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 2014  marzo 15 Sabato calendario

RUGGITO LLORENTE


DAL NOSTRO INVIATO TORINO — Lo sa perché facciamo questa intervista, Fernando?
«Per parlare di calcio?».
Anche. Però vogliamo capire se è vero che il suo italiano è migliore di quello di Totti.
«Che disastro». Fernando Llorente ride. «Per fortuna mi sono chiarito con Totti».
Vinovo, un luminoso giorno di marzo. Se Carlitos Tevez è l’attaccante atteso e realizzato, frenetico e vitale, Fernando, 29 anni, è quello inaspettato, la punta ritrovata. Un gigante tranquillo ma non arrendevole. Un Re Leone, come l’hanno soprannominato, dal ruggito intenso ma mai esagerato. Ex soggetto ignoto, ora titolare inamovibile.
Da dove viene Fernando?
«Da Rincon de Soto. Mio padre Fernando lavorava in un macello a Calahorra, mia madre Isabel aveva una cartolibreria. Mio fratello Jesus è il mio procuratore, Ana, mia sorella è farmacista».
Com’è stata la sua infanzia?
«Bellissima. Sono cresciuto nel mio paesino. Poi, a 11 anni, sono andato a Bilbao all’Athletic».
Il primo pallone chi gliel’ha regalato?
«Mio fratello. Tra me e i miei fratelli ci sono 15 e 12 anni. Per loro ero un giocattolo».
Viziato?
«No. Però sicuramente mia mamma e mio papà hanno avuto un po’ di predilezione per me, in fondo ero il piccolo di casa».
Invece Conte non l’ha viziata.
«All’inizio è stata dura. Facevo fatica, non ero abituato al lavoro che si fa alla Juve».
Però, poi, è andato al di là delle migliori aspettative.
«Per essere il primo anno, finora è stato buono, però si può migliorare. L’unica cosa che mi/ci è mancata è avanzare in Champions».
L’Europa League è recuperabile?
«Certo. Il risultato con la Fiorentina non è stato positivo, ma resta tutto da decidere».
Dicevamo di come ha conquistato Conte che, prima di lei e Tevez, ruotava sempre gli attaccanti. Come ha fatto?
«Dovrebbe chiederlo a Conte. Credo che gli piaccia come sta giocando la squadra»
La sua cosa migliore quest’anno?
«Il sostegno ai compagni, soprattutto in difesa. E i gol, naturalmente».
Sei gol di testa.
«In Spagna ne ho segnati 12, un anno. È record».
Qui oltre ai gol fa bene quello che vuole Conte.
«Ho imparato in fretta. All’inizio era tutto differente ma ora mi sento bene, a casa».
Alla Juventus la lingua più parlata è lo spagnolo. Chi è il suo compare?
«Paul Pogba, il mio compagno di camera».
Ma lui non parla spagnolo.
«Glielo sto insegnando. Gli piace molto imparare le lingue».
Quando tempo passa a sistemarsi i capelli Pogba?
«Non ho quantificato, però lo fa spesso».
Lei ha capelli normali, invece. Tatuaggi, piercing, orecchini?
«Non sono il tipo».
Con Tevez come va?
«Bene, è uno normale come me. Ama la vita semplice».
La Juve è sempre sotto attacco perché accusata di avere «aiutini». Le dà fastidio?
«Sì, mi dà fastidio. Ma con le squadre più forti è la stessa cosa anche in Spagna o in Inghilterra. Basta pensare che l’arbitro è un uomo normale, che sbaglia come noi».
La forza della Juventus?
«Siamo una squadra unita, il gruppo è magnifico, abbiamo buoni rapporti: questo è fondamentale».
Cosa vuole dal calcio?
«Vincere, sono venuto qui per conquistare più titoli possibili. Mi sento fortunato. Non è facile vincere tre volte di seguito lo scudetto, ma noi stiamo facendo un anno quasi perfetto».
In Italia c’è molta invidia della Spagna.
«A me piace il calcio italiano, è un calcio competitivo, qui le squadre non sono “aperte” come in Spagna, è tutto molto più tattico. Contro la Juve, poi, si chiudono a riccio. Trovare spazi è difficile».
Voti: testa, sinistro, destro?
«Non amo parlare di me, poi pensano che sono un presuntuoso».
I suoi attaccanti di riferimento?
«Ronaldo, Romario, Michael Laudrup, sono cresciuto con il dream team di Cruijff. Da piccolo ero tifoso del Barça, sono stato 17 anni a Bilbao e tifavo Athletic. Ora Juve».
Faticoso lasciare Bilbao?
«È stata dura, mi sono formato là. Metà vita l’ho passata là. Tutto bello, a parte l’uscita. L’Athletic non prende giocatori da fuori, vive con ciò che tiene. C’è questa mentalità, lo so, ma se un giocatore vuole fare qualcosa di nuovo devi aiutarlo, non ostacolarlo come hanno fatto a me».
Mobbing?
«Tutto un complesso di cose che hanno portato i tifosi ad avercela con me. Non è stato giusto».
È arrivata la Juve.
«Mi volevano. Avevo altre offerte, ma la Juventus mi ha convinto. Ho creduto nel progetto. Soprattutto in Conte. E non ho sbagliato».
Torino le piace?
«Bella città. È tranquilla: si può fare una passeggiata, andare al cinema, al ristorante senza problemi».
Quindi lei si definirebbe un uomo tranquillo?
«Sì proprio così».
Una cosa che l’ha sconvolta in Italia?
«Le lenticchie con il cotechino a Capodanno. Noi mangiamo uva».
A casa cucina lei?
«A casa ci sono i miei genitori, fanno loro da mangiare. Il menu, rispetto alla Spagna, non è cambiato. Qui meglio la pizza, la pasta, i gelati. Mamma mia, i gelati...».
Come i difensori. Il più forte che ha incontrato?
«I più forti giocano nella Juve».
È vero, infatti sono tutti in nazionale. A proposito. Lei com’è messo?
«Dal 2008 al 2012 sono sempre stato convocato, dopo c’è stato l’anno travagliato a Bilbao. Non è ancora deciso nulla. Devo continuare a fare quello che faccio. I conti a maggio».
Campionato o Europa League?
«Tutto è importante, noi sappiamo che non dobbiamo mollare niente. Lo scudetto certo, ma anche la Coppa. Io sono affamato».
Via, lo scudetto la Juve lo vince.
«Speriamo. Se no Conte ci ammazza tutti».