Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 16 Domenica calendario

«LA NOSTRA UNIVERSITÀ È GUIDATA DALLA POLITICA E NON DALLA CULTURA»


Vive a Roma da anni Simonetta Bartolini, ma l’accento, privo di contaminazioni capitoline, è rimasto lo stesso di Renzi, che non le dispiace, anche se, aggiunge, «forse io dispiaccio a lui». Come Libero ha riferito ieri, nonostante l’ottimo curriculum, le è stata scandalosamente negata l’abilitazione a professore associato, perché i commissari del ministero l’hanno ritenuta di destra.
La bocciatura è stata dura da digerire?
«Molto. Quando l’ho appreso, ero furente, ma poi ho provato pena e imbarazzo: pena per una commissione così povera di spirito da farsi guidare dalla politica e non dalla cultura; imbarazzo per aver creduto nell’accademia, illudendomi che fosse un luogo dove si fa educazione e dove si cerca la verità, per quanto sia possibile cercarla».
Ritiene che il suo sia un caso isolato?
«Non tutti gli italianisti sono come quelli che mi hanno messo alla porta: Giorgio Luti, il grandissimo studioso delle avanguardie, non condivideva le mie idee, ma questo non gl’impedì d’apprezzare il mio lavoro. Lo stesso potrei dire di tanti altri».
C’è dunque stata un’involuzione nella Università?
«Non solo: c’è chi è intellettualmente onesto e chi no. Uno dei commissari cui devo l’esclusione ha fotografato nel suo giudizio il lavoro che ho provato a fare, travisandolo: il mio scopo non era ricondurre alla destra alcuni autori, ma sottrarli al giudizio ideologico della sinistra riportandoli ai loro valori estetici. Se i valori sono assimilati alla destra, non è affar mio».
Ma lo diventa.
«Io non credo più alle vecchie categorie di destra edi sinistra, e loro vogliono riportarmi alla miseria delle fazioni, dello scontro perenne... Loro sono di parte».
Si torna sempre agli anni Settanta...
«...e questo è sconvolgente. Vuol dire che sono passati invano Renzo De Felice e Claudio Pavone, il primo a parlare di guerra civile nel biennio ’43-’45, o Francesco Perfetti e Giuseppe Parlato, che hanno scritto cose eccellenti. Purtroppo la loro lezione è servita negli studi storici, non nell’italianistica».
Ritardo culturale dei letterati?
«Con dolore bisogna dire di sì. Quando entrai nel cda della Fondazione Bellonci, che organizza il Premio Strega, ero tenuta ai margini, perché rappresentavo il sindaco che versava un generoso contributo, cioè Gianni Alemanno».
Un approccio più morbido le avrebbe forse giovato.
«Avrei potuto dissimulare, ma ho creduto fosse ormai il tempo in cui si valutasse la bontà d’un lavoro, non il taglio politico. Ho 54 anni, potrò fare un altro concorso, ma nessuno mi darà una cattedra anche se ottenessi l’abilitazione. Tanto vale andar a testa alta: voglio guardarmi allo specchio senza vergogna».