Francesco Ninfole, Milano Finanza 15/3/2014, 15 marzo 2014
IL NUOVO BANCARIO
Da alcuni anni il settore bancario vive una storica trasformazione. L’immediata reazione alla crisi degli istituti, non solo italiani, è stata quella di tagliare costi e personale, per adeguarsi al nuovo contesto di mercato. Non è detto però che questa strategia continui nel medio-lungo termine.
Innanzitutto perché c’è un limite alla riduzione della struttura delle banche. E poi perché i manager dovranno guardare anche al lato dei ricavi. Di conseguenza le banche saranno obbligate non solo ad avere organizzazioni più snelle, ma anche a svolgere attività diverse rispetto al passato.
In questo passaggio un ruolo significativo potrà essere svolto dai bancari, che sembrano pronti ad adattarsi a un nuovo modello di attività. Anzi lo richiedono, anche per scongiurare l’esubero di migliaia di posti. Proprio il nuovo ruolo delle banche e dei bancari è stato al centro dell’ultimo congresso nazionale della Fabi. Secondo il segretario generale del sindacato Lando Sileoni, fresco di riconferma, sarà necessario introdurre nuovi servizi, al di là di quelli bancari in senso stretto, a cominciare da quelli legati a consulenze assicurative, pensionistiche e fiscali; la banca diventerà un «centro di competenza», capace di offrire servizi complessi, per esempio nell’ambito dei prestiti deteriorati o del credito specialistico, in modo da non ricorrere troppo spesso alle esternalizzazioni.
L’analisi della Fabi parte dalla constatazione di quanto accaduto negli ultimi anni in Italia: dal 2008 al 2012 sono state chiuse circa 1.300 filiali; l’occupazione si è ridotta di circa 20 mila posti, portandosi poco oltre le 300 mila unità; i piani di esubero segnalano complessive riduzioni di 40 mila persone. Eppure, in questo contesto, Banco Posta ha aumentato le filiali di 100 unità. Per Sileoni «è indispensabile che il management delle banche abbia un diverso approccio sulla struttura distributiva: non più riduzione e tagli, talvolta indiscriminati, ma fattore competitivo per contrastare la concorrenza anche di competitori agguerriti quali Banco Posta e Poste Vita, che hanno guadagnato consistenti quote di mercato, in settori molto remunerativi del business bancario, come le carte di credito e le polizze assicurative». Servirà maggiore attenzione a quei segmenti di business di maggiore interesse per la clientela, assieme a più flessibilità in termini di orari di sportello.
Il primo passo, secondo il sindacato, è ora allargare l’offerta, sfruttando la capacità logistica e gli spazi delle agenzie. Dopo anni di discussioni sulla carta, è arrivato il momento in cui il bancario dovrà essere sempre più un consulente, anche in campi extra-bancari, come quelli fiscali e pensionistici. Per questo, ha aggiunto Sileoni, «come sindacato vogliamo impostare il confronto sul rinnovo del contratto di categoria proponendo un nuovo modello di banca che generi profitti, creando occupazione e posti di lavoro e che rafforzi i suoi legami con le imprese del territorio».
Sulla necessità di ampliare i servizi alla clientela, si è mostrato d’accordo l’amministratore delegato del Banco Popolare, Pierfrancesco Saviotti. Da parte dei banchieri, ha osservato al convegno Fabi, «bisogna pensare non solo a ridurre i costi, bisogna aumentare i ricavi». Tuttavia Saviotti non crede che in un futuro prossimo si possa arrivare a un modello di banca diverso dall’attuale come quello ipotizzato dal sindacato. «Non saremo in grado di fare in tempi brevi consulenza fiscale come la fanno i commercialisti. È difficile pensare che in un futuro prossimo ci possa essere uno sviluppo del genere. Serve formazione massiccia, non può essere una realtà tra due o tre anni».
Nel breve termine gran parte della partita continuerà a giocarsi sul credito: in forme nuove, però. Nei nuovi centri di competenza, ha osservato Sileoni, ci dovrebbe essere più spazio per «attività di credito specialistico, come quello industriale, marittimo, agrario e turistico», ma si dovrebbe dare anche più spazio «alla gestione delle incentivazioni pubbliche al commercio verso l’estero, alla gestione delle più articolate forme di garanzia creditizia e alla gestione del credito deteriorato».
Proprio il costo dei crediti problematici è oggi il principale elemento di indebolimento dei bilanci bancari. Le rettifiche dovute al deterioramento dei crediti si sono attestate nel 2012 su valori vicini all’intero costo del personale. Le banche italiane sono ai primi posti in Europa per sofferenze, pari all’11,7% del totale dei crediti nel primo semestre 2013, secondo quanto emerge da una ricerca della Fabi, pubblicata in occasione del congresso dell’associazione. Dal 2010 al 2013, ha ricordato lo studio Fabi basato su dati Bce, le sofferenze sono salite di tre punti percentuali. Peggio dell’Italia solo la Grecia, con il 21,9%, seguita da Portogallo (7,5%) e Spagna (6,7%). Molto distanti le tedesche (1,86%) e le inglesi (1,9%).
Per la Fabi a far esplodere le sofferenze in Italia sono state la cattiva gestione del credito da parte dei vertici delle banche, la crisi economica, le regole fiscali e l’eccessiva lunghezza delle procedure fallimentari. «I dati», ha osservato il segretario generale della Fabi, «dimostrano che le strategie fin qui attuate dalle banche italiane, incentrate soltanto su un taglio lineare del costo del lavoro e degli sportelli e sull’outsourcing di attività, non hanno portato a un rilancio del settore».
In tal senso Sileoni ha bocciato anche l’ipotesi di creare bad bank, ricordando le parole dell’economista Luigi Zingales: «Una banca radicata sul territorio ha un interesse ad aiutare le imprese sane a superare momenti di difficoltà finanziaria, perché queste imprese rappresentano clienti futuri. Una bad bank no, perché non ha clienti futuri». Per il sindacato le banche hanno già al loro interno le risorse per gestire le sofferenze, grazie alla conoscenza della clientela e all’esperienza dei bancari.
Queste competenze di base, secondo la Fabi, vanno supportate con «strutture organizzative e soluzioni innovative»: in futuro una gestione efficiente dei portafogli deteriorati «potrebbe rappresentare, contrariamente al passato, un’area di business, da seguire con rinnovata attenzione, da gestire secondo modalità meno burocratiche e più propositive, nella quale allocare personale di grande qualità, in grado di gestire tematiche fra le più complesse della vita di una banca e dei suoi clienti». La gestione del credito viene vista dalla Fabi come un’opportunità di ricavi e di minori oneri e non migliora con l’outsourcing.
Sileoni ha preso una posizione forte contro le esternalizzazioni, «spesso origine di maggiore complessità organizzativa, di servizi non adeguati, di costi maggiori rispetto a quelli programmati. Anche in questo caso potrebbe essere utile soffermarsi sulle opportunità di gestire, con efficienza, nell’ambito del business bancario, l’intero ciclo produttivo, limitando alle sole attività veramente ad esso estranee le esternalizzazioni». La proposta dalla Fabi è stata dunque posta all’attenzione dell’Abi e dei banchieri: meno esuberi, meno outsourcing, maggiore impiego delle risorse interne alle banche, anche attraverso una maggiore flessibilità degli orari e la disponibilità ad allargare la gamma dei servizi, in ambiti finora non coperti dalle banche. Si tratta di un’enorme sfida per il settore: nei prossimi anni si vedrà fino a che punto questo modello potrà essere realizzato in Italia.