Gianni Clerici, la Repubblica 17/3/2014, 17 marzo 2014
L’ORA DI FLAVIA
Come in una gara ciclistica, anche nella vita dopo le salite vengono le discese, era solito dire il grande Gianni Brera. Molto probabilmente, fossimo stati ad ammirare in tv il successo di Flavia Pennetta, quel grande scriba si sarebbe ripetuto, per altro alzando insieme a me in onore di Flavia una coppa di champagne. Flavia ha infatti finito per vincere matematicamente un torneo che già aveva meritato superando Li Na, l’autentica n. 1 del mondo in un momento nel quale Serena e Sharapova latitano.
La vittoria è frutto non solo degli indubbi meriti di Piccola Penna, ma anche del destino, che aveva spesso congiurato contro la nostra Eroina, non solo sul campo ma anche nella vita. La Radwanska battuta in finale non era infatti nelle sue abituali condizioni di corridore inesauribile, e di regolarista maniacale. Un suo ginocchio sinistro, all’inizio vezzosamente celato da una sorta di pennellata rossoblù, è finito incerottato come quello di un calciatore e, a partire dal 2° set, abbiamo visto in campo solo una giocatrice, in forma splendida, e un’altra che non riusciva più a servirsi del ginocchio.
Ma cos’è successo? Possiamo forse dire che esiste una grande scuola, propiziata da chi dovrebbe occuparsene, la Federazione Italiana Tennis? Temo di no, un tentativo passato di quella sorta di ministero, diciamo sottosegretariato, insomma organo pubblico, si verificò trent’anni addietro, quando l’allenatore preposto ad un Centro collocato, chissà perché, a Latina, mi informò, pieno di entusiasmo «Er mio proggetto è de faje fa lo yogurt, vedrai er risultato».
Simpatico equivoco, per chi non avesse inteso che si voleva riferirsi allo yoga: chissà di che sapore, ancora sorrido. Dovremmo, forse, inquadrare il successo di gruppo, nella somma casuale, ma non pertanto occasionale, di quello che sta accadendo alle rappresentanti delle Quote Rosa. Quote che tuttora incontrano un’antica opposizione umana-socio-politica. Opposizione erratissima, ripeto da anni, e le mie righe me ne sono testimoni, se non esistesse anche un autorevole testimonio pronto dichiararlo, la mia collega Concita De Gregorio.
Sara Errani, Flavia Pennetta, Roberta Vinci, per non dimenticare Francesca Schiavone, dimostrano più di una sola cosa.
Primo, che la donna italiana non è più una vittima del macho italico, del quale almeno due delle nostre tenniste non si servono professionalmente, come allenatore, voglio dire. Secondo, che sono state capaci non solo di uscire dalla provincia, ma di scegliere luoghi di studio tra i più avanzati, spaziando oltre i confini, in quella Spagna che è addirittura giunta a sostituire l’America, dov’era dovuta emigrare l’ultima delle loro zie, non dimenticata Raffaella Reggi, ai suoi tempi n. 13. Terzo, che non è indispensabile giungere da una città del Nord, o del Centro, laddove si collocano i maggiori club, ma si può benissimo nascere in due città mediterranee, e meridionali, se è vero che Flavia Pennetta è di Brindisi, e Roberta Vinci di Taranto. Luoghi dai quali non è mai uscito un tennista macho, tra l’altro. Erano nati invece, i machos, nell’Emilia dalla quale proviene Saretta, Emilia che aveva dato i natali a più di un numero uno italiano quali Canepele, Camporese, Gaudenzi, per non parlare dell’adozione del dinarico Sirola.
Un’altra annotazione che riguarda le nostre eroine è se l’origine certo borghese, ma con dissimili denunce fiscali, tra Pennetta, figlia predestinata di un presidente di Club, Vinci, figlia di un contabile, e Errani, figlia di un commerciante. Per parlare un po’ più di tennis, appare ancora più chiara la diversa personalità delle ragazze. Flavia e Roberta, quasi coetanee, giocano l’una il rovescio bimane, l’altra conserva un back-hand addizionale, un colpo insolito quanto elegante e efficace. Flavia è più attaccante dal fondo, Roberta pare addirittura attratta dalla rete, dove le volè non sono certo inferiori allo smash. E’ proprio la capacità di volleare ad aver fatto di Robertina una spalla ideale alla solidità nei rimbalzi di Sara Errani, consentendo alle due i grandi risultati nel doppio, addirittura 4 titoli di tornei Slam.
Poiché non è forse realistico immaginare un lungo futuro a Flavia e Roberta, mi pare il caso di soffermarsi sulle possibilità di quell’autentico fenomeno di Sara Errani, e del suo metro e sessantaquattro, che la bolognese sfrutta al 101%. E’ il suo, un tennis di attaccante dal fondo e da regolarista, ma la manina è tanto sensibile da consentirle le smorzate che, con gli attuali schemi ripetitivi, fanno spesso la differenza. Sesta lo scorso anno, decima quest’anno, Sara è la seconda italiana capace di tanto, dopo la geniale Schiavone vittoriosa in un Roland Garros (2010) e privata di un secondo titolo da un’arbitra feroce nella sua miopia.
Continuerà, mi chiedo, questa molteplice affermazione delle nostre donne, che in passato avevano avuto soltanto una autentica nativa in una semi dello Slam, la Lazzarino, e due di passaporto italiano ma nate in paesi più sportivi, l’americana Maud Levi Rosenbaum, e la tedesca Annelies Bossi-Bellani? Ritirata per ribaditi incidenti Mara Santangelo, potremo contare su una talentuosa Camila Giorgi, o su un gruppetto di juniores che ho il torto di non conoscere? Speriamo si continui così, con le quote rosa nel tennis, di certo più fitte dei maschietti. Speriamo in una Premier Donna, e non solo nel tennis.