varie, 17 marzo 2014
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 17 MARZO 2014
La Sardegna si stacca dall’Italia e aderisce alla Confederazione svizzera diventando il 27° cantone, quello marittimo. Le ragioni: l’efficienza elvetica farebbe decollare l’economia sarda, Berna avrebbe uno sbocco sul mare e l’Italia abbatterebbe una fetta del suo debito. Tutti ci guadagnerebbero. La proposta è partita dal web e ha fatto il giro del mondo [1].
Ricciardi: «Non è il primo esempio di proposta di annessione alla Svizzera, ma certo finora ci si era limitati a una sorta di bacino naturale che comprendeva il nord della Lombardia o simili. Mettere il Tirreno in mezzo ancora mancava» [2].
L’idea è venuta a due cagliaritani, Andrea Caruso ed Enrico Napoleone, che l’hanno lanciata durante le scorse elezioni regionali. «Stiamo sondando la volontà dei sardi sull’ipotesi di permettere all’Italia di vendere la Sardegna alla Svizzera per ripianare parte del debito pubblico e rilanciare l’economia nazionale». Perché diventare svizzeri? «Non avremo più servitù militari, franchi anziché euri e un’economia locale da allineare al più presto con quella della nuova madrepatria» [8].
Adesso è trascorso un mese e questa storia dell’isola dei nuraghi che si offre all’oltralpe elvetico è notizia ghiotta per i media di mezza Europa: non solo Berna e Ginevra ma anche Londra con la Bbc, Germania e Giappone. «Da evento volatile per social network, Sardegna Canton Marittimo si è trasformato in un caso dal taglio politico, sogno irrealizzabile ma proposta significativa, che a giudicare dalle adesioni e dall’entusiasmo diffuso nella rete conferma almeno come sardi e svizzeri non siano poi così lontani» [3].
I promotori (10mila fan su Facebook e un sito molto trafficato) hanno scritto anche un manifesto: «Crediamo che con l’Italia non ci sia un futuro, né per noi adulti né per i nostri figli. Vorremmo unirci alla Confederazione Svizzera, repubblica federale che ha il massimo rispetto delle autonomie locali ed è governata da un parlamento composto da politici non professionisti. Un paese dove ogni cantone ha una sua costituzione, un suo parlamento, un suo governo e suoi organi giurisdizionali» [4].
Dunque la Svizzera come percorso alternativo all’autonomia sarda storicamente invocata. Caruso: «Sarebbe una partnership vincente per entrambi, Berna avrebbe un laboratorio di sviluppo e opportunità di investimenti, insieme a una cultura identitaria e ricca di tradizioni. La Sardegna ha un potenziale economico quasi del tutto inespresso che non attende altro che una leadership esperta e illuminata che le consenta di metterlo in marcia». [2].
Un progetto che i banchieri definirebbero «win-win», in cui tutti guadagnano. L’Italia incasserebbe un po’ di franchi, la Confederazione avrebbe uno sbocco sul mare e i sardi la promessa di un decollo economico (e la rottura definitiva del rapporto mai sereno con Roma) [5].
Tra Lugano e Berna se n’è parlato parecchio: titoli sui giornali, chiacchiere e qualche riflessione politica. I partiti di destra, quelli conservatori, sulle barricate per frenare l’assalto di frontalieri e immigrati, per i sardi farebbero volentieri un’eccezione. Pierre Rusconi, anima dell’Udc ticinese: «Sarebbe un piacere, ma certo non invaderemo l’Italia per lo sbocco a mare. Sulla questione del Canton Marittimo bisognerebbe far decidere ai cittadini, e credo che la maggior parte degli elettori sarebbe favorevole» [4].
Nel sondaggio sul portale elvetico Bluewin il 70% dei votanti ha detto sì all’ipotesi [6].
A far venire l’idea ai sardi è stato un tedesco. Caruso: «Intervenendo in una discussione sulla crisi italiana mi consigliò di proporci come confederati alla Svizzera. Eravamo in un bar di Cagliari. Era il 2012». Da lì in avanti è stato un susseguirsi di incontri prima in una cerchia di amici («tutti sui 50 anni e con una posizione economica stabile»), per poi allargarsi a internet [7].
Tuttavia, la strada non sembra così facile. Marco Betzu, ricercatore di Diritto costituzionale nell’Università di Cagliari: «Giuridicamente è un’ipotesi irreale, perché l’articolo 5 della Costituzione italiana sancisce come la Repubblica sia “una e indivisibile”, dicitura riportata anche dall’articolo 1 dello Statuto Speciale della regione Sardegna». Tradotto significa che il progetto non solo non è previsto, ma è impossibile da realizzare [6].
Incongruente sarebbero anche i riferimenti ai recenti casi di Scozia e Catalogna. Betzu: «Questi sono territori economicamente autosufficienti e ricevono entrate esigue dagli stati di cui fanno parte. In Sardegna invece le entrate dipendono in gran parte da contributi statali, in base allo status di regione a statuto speciale: senza di essi l’isola non sarebbe economicamente autonoma» [6].
Caruso, intervistato dalla radio svizzera: «Se facciamo affidamento sul comune andamento delle cose, nel mondo non sarebbe mai successo nulla... I grandi eventi sono caratterizzati da periodi di instabilità risolti in maniera imprevedibile... Non che noi contiamo su quello, ma se la volontà popolare dovesse esprimersi in maniera unitaria a quel punto credo che i problemi dell’impraticabilità possano essere via via risolti. Nei prossimi giorni costituiremo un’associazione per dare una figura giuridica al movimento, per creare un ponte virtuale tra la nostra isola e la Svizzera. Il percorso di approdo è lungo e colmo di insidie, ma percorribile» [9].
Ma l’Italia quanto potrebbe guadagnarci, quanto potrebbe farsela pagare, quanto debito potrebbe abbattere? Pietro Saccò: «Naturalmente non si può dare un valore a una regione come si farebbe come un’azienda. Però, interrogato sulla possibilità di valutare la Polonia – nazione a forte crescita – Paul De Grauwe, economista della London School of Economics, ha proposto di moltiplicare il Pil per cinque volte. Per la Sardegna, economia ancora in recessione, potremmo accontentarci di un multiplo di due, al massimo tre volte il Pil: verrebbe un prezzo tra i 60 e i 90 miliardi di euro. Senza considerare che la Regione ha una bilancia commerciale pesantemente negativa (le importazioni superano le esportazioni per 4 miliardi di euro) e con una spesa pubblica che vale il 60% del Pil è sostanzialmente un’area che vive di sussidi»[10].
Note: [1] Matteo Rigamonti, Tempi.it 21/2; [2] Raffaele Ricciardi, la Repubblica 28/2; [3] Mauro Lissia, La Nuova Sardegna 10/3; [4] Nicola Pinna, La Stampa 15/3; [5] lastampa.it 4/3; [6] Francesco Aresu, Lettera 43 8/3; [7] l’Unione Sarda 1/3; [8] www.cantonmarittimo.org; [9] reteuno.rsi.ch 13/3, [10] Pietro Saccò, avvenire.it 15/3.