie e fidanzata di Hendrix, una notte saltò giù dalla finestra. Nel 1978 Nancy Spungen fu trovata morta nella camera 100, con un coltello infilato nell’addome dal suo fidanzato Sid Vicious. Era una baia dei pirati, una colonia di relitti, artisti, pazzi, tossici, prostitute, geni. Stanley Bard, che lo gestì per quarant’anni, spinse verso questa dimensione di anarchia, dove i clienti vivevano con la porta aperta e, se l’appartamento era troppo piccolo, buttavano giù a picconate il muro.
Bard accettò il bioritmo bohemien e dava alloggio gratis a chi non ce la faceva. Accadde al regista Milos Forman, allora squattrinato che campava con carne in lattina e bottiglie di birra. A Ethan Hawke concesse la suite gratis dopo la fine del matrimonio con Uma Thurman. Hawke restituì la gentilezza dirigendo Chelsea Walls, film in cui si narra una giornata fra quegli stravaganti corridoi. Anche Madonna, che da sconosciuta abitava nella stanza 822, tornò a scattare lì le foto del suo libro Sex. Alla morte di Lou Reed, che al Chelsea era di casa, sul portone è sorto un memoriale spontaneo.
Dal 2011 il Chelsea Hotel è in restauro. Venduto per 80 milioni di dollari, è stato comprato dalla sofisticata catena alberghiera King & Grove, il più beffardo epilogo a una storia lunga 130 anni. Ciò che era appeso alle pareti verrà recuperato per attirare turisti, ma l’aria, quella no, non si può più respirare. Cantava Cohen: «I remember you well in the Chelsea Hotel».