Loris Zanatta, Il Messaggero 16/3/2014, 16 marzo 2014
VULCANO AMERICA LATINA
Così fitta è la raffica di elezioni in America Latina da qui a due anni, da chiedersi quale ne sarà il volto allora. A giudicare dall’aria che tira, grandi cambiamenti sono alle porte. Molti nodi stanno venendo al pettine. Il primo è quello economico: mentre l’Europa annaspava nella crisi, l’America Latina ha avuto la più lunga e robusta crescita economica da più di un secolo in qua. La spinta veniva da fuori, dalla domanda cinese di materie prime e dal loro prezzo stellare. Ora, però, che il boom rallenta e se ne colgono anche i punti deboli, è giunta l’ora di tirare le somme. Di vedere cioè chi ha messo fieno in cascina sapendo che prima o poi i tempi duri sarebbero tornati; e chi invece ha cavalcato la tigre finché ruggiva.
Chi, insomma, ha i conti in ordine e un sistema produttivo competitivo; e chi, invece, ha dilapidato ricchezze ed è sull’orlo del tracollo finanziario. È impossibile dire come finirà, ma è facile vedere fin d’ora che i governi populisti sono assai più in ambasce degli altri: era previsto e prevedibile. Sia perché il loro tasso di inflazione è di gran lunga il più alto, sia perché i loro tassi di crescita sono i più bassi, Venezuela e Argentina traballano. Come stringere i cordoni di una borsa colma di voragini? Come abdicare da principi statalisti elevati a dogmi ideologici? Come risanare conti dove regna il caos? Ecco così lievitare la protesta, ed ecco quei governi andare in cerca di nemici cui attribuire la colpa dei loro guai e contro i quali chiamare all’union sacrée del popolo. Ma al di là di tali casi estremi, non si pensi siano tranquille le acque in cui navigano tutti gli altri: a cominciare dal “miracoloso” Brasile, dove l’economia traccheggia e le aspettative della popolazione crescono; e proseguendo con Paesi cresciuti a ritmi vertiginosi, come Perù e Colombia, dove però il dinamismo economico non poggia su solidi sistemi politici. Per tutti sono finiti i compiti più facili e toccare le grane di quelli più duri.
Il secondo nodo è quello politico. Se è vero che mai come oggi la democrazia era stata il sistema di governo dell’America Latina, lo è anche che non tutte le democrazie dell’area sono parimenti stabili ed efficienti. Le recenti accuse di frodi elettorali in Colombia ed El Salvador, quelle non meno veementi del passato in Messico e Venezuela, la dicono lunga in proposito. In tal senso, è sempre meno utile orientarsi nella mappa politica latinoamericana guardando se l’ago della bussola pende verso il rosso della sinistra o il bianco della destra. Sempre più decisivo è semmai capire in quali Paesi le elezioni sono fisiologici momenti di avvicendamento delle classi dirigenti e in quali altri assurgono invece a dramma politico sul destino del regime stesso. Anche in ciò, gli esempi parlano chiaro: non sarà certo indifferente sapere se quest’anno si confermerà il Partito dei Lavoratori alla guida del Brasile o se dopo tre mandati dovrà cedere lo scettro all’opposizione; così come non lo è che al governo della destra sia subentrata in Cile la socialista Michelle Bachelet.
Mentre però in tali Paesi, o in altri come Uruguay e Messico, non c’è aspettarsi che tali mutamenti erodano le basi della democrazia o mettano in discussione fondamentali economici ed allineamenti internazionali, assai diverso è il caso di quelli imbarcati in esperienze populiste. Laddove i governi si proclamano fondatori di ordini politici rivoluzionari, come in Argentina e Venezuela, ogni elezione si trasforma in giudizio universale sul regime. Il che ne fa dei casi di perenne instabilità.
Se così stanno le cose, ogni pretesa di ordinare un quadro tanto mutevole è sia abusiva sia soggetta a rapide smentite. Di certo, l’immagine di un continente diviso in due tra un asse populista guidato dal Venezuela opposto a un asse moderato di cui Colombia e Messico erano i perni, non ha oggi il senso che aveva ieri. Man mano che l’ambizione venezuelana di riunire un fronte antiliberale rivela i suoi tratti megalomani e sfiorisce, tramonta anche l’ipotesi di un gruppo coeso di paesi pronto a farvi fronte.
Più verosimile appare l’immagine di una regione unita da una miriade di istituzioni ma orientato in tre direttrici: il Messico e l’America Centrale calamitati verso l’area nordamericana; il Sudamerica atlantico attratto dal modello europeo di sintesi tra protezione sociale ed economia di mercato, afflitto però dalla bassa crescita e dalla resistenza degli interessi corporativi; il Sudamerica affacciato sul Pacifico, sempre più integrato all’economia asiatica e tentato da modelli sociali aperti e competitivi, caratterizzato da forte crescita e dinamismo.