Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 17 Lunedì calendario

LA MONETA UNICA CHE SALE FA PAURA ALL’EUROPA DEL SUD MA NON ALLA GERMANIA


La morte imminente del dollaro come moneta di riserva è stata annunciata, lo dico per esperienza personale, per gli ultimi cinquant’ anni. Nel frattempo, il dollaro ha avuto fasi di ascesa e discesa, in termini delle altre principali monete, ma è rimasto saldamente al centro del sistema monetario internazionale, anche se è ora circondato da una manciata di grandi pianeti. I rapporti tra questi e tra loro e il tradizionale sole del sistema sono diventati complicati e certo ciascuno di essi è capace di disturbare violentemente la pace nel sistema stesso, persino di offuscare temporaneamente il dollaro.
Msegue dalla prima a chi è il primum movens lo si vede quando la Fed si lancia in un cambiamento di politica, vero o solo annunciato. Le fluttuazioni nel sistema, partendo dal centro, possono investire prima i principali pianeti e poi i corpi meno importanti, le monete dei paesi emergenti, ad esempio, o addirittura ripercuotersi prima sulla periferia e poi sul semicentro, come è avvenuto negli ultimi sei mesi. Il tutto avviene a causa delle decisioni strategiche dei proprietari di fondi a breve termine, che cercano di collocarli dove pensano renderanno loro di più nei prossimi mesi. L’equilibrio del sistema è stato disturbato a partire dal maggio scorso dagli annunci e dalle decisioni della Fed, in merito alla continuazione o alla graduale diminuzione degli acquisti di carta finanziaria dalle banche. La diminuzione da 85 a 75 miliardi al mese c’è stata e le conseguenze sono state pesanti.
Innanzitutto, negli Stati Uniti, la cui ripresa economica ha perso parecchio tono, ma anche nei paesi emergenti nei quali i fondi a breve si erano riversati come conseguenza della ormai lunga politica americana di acquisti diretti di titoli, per dare liquidità ai mercati, quando il tasso di interesse a breve ha toccato il livello zero. Il denaro ha cominciato a spostarsi da quei paesi in quelli del semicentro, in Europa, ad esempio, portando in breve tempo le quotazioni delle borse in alto e diminuendo fortemente gli spread tra i titoli dei paesi forti e quelli dei paesi deboli. Sono diminuiti i tassi su entrambe le categorie di titoli, ma forse quelli del centro si sono indeboliti di più di quanto siano cresciuti quelli della periferia debole dell’Unione monetaria. Soprattutto, si è rafforzato l’euro nei confronti di dollaro e yen, raggiungendo livelli non visti da qualche anno. Con il cambio col dollaro a 1,40 e con quello con lo yen a 140, livelli toccati nei giorni scorsi, si è venuta a creare una contraddizione pericolosa all’interno dell’Unione, che si dovrebbe ripercuotere ancor di più di quel che ancora non sia avvenuto, tra gli interessi dell’economia tedesca e quelli delle economie periferiche della Uem. La Germania ha annunciato di aver raggiunto, per la prima volta dal 1969, l’equilibrio dei conti pubblici, quindi un deficit di bilancio pari a zero. I paesi periferici sono parecchio lontani da quel livello, quindi i loro debiti pubblici continuano ad aumentare in termini assoluti e così fa, finché latita la crescita, il rapporto deficit/Pil. Ma, cosa ancor più rilevante, diviene sempre più elevata la capacità della Germania di tollerare un cambio elevato dell’euro e persino di trarne beneficio. Infatti, la strategia ormai pluriennale della Germania di decentrare parte delle produzioni verso i paesi del centro Europa, vicini geograficamente e con monete ancora indipendenti dall’euro e che si sono comportate come hanno fatto quelle dei paesi emergenti, svalutandosi per la fuga dei capitali a breve, ha come risultato che i tedeschi comprano parti e componenti per i propri raffinati prodotti dai paesi satelliti del centro Europa a prezzi sempre più bassi. Già parecchio tempo fa la tendenza dell’industria tedesca a incorporare sempre maggiori quantità di parti importate nei propri prodotti è stata deprecata da chi, come Werner Sinn, ha chiamato il proprio paese una “bazaar economy”. Da allora la tendenza è divenuta ancora più marcata. Il contrasto con le industrie dei paesi del Sud Europa che non hanno decentrato allo stesso modo, un po’ per mancanza di respiro industriale, un po’ perché esse stesse producono parti per le industrie tedesche, è divenuto stridente. Induce a posizioni contrapposte dei vari paesi negli organi della Ue e della Bce. Esse sarebbero più marcate se anche la Francia si schierasse insieme ai paesi del Sud Europa. Ma la Francia, pur soffrendo per l’euro alto, esporta beni ad alto contenuto di tecnologia e non è in concorrenza con la Mitteleuropa che fornisce la Germania (anche se nelle regioni di confine tra Germania e Francia si nota una integrazione dello stesso tipo). In aggiunta, l’euro forte vuol dire per i tedeschi possibilità di finanziare le proprie esportazioni a tassi veramente bassi, e questo, quando si esportano merci costose come interi impianti industriali o complessi beni di investimento, ha importanza essenziale per la competitività. Infine, l’euro alto vuol dire prezzi contenuti delle materie prime e dei prodotti agricoli importati e questo tiene bassi prezzi e salari. Se la Francia si allineasse ai paesi del Sud nel reclamare un euro più basso, la forza relativa della Germania e dei suoi satelliti nelle discussioni comunitarie o nella Bce sarebbe assai minore. Ma la Francia ha anche da salvaguardare il proprio merito di credito allineato ancora a quello tedesco, che vuol dire che le banche francesi e lo stato francese possono finanziarsi vantaggiosamente sui mercati internazionali. Si spiega dunque l’acquiescenza francese ai tedeschi nei consessi ricordati. Le condizioni di prostrazione dell’economia francese inducono a ritenere che tale posizione non cambi in futuro. Sommando, siamo condannati a un euro forte. Quindi, i nostri esportatori devono combattere con la concorrenza di paesi a industria forte e valuta debole come Giappone, Stati Uniti, Corea del Sud e Cina, o a valuta forte come la Germania, ma anche con la ritrovata competitività delle merci di paesi di nuova industrializzazione come Turchia e Brasile. Naturalmente, per quanto riguarda l’Italia, se il governo riesce a far ripartire la domanda interna, le imprese che esportano e vendono anche in Italia, potranno guadagnare di più e diventeranno più forti anche sui mercati esteri. Su questo scenario futuro incombe altresì l’ombra di dissesti finanziari in paesi importanti come la Cina. Tutti guardano a quanto accade nel sistema finanziario cinese col fiato sospeso. Una perturbazione seria potrebbe portare ad una fuga di capitali dai parte dei cinesi d’oltremare e ad un rallentamento nel programma di acquisti di titoli obbligazionari da parte dello stato cinese su tutti i mercati del mondo, nei quali sono divenuti il primo operatore. Bene ha fatto la stampa americana a segnalare nei giorni scorsi che le autorità cinesi hanno lasciato andare in default le obbligazioni di un produttore cinese di pannelli solari senza intervenire a salvarlo. E’ la prima volta e neri confronti sono stati evocati tra questo caso e quello della Lehman Brothers. Una volta che le autorità hanno deciso di togliere ai mercati la sicurezza della solvibilità degli emittenti cinesi, si apre la via, in futuro, a comportamenti di sfiducia assoluta da parte della finanza internazionale che possono velocemente portare al blocco dei mercati.