Il Sole 24 Ore 17/3/2014, 17 marzo 2014
E CHI VA ALL’ESTERO GUADAGNA DI PIÙ
Un mercato sempre più chiuso, soprattutto per i giovani, e dove il titolo di studio non paga più di tanto. Da qui, la fuga. Verso lidi dove ci sono maggiori chance e più gratificazioni economiche.
L’ultimo campanello di allarme l’ha suonato AlmaLaurea, che nel consueto rapporto annuale ha evidenziato come anche tra i laureati la disoccupazione continui a fare vittime (con un tasso di senza lavoro aumentato del 6,5% negli anni della crisi, comunque inferiore rispetto al +14,8% dei neodiplomati). Un mercato asfittico dal quale sempre più "cervelli" se la danno a gambe.
Il rapporto del consorzio interuniversitario guidato dal professore Andrea Cammelli evidenzia come, a un anno dal titolo magistrale, lavori all’estero il 5% degli occupati. Si tratta delle menti più brillanti: il 57% mostra un punteggio negli esami più elevato rispetto alla media del proprio corso di laurea (la quota è del 51% tra gli "italiani"). Anche in termini di regolarità le differenze sono tutt’altro che trascurabili: l’84,5% ha conseguito il titolo entro il primo anno fuori corso (contro l’80% dei colleghi rimasti in Italia).
Sono gli ingegneri i più pronti a varcare i confini nazionali e rappresentano il 24% dei laureati italiani occupati all’estero. A seguire i laureati in economia-statistica e lingue (tutti al 18%). «La maggior parte - evidenziano i ricercatori di AlmaLaurea - proviene da famiglie economicamente favorite, risiede e ha studiato al Nord e già durante l’università ha avuto esperienze al di fuori del paese».
A un anno dalla laurea, ha un lavoro stabile il 44,5% degli italiani occupati oltre confine, 10 punti percentuali in più rispetto al totale dei "magistrali" attivi in patria. Secondo AlmaLaurea «è l’effetto combinato di una minore diffusione all’estero del lavoro autonomo (3% contro il 10% degli occupati in Italia) e di una maggior presenza dei contratti a tempo indeterminato (41% contro il 24%)».
Quasi i tre quarti dei laureati magistrali italiani occupati all’estero sono impiegati nel settore dei servizi: in particolare istruzione e ricerca (18%), commercio (16%) e informatica (8 per cento).
Ed è in busta paga che si registrano le differenze maggiori. Le retribuzioni medie mensili sono più alte all’estero: gli expats guadagnano, a un anno, 1.550 euro contro i 1.003 dei colleghi rimasti in madrepatria, il 55% in più. Il gender gap, però, è marcato anche altrove: anche se si considerano solo coloro che lavorano full-time e hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea, gli uomini guadagnano in media 1.823 euro netti al mese contro i 1.533 euro delle colleghe.
E la forbice si allarga, in media, a cinque anni dal titolo: il guadagno mensile netto di chi non lavora in Italia è di oltre 2.200 euro, rispetto ai 1.300 degli occupati "domestici".
Sarà anche per questo che l’idea del rientro sfiora solo la minima parte degli italiani all’estero. Complessivamente il 42% dichiara che tornare sui propri passi sarà molto improbabile, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni. Appena l’11% è possibilista, ritenendo il rientro nel nostro Paese molto probabile; i restanti si dividono tra chi lo ritiene poco probabile (28,5%) e chi non è in grado di sbilanciarsi (18,5%).