Enrico Franceschini, la Repubblica 16/3/2014, 16 marzo 2014
LA GRANDE PAURA DEI PAPERONI RUSSI VIA I SOLDI DA BANCHE E BORSE OCCIDENTALI
LONDRA — Nella sfida fra Russia e Occidente sulla Crimea è cominciata la grande fuga: di capitali, non di persone. Mosca sta portando via i suoi soldi da banche, borse, società di investimenti, titoli di Stato occidentali, nel timore che già lunedì, alla riapertura dei mercati finanziari, America ed Europa facciano scattare le sanzioni per il referendum sull’indipendenza della penisola russofona in Ucraina. La preoccupazione di oligarchi vicini al Cremlino e aziende russe è il congelamento dei loro beni nei paesi del G7, una delle misure prospettate dal presidente Obama, reiterata dal segretario di Stato americano Kerry nei suoi colloqui con il ministro degli Esteri russo Lavrov venerdì a Londra, come ritorsione per un’annessione della Crimea alla Russia o anche solo per lo svolgimento del referendum. Secondo il Financial Times, due grandi banche di stato russe, la Sberbank e la Vtb, e colossi energetici come la Lukoil, sono tra le compagnie che stanno rimpatriando i propri fondi dall’Occidente. La Vtb ha anche annullato una riunione con investitori americani che era prevista per il mese prossimo. Non solo: secondo lo Spiegel, il G8 starebbe muovendosi per estromettere la Russia dalle proprie file.
La Gran Bretagna si è affrettata a proporre Londra per il prossimo vertice, a questo punto a sette.
È in questo clima che gli oligarchi — i miliardari russi fedeli a Putin — corrono ai ripari. Dati della società di analisi finanziarie Wealth X rivelano che i dieci uomini più ricchi del paese, con in testa Alisher Usmanov, hanno perduto 6 miliardi e 600 milioni di dollari del loro patrimonio complessivo soltanto nell’ultima settimana come risultato dell’instabilità dei mercati causata dalla situazione in Crimea. Gli altri imprenditori colpiti dal crollo dei
propri investimenti in Occidente includono Mikhail Fridman, Vladimir Potanin e Mikhail Prokhorov, tutti nomi legati a stretto filo al Cremlino. Il rublo è crollato al cambio di 36,7 per 1 dollaro, quasi un record negativo per la valuta russa, e la Borsa di Mosca registra un andamento analogo: le azioni ordinarie russe hanno perso il 20 per cento dall’inizio dell’anno.
«Non c’è bisogno di imporre sanzioni per provocare un tracollo economico in Russia», dice Christopher Granville, direttore della Trusted Sources, una società di analisi di mercato, «è sufficiente l’aspettativa delle sanzioni». Così tutti, ovvero tutti i grandi ricchi di Mosca, scappano dalle banche occidentali dove avevano portato i propri capitali. Scappano i privati: un importante banchiere russo racconta al Financial Times che il 90 per cento degli investitori del suo paese si stanno comportando come se le ritorsioni, in sostanza il congelamento dei beni di cui dispongono nelle nazioni del G7, fossero già in vigore. Le banche americane stanno vendendo titoli russi a tutto spiano, per liberarsene prima che scattino i provvedimenti minacciati dalla Casa Bianca. Potenzialmente si tratta di una montagna di denaro: secondo la Bank for International Settlements, le banche e le società di investimenti Usa hanno un’esposizione di 75 miliardi di dollari nei confronti della Russia. E scappano gli investitori istituzionali: cifre pubblicate dalla Federal Reserve di New York fanno supporre che la banca centrale russa sta cercando di ridurre il più rapidamente possibile la propria vulnerabilità alle sanzioni.
Le statistiche indicano un calo di 105 miliardi di dollari in buoni del Tesoro in possesso di istituzioni straniere per la settimana conclusasi il 12 marzo. Non si può sapere con certezza chi abbia deciso di portare via i propri soldi dalla Fed in questo momento, «ma un ovvio sospetto è la Russia », dice al quotidiano finanziario britannico Lou Crandall, analista della “Wrighton Icap”. E banche occidentali hanno sospeso mezza dozzina di operazioni per finanziarie alcune delle maggiori aziende russe. È la grande fuga dei capitali di Mosca. Si salvi chi può, prima di lunedì.