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 2014  marzo 16 Domenica calendario

RCS, TELECOM E GENERALI: CAPITALISMO IN GUERRA

Un campo di battaglie, do­ve si contano già qualche morto e molti feriti. Il ca­pitalismo italiano, visto anche da lontano e non dagli addetti ai lavori, pare da qualche tempo il tea­trino di una guerra combattuta senza esclusione di colpi. Una contesa dove vecchi potentati sono stati spazzati via o sono in fase di rottamazione men­tre altri più giovani già innalzano i lo­ro vessilli o tentano di conquistare nuo­vi territori. Diciamo subito che questa guerra non è un bene per l’immagine che i nostri capitalisti trasmettono all’estero, a quel mondo dei grandi investitori istituzio­nali dei cui capitali il nostro Paese ha più bisogno che mai.
La battaglia infuria in almeno tre roc­caforti del nostro sistema economico privato: Rcs, Telecom e Assicurazioni Generali. Nel primo, il gruppo che edita il Corriere della Se­ra, siamo al tutti contro tutti: sciolto il patto di sindacato che aveva retto per anni l’equilibrio fra i grandi e piccoli a­zionisti, oggi l’imprenditore Diego Del­la Valle se la prende con John Philip Elkann, numero uno di Fiat che ha rafforzato la sua presa di controllo do­po un discusso aumento di capitale. Fra i due da un po’ di tempo vola­no apprezzamenti poco simpatici, mentre altri imprenditori che nel­l’azienda hanno creduto e investi­to (dai Merloni ai Pesenti) osserva­no stupefatti il battibecco. In tutto questo Rcs continua a perdere sol­di.
Non meglio le cose vanno, dal pun­to di vista economico, dalle parti del gigante telefonico. La fine del mono­polio prima e il passaggio da privatiz­zazioni sbagliate, prima con l’era di Ro­berto Colaninno e poi con quella di Marco Tronchetti Provera, ha lasciato Telecom sotto una montagna di debiti e con crescenti rossi di bilancio. Il noc­ciolo duro dei soci, da Intesa Sanpaolo a Mediobanca fino a Generali non vede l’ora di andarsene. Intanto, sfiduciato dal consiglio d’am­ministrazione, un top manager come Franco Bernabè ha dovuto fare le vali­gie e mentre un socio italiano come Marco Fossati (Star) auspica la public company, il pressing crescente dell’al­tro azionista forte, il colosso spagnolo Telefonica, riuscirà probabilmente a impadronirsi di tutto il gruppo. E le Generali? Almeno il Leone sotto la guida di Mario Greco macina u­tili, in compenso però da mesi e­scono vicende imbarazzanti che ri­guardano l’operato degli ex mana­ger e anche di alcuni soci: tutte co­se che a Trieste non pensavano neanche potessero esistere. Perché questa litigiosità dei nostri ca­pitalisti, che non lavano più i panni sporchi in famiglia ma in piazza? Non è solo questione di scontri caratteriali. La verità è che sono saltate le stanze di compensazione di conflitti d’interesse, di per sé inevitabili: i patti di sindaca­to anzitutto, ma anche quella Medio­banca che sotto Enrico Cuccia si preoc­cupava – oltre che di fare utili – di ga­rantire l’equilibrio fra i grandi poten­tati privati e che oggi si occupa, invece, solo di portare a casa laute commis­sioni. Così quando pezzi dell’Italia fi­niscono in mani straniere (da Alitalia a Parmalat fino alla stessa Telecom) nessuno dei nostri capitalisti ci vuol più mettere un euro perché le grandi ban­che nostrane, loro per prime, si defila­no da progetti di sistema. E chi ci per­de, in questa guerra, è solo il Paese.