Michele Di Branco, Il Messaggero 17/3/2014, 17 marzo 2014
LA SPESA TAGLI FINO A 1 MILIARDO PER LE 7 MILA SOCIETÀ PUBBLICHE
IL PIANO
ROMA Quella definita da Carlo Cottarelli una «situazione anomala nel contesto internazionale», il governo promette di normalizzarla entro fine primavera. I fari di mister spending review sono stati puntati sulle 7.340 società di cui risultano azionisti a vario titolo ministeri, enti locali, enti pubblici di previdenza e università. Un labirinto di 30 mila legami a partecipazione diretta e indiretta che costa allo Stato una perdita d’esercizio di 2,2 miliardi. Al premier Matteo Renzi l’uomo incaricato di realizzare una ricognizione sulla spesa pubblica italiana ha suggerito di intervenire energicamente con tagli, accorpamenti e soppressioni. Ma anche con un aumento delle tariffe da parte delle utilities che funzionano. Il dossier è a Palazzo Chigi e il tempo delle scelte è prossimo. Bisognerà decidere dove e come intervenire e sarà la politica a doverlo fare: i tecnici hanno ormai già indicato la strada. Prefigurando, per il 2014, risparmi compresi tra 800 milioni e 1 miliardo di euro. È questa la cifra della quale si parla al ministero del Tesoro dove la dieta cui verrà sottoposta la galassia delle società partecipate dallo Stato è considerata il secondo capitolo, per importanza, dell’operazione spending review. Al primo ci sono i risparmi per l’acquisto di beni e servizi (partita affidata alla Consip) e tra le altre voci di maggior spicco ci sono i 500 milioni che dovrebbero derivare dai tagli alle retribuzioni dei dirigenti della Pa.
I NUMERI
In Via XX Settembre indicano in 4 miliardi la dote complessiva dei risparmi raggiungibili per quest’anno. Sotto questa cifra, si fa notare, le coperture per i tagli alle tasse promessi da Renzi sarebbero a rischio. Dunque bisogna fare presto. La road map prevede che gli interventi verranno indicati nel Def che sarà presentato al Parlamento a inizio aprile. Ed entro giugno l’operazione entrerà nel vivo con i decreti attuativi. Nel mirino finiranno soprattutto le aziende in perdita, quelle giudicate inutili e le società le cui funzioni si sovrappongono a quelle di altre. C’è solo l’imbarazzo della scelta. I dati mostrano che oltre la metà degli organismi non sembra svolgere attività di interesse generale, pur assorbendo il 50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11 miliardi di euro. «In generale – osserva Confindustria in una recente indagine – considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse generale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e ciò ha comportato per la Pa un onere stimabile in circa 4 miliardi. Il 7% degli organismi partecipati ha registrato perdite consecutive negli ultimi tre anni».
I BILANCI
Nel concreto, si parla di mettere a dieta l’Aci, che ha partecipazioni in 16 società. E infatti l’azienda ha già annunciato di volersi disfare di tre quote. E attirano attenzione i casi di Sogin, Sose, Enav e Invitalia. Tuttavia i veri risparmi, si fa notare dal ministero del Tesoro, si potranno realizzare solo bonificando le società a partecipazione locale già censurate dalla Corte dei conti. Secondo i magistrati contabili, infatti, «la costituzione in società da parte degli enti locali è spesso utilizzata quale strumento per forzare le regole della concorrenza e per eludere i vincoli di finanza pubblica». Sotto accusa, da parte dei togati, i 24 mila membri dei Cda delle aziende municipalizzate. Per pagarli vengono sborsati in media 62 mila euro l’anno a testa. «Le partecipate sono il vero cancro degli enti locali – questo il duro affondo della Corte dei conti – e si tratta di un passato di cui non ci si riesce a liberare, con incarichi e consulenze dai compensi fuori mercato che non hanno prodotto niente». Una dura requisitoria. Comprensibile alla luce del fatto che solo il 50% delle aziende, sulla base dei bilanci del 2012, ha chiuso in attivo distribuendo utili. Ancora Confindustria indica in Lazio (9,5 miliardi di euro), Lombardia (5,5) e Veneto (1,1) le regioni dove gli oneri pesano di più sulle spalle dei contribuenti. Mentre è quello dei trasporti il settore delle perdite record. Ma bisogna considerare che la sola Atac pesa per il 28,6 per cento del totale del passivo nazionale.