Francesco Perfetti, Il Tempo 16/3/2014, 16 marzo 2014
IL DIARIO DEL MINISTRO-SOLDATO
La mattina del 23 marzo 1911 un uomo sulla cinquantina che indossava un abito grigio da passeggio e un cappello floscio nero, una mano in tasca e l’ombrello aperto, uscì lentamente dal portone del Quirinale. Si trattava di Leonida Bissolati, deputato socialista, che era stato a colloquio con il Re, Vittorio Emanuele III, per circa un’ora. L’incontro era stato cordiale e il Re non si era formalizzato di fronte a quell’esponente socialista che si era presentato al suo cospetto senza l’abito nero di circostanza e che lo aveva apostrofato con un tutt’altro che protocollare: "Caro signore". Aveva fatto di tutto, il sovrano, per mettere a proprio agio l’imbarazzato visitatore: prima di affrontare i temi politici, il Re gli aveva parlato di alpinismo. Bissolati, secondo la testimonianza della sorella, ne aveva avuto una buona impressione, quella di: "un uomo molto simpatico, uno spirito moderno, semplice, un’intelligenza tutt’altro che eccezionale, ma dotata di grande prontezza e di fine intuito". L’incontro era stato propiziato da Giovanni Giolitti, che, dopo la crisi del governo Luzzatti, si accingeva a costituire il nuovo gabinetto e, da tempo, aveva in animo di coinvolgere l’esponente politico socialista in una responsabilità ministeriale. Per quanto favorevolmente colpito dal programma giolittiano, soprattutto in tema di allargamento del suffragio e di pensioni operaie, Bissolati declinò l’invito, anche dopo il colloquio con il sovrano. Alla vigilia della costituzione governo - era il 27 marzo 1911 - il designato presidente del Consiglio gli scrisse: "Conosco la fermezza della vostra volontà, e per quanto dolentissimo, non insisto".
Bissolati, dunque, non andò al governo, ma quell’anno, il 1911, sarebbe stato importante per la sua storia politica, perché maturò la sua uscita dal Partito socialista italiano. L’Italia, dietro la spinta della mobilitazione nazionalista e accompagnata dalle note di Tripoli bel suol d’amore rese popolari da Gea della Garisenda, s’imbarcò nell’impresa di Libia. Bissolati, a settembre, fece sentire la sua voce in mezzo al coro dei compagni che esecravano la campagna militare per dire che la guerra, in quanto tale, non poteva essere condannata pregiudizialmente. Era contrario alla guerra ma non all’utopistica "guerra al regno della guerra". Sottigliezze dialettiche di questo tipo che sfociavano nell’idea di un "pacifismo virile" non erano facilmente comprensibili in un’epoca di passioni violente. Così, l’anno successivo Leonida Bissolati - un uomo che aveva diretto a lungo l’Avanti!, il giornale ufficiale del Psi - venne espulso dal partito e si ritrovò, poi, insieme a Ivanoe Bonomi e ad Angiolo Cabrini, a fondare il nuovo Partito socialista riformista italiano.
Quando scoppiò la guerra mondiale egli divenne un protagonista dell’interventismo democratico, ben diverso, quanto a toni e obiettivi, da quello nazionalista o dannunziano o, anche, futurista. E in guerra, ormai vicino ai sessant’anni, ci andò davvero arruolandosi come volontario. E la raccontò in un bel Diario di guerra, ora pubblicato, integralmente e senza interventi censori, dalla casa editrice Mursia con una attenta prefazione di Alessandro Tortato, che ricostruisce, anche dal punto di vista filologico la storia degli undici taccuini di formato tascabile sui quali Bissolati vergò i suoi appunti. È un documento di straordinario interesse, pur nella laconicità delle annotazioni, sulla guerra combattuta in trincea e in montagna, sull’Isonzo e tra le nevi immacolate dell’Adamello. Vi si trovano osservazioni illuminanti sulla dura vita quotidiana dei combattenti, ma anche riflessioni acute che rivelano l’intelligenza di stratega di Bissolati. Così, per esempio, egli, il 31 maggio 1916, analizza con finezza "la ragione psicologica e strategica delle disfatte" degli italiani colti di sorpresa nei tragici giorni della Strafexpedition che porta gli austriaci al limite della pianura veneta.
In piena guerra, nel giugno del 1916, caduto il governo Salandra e costituito un governo di unione nazionale affidato all’anziano Paolo Boselli, per Bissolati ebbe inizio una nuova storia che lo trasformò nel "soldato ministro". Gli fu affidato, infatti, un ministero senza portafoglio destinato a favorire il collegamento fra governo e Comando supremo. Il 18 luglio 1916, scrivendo alla moglie da Udine, dopo una visita al fronte e discorsi ai soldati, usò parole rivelatrici del suo stato d’animo: "in questi giorni ho sentito il gran piacere di sentirmi e di essere sentito il soldato-ministro".
Naturalmente, la guerra di Bissolati, in un certo senso, cambiò con le visite al fronte, le missioni politico-diplomatiche, i contrasti con i capi militari. Ma fu sempre una guerra intensa, che egli continuò a vivere dividendosi tra una presenza assidua fra i reparti combattenti e gli impegni che gli derivavano, poi, dal nuovo incarico di ministro per l’Assistenza militare e le pensioni di guerra nel governo guidato da Vittorio Emanuele Orlando. La lettura del Diario di guerra di Bissolati, insieme a quella delle lettere alla moglie e dei discorsi e carteggi contenuti nell’appendice, offre, a ridosso delle celebrazioni della Grande Guerra che occuperanno i prossimi anni, una occasione per immergersi nell’atmosfera di quel tempo e riflettere su un avvenimento che cambiò la storia.