Umberto Gentiloni, La Stampa 16/3/2014, 16 marzo 2014
IL “TRAGICO ERRORE” DEGLI ALLEATI CHE IN QUATTRO MESI COSTÒ LA VITA A 1800 CIVILI INNOCENTI
«Amici italiani, Attenzione! Noi abbiamo sinora cercato in tutti i modi di evitare il bombardamento del monastero di Montecassino. I tedeschi hanno saputo trarre vantaggio da ciò. Ma ora il combattimento si è stretto attorno al Sacro Recinto». Così un volantino che piove dal cielo tra il 13 e il 14 febbraio 1944 in italiano e in inglese, la firma è quella della V Armata statunitense. Non c’è più tempo, la guerra invade territori e perimetri che sembravano sicuri o protetti. Il testo è un segnale inequivocabile, un punto di non ritorno: «È venuto il tempo in cui a malincuore siamo costretti a puntare le nostre armi contro il Monastero stesso. Noi vi avvertiamo perché abbiate la possibilità di porvi in salvo: lasciate il Monastero. Andatevene subito. Rispettate questo avviso».
L’abbazia benedettina diventa un target, presunto obiettivo sensibile della strategia di difesa tedesca. Una lunga battaglia, una storia nella storia, una piccola grande vicenda di un comune immerso nel prisma del secondo conflitto mondiale. Cassino è una lente d’ingrandimento su scenari e contesti che vanno ben al di là di un’area di oltre 20 mila abitanti nel Lazio meridionale (140 chilometri da Roma e 95 da Napoli). Tutto ha inizio qualche mese prima, il 10 settembre 1943, all’indomani dello sbarco alleato a Salerno, a ridosso dell’annuncio dell’armistizio tra il governo Badoglio e gli anglo americani. Il territorio della Penisola si trasforma nello spazio di pochi giorni in un teatro di guerra, diviso e attraversato da eserciti in lotta. I tedeschi occupano i luoghi strategici della città appoggiata sul Montecassino (stazione, caserma dei carabinieri, deposito di artiglieria, ufficio postale), la linea Gustav corre dal Tirreno all’Adriatico, da Cassino a Ortona bloccando la previsione del governo di Londra di passare dal «ventre molle dell’Europa» per giungere rapidamente alle porte di Berlino. La sfida nei cieli diventa uno snodo obbligato, le prime squadriglie dell’aviazione anglo americana colpiscono obiettivi militari e civili innocenti: anche le migliori intenzioni non riescono a guidare la traiettoria degli ordigni.
La mattina del 10 settembre 1943 si contano oltre cento caduti mentre le posizioni si consolidano, i due schieramenti controllano territori e zone di confine. Le prospettive si diversificano: da un lato le strategie politico militari e gli sguardi dall’alto sulla linea del fronte, dall’altro gli effetti su una popolazione inerme catapultata nel vortice senza ritorno della guerra totale. Il punto d’approdo di questa fase della campagna d’Italia è la liberazione della capitale; sarebbe un segnale d’incoraggiamento, un primo obiettivo consolidato. Ma le truppe di occupazione non hanno intenzione di cedere, sono pronte a tutto per mantenere la linea di difesa a Sud di Roma. Lo stallo sembra rompersi con un’operazione di aggiramento, alle spalle delle difese tedesche nei pressi di Anzio e Nettuno a 60 chilometri dalle mura della città eterna. Uno sbarco riuscito che tuttavia non ha seguito: il cammino degli alleati viene interrotto dopo i primi segnali incoraggianti. Siamo a gennaio del 1944 e Roma appare lontana, la linea Gustav impenetrabile, i tedeschi arroccati a difenderla. Così ha inizio la lunga battaglia di Cassino (quattro fasi tra gennaio e maggio 1944) fatta di tentativi ripetuti dal cielo e da terra (eserciti di oltre 20 paesi) di far breccia nelle difese tedesche accelerando così la via di accesso a Roma. Incursioni del II corpo della V armata statunitense respinte dalle truppe del generale von Segel fino alle estreme decisioni del comando alleato: bombardare pesantemente il territorio conteso.
L’abbazia è colpita a febbraio, la città rasa al suolo la mattina del 15 marzo, solo il 17 maggio 1944 la svolta con lo sfondamento delle linee: è in corso l’Operazione Diadem, fase culminante dell’offensiva che si chiude nel pomeriggio del 4 giugno con l’attraversamento delle porte della capitale.
Per la popolazione di Cassino è la fine di un incubo, le cifre sono impietose: 1800 i caduti civili, oltre 200 i feriti e 150 dispersi. Un prezzo troppo alto, una condotta inadeguata, un tragico errore come riconosciuto a seguito di inchieste e ricostruzioni dagli americani nel 1969 e dagli inglesi dieci anni dopo (rendendo noti i risultati di un’indagine del lontano 1949). Memorie diverse e conflittuali hanno contribuito a sedimentare un tessuto comune; i retroscena diplomatici rappresentano un prezioso tassello (recente il volume di N. Tasciotti, Montecassino 1944. Errori, Menzogne e Provocazioni, Castelvecchi, 2014) e l’indagine storiografica ha squarciato veli di silenzio o ipocrisie. Ecco il senso di tornare su quei luoghi settant’anni dopo, far sì che la celebrazione di un anniversario diventi occasione di conoscenza, racconto di eventi che ci appartengono. Un abbraccio ideale con la popolazione di Cassino nel ripudio delle guerre, una consapevolezza che nelle iniziative di questi mesi unisce i livelli istituzionali: dal presidente della Repubblica al sindaco del Comune, dal vertice dell’esecutivo al governatore della regione Lazio. Un segno importante, un lascito per chi è venuto dopo.