Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 16 Domenica calendario

LA REGOLA DEI 5 SECONDI FUNZIONA?

La regola dei cinque secondi dice: se un pezzo di cibo cade per terra hai cinque secondi per prenderlo e mangiarlo prima che la sua superficie venga invasa dai batteri. Da qui il nome. Al di là del fatto che raccogliere e mangiare cibo caduto in terra tende a non essere un comportamento accettato nella buona società, la regola dei cinque secondi è generalmente considerata una sciocchezza.
Diverse ricerche sono state fatte per dimostrare se dietro la regola ci fosse qualcosa di vero e i risultati sono stati tutti più o meno negativi. Ad esempio, nel 2003, la ricercatrice americana Jillian Clarke ha dimostrato che anche una brevissima esposizione contaminava il cibo caduto su una superficie infestata dal batterio Escherichia coli. Questa ricerca le è valsa il premio Ig Nobel nel 2004.
Qualche anno dopo un altro scienziato americano, Paul Dawson, tentò lo stesso esperimento – con criteri ancora più precisi e procedimenti più complessi. Il batterio questa volta era quello della salmonella e riuscì a trasferirsi sul cibo in meno di un secondo. Dopo le sue conclusioni, Dawson propose di ribattezzare la regola “regola degli zero secondi”. Nella scienza però ci sono poche certezze incontrovertibili e accade spesso che nuove ricerche mettano in dubbio le conclusioni di altri scienziati.
In parte è proprio quello che è accaduto agli studi di Clarke e Dawson. Questa settimana, Slate ha raccontato la storia di una nuova ricerca che mette in dubbio tutte le certezze che avevamo sulla regola dei cinque secondi. Lo studio è stato pubblicato il 10 marzo da alcuni ricercatori dell’università di Aston, nel Regno Unito, e la sua conclusione è più o meno questa: in realtà il fattore tempo nell’esposizione del cibo al suolo è importante, e lo è anche il tipo di suolo.
I ricercatori hanno fatto esperimenti con diversi cibi e diverse superfici. Hanno utilizzato pasta, biscotti, pane e dolci appiccicosi e li hanno fatti cadere su pavimenti piatti, ruvidi o coperti da tappetti e moquette. Il tempo di trasferimento sul cibo di batteri di Escherichia coli e staffilococco aureo è stato tra i 3 e i 30 secondi. I batteri, dice la ricerca, hanno le maggiori difficoltà a spostarsi dai tappeti agli alimenti secchi.
Lo studio non è stato ancora pubblicato su nessuna rivista scientifica e gli stessi ricercatori sono molto prudenti: affermare che la regola dei cinque secondi è senz’altro valida è certamente un’esagerazione giornalistica che ha poco di scientifico. Anthony Hilton, professore di microbiologia e uno dei responsabili della ricerca, ha spiegato infatti che mangiare cibo caduto in terra, indipendentemente dalla quantità di tempo trascorso sulla superficie, porta con sé «inevitabili rischi di infezione».