Andrea Giacobino, Avvenire 16/3/2014, 16 marzo 2014
RCS, TELECOM E GENERALI: CAPITALISMO IN GUERRA
Un campo di battaglie, dove si contano già qualche morto e molti feriti. Il capitalismo italiano, visto anche da lontano e non dagli addetti ai lavori, pare da qualche tempo il teatrino di una guerra combattuta senza esclusione di colpi. Una contesa dove vecchi potentati sono stati spazzati via o sono in fase di rottamazione mentre altri più giovani già innalzano i loro vessilli o tentano di conquistare nuovi territori. Diciamo subito che questa guerra non è un bene per l’immagine che i nostri capitalisti trasmettono all’estero, a quel mondo dei grandi investitori istituzionali dei cui capitali il nostro Paese ha più bisogno che mai.
La battaglia infuria in almeno tre roccaforti del nostro sistema economico privato: Rcs, Telecom e Assicurazioni Generali. Nel primo, il gruppo che edita il Corriere della Sera, siamo al tutti contro tutti: sciolto il patto di sindacato che aveva retto per anni l’equilibrio fra i grandi e piccoli azionisti, oggi l’imprenditore Diego Della Valle se la prende con John Philip Elkann, numero uno di Fiat che ha rafforzato la sua presa di controllo dopo un discusso aumento di capitale. Fra i due da un po’ di tempo volano apprezzamenti poco simpatici, mentre altri imprenditori che nell’azienda hanno creduto e investito (dai Merloni ai Pesenti) osservano stupefatti il battibecco. In tutto questo Rcs continua a perdere soldi.
Non meglio le cose vanno, dal punto di vista economico, dalle parti del gigante telefonico. La fine del monopolio prima e il passaggio da privatizzazioni sbagliate, prima con l’era di Roberto Colaninno e poi con quella di Marco Tronchetti Provera, ha lasciato Telecom sotto una montagna di debiti e con crescenti rossi di bilancio. Il nocciolo duro dei soci, da Intesa Sanpaolo a Mediobanca fino a Generali non vede l’ora di andarsene. Intanto, sfiduciato dal consiglio d’amministrazione, un top manager come Franco Bernabè ha dovuto fare le valigie e mentre un socio italiano come Marco Fossati (Star) auspica la public company, il pressing crescente dell’altro azionista forte, il colosso spagnolo Telefonica, riuscirà probabilmente a impadronirsi di tutto il gruppo. E le Generali? Almeno il Leone sotto la guida di Mario Greco macina utili, in compenso però da mesi escono vicende imbarazzanti che riguardano l’operato degli ex manager e anche di alcuni soci: tutte cose che a Trieste non pensavano neanche potessero esistere. Perché questa litigiosità dei nostri capitalisti, che non lavano più i panni sporchi in famiglia ma in piazza? Non è solo questione di scontri caratteriali. La verità è che sono saltate le stanze di compensazione di conflitti d’interesse, di per sé inevitabili: i patti di sindacato anzitutto, ma anche quella Mediobanca che sotto Enrico Cuccia si preoccupava – oltre che di fare utili – di garantire l’equilibrio fra i grandi potentati privati e che oggi si occupa, invece, solo di portare a casa laute commissioni. Così quando pezzi dell’Italia finiscono in mani straniere (da Alitalia a Parmalat fino alla stessa Telecom) nessuno dei nostri capitalisti ci vuol più mettere un euro perché le grandi banche nostrane, loro per prime, si defilano da progetti di sistema. E chi ci perde, in questa guerra, è solo il Paese.