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 2014  marzo 15 Sabato calendario

SE LA CINA CAMBIA PASSO


L’ultimo dato non lascia dubbi, nei primi due mesi dell’anno la produzione industriale cinese è cresciuta ai tassi più bassi da cinque anni: l’8,6% tendenziale, rispetto al 9,7% del 2013 e al 9,5% delle previsioni. E a febbraio le esportazioni sono scese al 18,1% (114 miliardi di dollari), mentre l’import è aumentato più del previsto del 10,1 per cento.

Certo la locomotiva cinese non si ferma ma singhiozza e rallenta. Dovrebbe essere un segnale di un cambio di passo del sistema.
Il premier Li Keqiang nel discorso di apertura della sessione plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo lo ha indicato con chiarezza: lo Stato non aiuterà più a piene mani le imprese pubbliche e i governi locali, che hanno gonfiato una grande bolla ancora con numeri non pubblici di debiti in sofferenza, ma sposterà l’attenzione verso le imprese private.
Il flusso monetario in circolazione, l’M2, che oggi vale quasi due volte il prodotto interno lordo, deve essere riportato sotto controllo. Questo significa meno denaro in circolazione e meno opere e operazioni di governi locali e imprese di Stato che fanno grandi numeri sui bilanci di azienda o provinciali, ma i cui progetti talvolta si rivelano cattedrali nel deserto o sprechi faraonici.
Né lo Stato salverà più tutto e tutti dal default. Il governo ha lasciato saltare il produttore di pannelli solari Shanghai Chaori Solar Energy Science & Technology, che non pagherà 89,8 milioni di yuan (circa dieci milioni di euro) di interessi su obbligazioni per un miliardo di yuan emesse nel 2012.
Non sono numeri enormi, ma sono segnali di un cambiamento di direzione.
Nel frattempo il governo annunciava licenze per cinque nuove banche private, mentre Alibaba - il grande sito di ecommerce prossimo alla quotazione in Borsa, quasi certamente negli Stati Uniti - oggi già raccoglie capitali in rete promettendo interessi più alti di quelli dei depositi bancari e concedendo prestiti ai propri clienti con maggiore perizia delle banche tradizionali. Anche grazie al fatto che i dati accumulati sui comportamenti dei propri utenti consentono di stilare dei profili di comportamento molto precisi per cui il sito riesce ad avere un giudizio di rischio molto chiaro sui suoi debitori.
È l’inizio della fine di un sistema di credito bizzarro dove le imprese statali potevano prendere prestiti dalle banche statali a basso tasso di interesse (perché tali prestiti istituzionalmente non erano considerati a rischio) e le imprese poi riprestavano a tassi maggiorati il denaro ricevuto.
Si tratta quasi di una licenza di usura per le imprese statali che finanziavano la loro inefficienza tassando e vessando imprese private costrette a pagare tassi anche di oltre il 30% all’anno. Il tasso di interesse delle banche oggi è fissato dal governo non è libero né le banche possono cercare rendimenti maggiori. Inoltre spesso i loro prestiti sono annuali e rinnovati su questa base. Ci sono pochi piani di rinnovo pluriennali.
In teoria allora allocando direttamente il denaro alle imprese private, con tassi di interessi più liberi, pianificati su più anni, le imprese private potrebbero creare più crescita con meno denaro.
Questa però è la teoria, perché per mettere in moto un sistema di credito efficiente che superi gli arcani attuali ci vorranno mesi se non anni. Inoltre, spesso le imprese private preferiscono pagare un tasso più alto in una situazione grigia a una istituzione usuraia che non fa troppe domande indiscrete, piuttosto che pagare un interesse più basso a una banca che è parte integrante del sistema statale.
Molti privati infatti, nati e cresciuti in una fase di passaggio imprecisa tra economia pianificata ed economia di mercato, hanno “peccati” da nascondere, piccole o grandi malefatte o irregolarità di cui il governo potrebbe chiedere conto. Ma sanare questi peccati non è facile politicamente, perché potrebbe essere come premiare i disonesti contro chi invece non si è mosso ed è stato onesto. Però senza questo risanamento tanti privati possono rimanere incerti.
Molte di questi elementi però sono questioni di sfondo, di medio termine, che oggi il governo non ha neanche cominciato ad affrontare. Oggi il semplice accenno al raffreddamento degli aiuti agli enti pubblici però può comportare un calo della crescita. In teoria il premier Li ha parlato del 7% o 7,5%, se la tendenza attuale viene mantenuta potremmo vedere numeri anche più bassi sperando però che ciò corrisponda a una crescita di qualità migliore. Se ciò avvenisse è possibile che la Cina possa tornare a crescere un domani anche a tassi di nuovo molto alti.
Per ora però Li sembra preferire un raffreddamento misurato che permetta di riassorbire e ristrutturare il debito di imprese di Stato e amministrazioni locali. Né c’è più l’ansia di creare troppi nuovi posti di lavoro in città. L’aumento generalizzato del costo del lavoro è anche indice che in molti settori c’è già scarsità di manodopera disponibile.
Di certo il governo ha in mano comunque tante leve, e se davvero l’economia si inceppasse potrebbe sempre tornare a spingere sul fronte degli investimenti in infrastrutture.
Ma il passaggio è a rischio, e molte cose potrebbero andare storte. Il governo è di fatto osteggiato dalle imprese pubbliche mentre i privati sono troppo timidi e deboli.
Come ha detto il presidente Xi Jinping, è finito il tempo in cui le riforme facevano bene a tutti, è cominciato il periodo delle scelte difficili.