Francesco Manacorda, La Stampa 15/5/2014, 15 maggio 2014
E GLI AUMENTI DI CAPITALE DIVENTANO IPO BANCARIE
La lunga estate degli aumenti di capitale delle banche italiane si sta trasformando di fatto per molte di loro in una sorta di nuova offerta di azioni al pubblico, una Ipo 2.0 che vedrà arrivare nuovi soci forti - l’interesse dall’estero non manca, come mostrano anche le ultime notizie di cronaca - e cambiare radicalmente le posizioni di azionisti finora consolidati.
Per capire come i circa 8 miliardi di euro di aumenti di capitale previsti nei prossimi mesi impatteranno sugli equilibri del sistema basta confrontare i valori di capitalizzazione degli istituti quotati con quelli delle operazioni che hanno messo in cantiere: si va da un Montepaschi che ad oggi capitalizza 2,7 miliardi e che al mercato di miliardi ne chiederà 3 (dunque il 110% della sua capitalizzazione) a una Carige che con 1,2 miliardi di valore di Borsa cerca 800 milioni (circa il 65% della capitalizzazione), fino a casi meno eclatanti come la Popolare di Milano che capitalizza oltre 2 miliardi e al mercato chiederà 500 milioni, ossia meno del 25% di quella somma.
In totale le banche quotate che hanno optato per l’aumento capitalizzano circa 11 miliardi e chiedono al mercato 6,5 miliardi, ossia il 55% del loro attuale valore di Borsa. Una percentuale «monstre» - visto che di solito gli aumenti si limitano al 25-30% della capitalizzazione - che ovviamente avrà effetti molto diluitivi su chi, tra i soci attuali, non vorrà o non potrà sottoscrivere le operazioni. Questo, ad esempio, è il caso di almeno due fondazioni bancarie finora regine indiscusse nelle loro partecipate, come la Fondazione Mps e la Fondazione Carige, che stanno addirittura cedendo parte delle loro quote di maggioranza relativa prima degli aumenti e che usciranno molto ridimensionate nel nuovo assetto azionario.
Anche nelle Popolari non quotate che hanno dato il via alle ricapitalizzazioni - prima fra tutte la Vicenza che chiede ai soci un miliardo - gli assetti potrebbero cambiare: tutto dipenderà dalla propensione che i piccoli azionisti mostreranno nel sottoscrivere gli aumenti e che questa volta potrebbe essere un po’ meno marcata che in passato.
In parallelo alla grande concentrazione di aumenti che si prevede tra la primavera e le prime settimane dell’estate, forse con qualche rischio di ingorgo tra operazioni diverse, si segnala anche una tensione sui costi dei consorzi di collocamento, quei pool di banche che garantiscono di sottoscrivere tutte le eventuali azioni inoptate. Se in passato un istituto di credito di medie-grandi dimensioni riusciva a far andare in porto operazioni di questo genere pagando un controvalore pari a circa il 3% dell’aumento al consorzio di banche collocatrici, adesso i costi si sono decisamente alzati. Sia Mps sia Popolare di Milano, secondo fonti di mercato, hanno spuntato dopo accese negoziazioni con i loro consorzi percentuali che si aggirano attorno al 4%, mentre in almeno uno degli aumenti in preparazione le banche che curano il consorzio di garanzia avrebbero chiesto una commissione del 5%.
A spingere in alto il prezzo delle operazioni sono fattori concomitanti: il primo è che alcune banche, un caso per tutti è quello del Banco Popolare, sono state sostanzialmente obbligate dalla Banca d’Italia a rafforzare il capitale, e hanno dunque scarso potere negoziale nello stabilire le condizioni di un’operazione che non possono rimandare.
Ma pesa anche una percezione del rischio maggiore, legata sia ad eventuali incognite legate agli stress test e all’Asset Quality Review promosso dalla Banca centrale europea, sia - in alcuni casi - all’entità dell’operazione rispetto alla capitalizzazione della banca; proprio il fatto che in alcuni casi ci si trovi di fronte a una sorta di offerta pubblica di azioni sul mercato mette sul consorzio di collocamento un peso maggiore, che spinge appunto la richiesta di commissioni più alte.
Il tema, seppure non ancora drammatico - alcuni banchieri d’affari che curano consorzi di collocamento affermano che l’aumento delle commissioni è al massimo nell’ordine del 10-15% - è comunque all’attenzione della Consob, che ritiene opportuno segnalare al pubblico dei risparmiatori qualsiasi eventuale profilo di rischio. Proprio per questo è in corso in Consob una riflessione sull’opportunità che i prospetti informativi per gli aumenti riportino anche dati espliciti e precisi sul costo dei consorzi di garanzia.