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 2014  marzo 12 Mercoledì calendario

SCANDALO FARMACI – IL GUADAGNO VALE PIÙ DELLA SALUTE


Truffa, disastro doloso, associazione a delinquere: sono i reati su cui indagano i magistrati per lo scandalo Avastin/Lucentis. Che ha già portato a un’astronomica multa (180 milioni di euro) da parte dell’Agcom (Autorità garante della concorrenza e mercato, in breve Antitrust) contro le multinazionali produttrici dei due farmaci: Roche e Novartis.
Le case farmaceutiche avrebbero collaborato (entrambe, infatti, ne avrebbe ottenuto un guadagno) per ostacolare l’utilizzo di un farmaco 50 volte più economico (Avastin) a favore di uno molto più costoso (Lucentis) contro una grave malattia della vista, la maculopatia senile degenerativa. Ne soffrono 300 mila pazienti in Italia: la maculopatia è la prima causa di cecità dopo i 75 anni. «E sono 100 mila i malati che dal 2012 hanno subito danni per il rallentamento delle cure», ci spiega Matteo Piovella, presidente dei 5 mila oculisti riuniti nella Soi (Società oftalmologica italiana), che ha denunciato il caso due anni fa. «Non potendo più praticare le iniezioni intravitreali di Avastin, infatti, i medici hanno dovuto centellinare quelle del costosissimo Lucentis».
Ma com’è potuto accadere? Quali sono le regole per stabilire i prezzi dei farmaci, controllandone l’immissione in vendita? E che cosa non ha funzionato? Ogni anno le medicine ci costano 26 miliardi di euro. Una cifra immensa, che fa gola a molti. Ciascuno di noi spende in media, in farmacia, 300 euro. Ma, aggiungendo i farmaci dispensati da Asl e ospedali, sono 434 euro a resta. Spesi bene?
«I prezzi delle medicine variano da un euro a migliaia di euro», ci spiega Silvio Garattini, direttore dell’Istituro di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano e autore del libro Fa bene o fa male? (Sperling & Kupfer, 2013). «Dipendono dal costo della materia prima? No. I principi attivi costituiscono solo una piccola frazione del prezzo. E anche le spese per la ricerca farmaceutica sono sorprendentemente basse. Infatti, nonostante vengano diffusi dati di grande impatto emozionale come “sviluppare un nuovo farmaco costa 1 miliardo di euro!”, la ricerca in realtà rappresenta solo l’8 per cento sul totale del fatturato delle aziende farmaceutiche».

UN TERZO DEL PREZZO VA IN PROMOZIONE
I prezzi dei farmaci sono almeno proporzionali al loro beneficio? «Se fosse così, dovrebbero essere molto bassi», sostiene amaro Garattini. «Su 280 nuovi farmaci messi in commercio negli ultimi dieci anni, il 51% incrementa una buona qualità della vita di solo un mese. Solo nel 12% dei casi il miglioramento è di almeno un anno. I farmaci antitumorali più recenti costano parecchie migliaia di euro per ciclo ma, alla fine, aumentano la sopravvivenza di un paio di mesi».
Cosa condiziona allora il prezzo di un medicinale? «La “promozione”, che incide per oltre un terzo del prezzo. Far conoscere un farmaco costa parecchio. Bisogna organizzare congressi e meeting, realizzare materiali stampati, e soprattutto occorre mettere in moto la giostra degli informatori farmaceutici, che devono visitare i medici per persuaderli a prescrivere i farmaci».
Infine, un altro terzo del prezzo al pubblico va in spese di distribuzione: 3% ai grossisti, 30 alle farmacie.

SETTE MILIARDI PER GLI OSPEDALI
L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), che dipende dal ministero della Salute, decide per ogni farmaco la classe di rimborsabilità. Quelli senza obbligo di prescrizione (ricetta del medico) hanno prezzo libero, a carico del paziente. L’Aifa controlla solo quelli non rimborsati ma con obbligo di ricetta: aumenti permessi ogni due anni, e senza superare l’inflazione programmata. Poi ci sono i medicinali rimborsati dal Servizio sanitario nazionale: su questi l’Aifa negozia il prezzo con le aziende produttrici. Anche perché sette miliardi di euro annui vengono spesi direttamente da ospedali e Asl.
Proprio in ambito ospedaliero è scoppiato il caso Avastin/Lucentis. Avastin era stata registrata nel 2004 per la cura contro il cancro dalla Roche. Poi si è scoperto che funzionava anche contro la maculopatia essudativa. Due anni dopo Novartis ha brevettato un farmaco specifico contro la maculopatia: Lucentis. Ora si scopre che le due aziende hanno favorito il secondo trattamento più costoso a svantaggio del primo. In questo modo, grazie ai rapporti che legano le due società, entrambe avrebbero ricevuto i propri guadagni.
Roche ha interesse a favorire le vendite di Lucentis, perché ottiene royalties: il farmaco è stato, infatti, sviluppato dall’americana Genentech, controllata da Roche. E Novartis, oltre a guadagnarci direttamente, lo fa anche indirettamente, attraverso la sua partecipazione (il 30%) in Roche. La Guardia di Finanza ha sequestrato e-mail fra dirigenti italiani delle due società che si mettono d’accordo, utilizzando anche articoli compiacenti della stampa specializzata e «pareri» favorevoli di medici.
Nel 2007 l’Aifa permise l’utilizzo di Avastin per la cura delle maculopatie nella forma off label: espressione che indica l’utilizzo di un farmaco al di fuori delle indicazioni terapeutiche ufficiali. Si è andati avanti così fino al 2012, quando l’Aifa decide di escludere Avastin dagli off label. Da allora la Sanità pubblica ha passato solo Lucentis, spendendo 45 milioni di euro in più rispetto all’Avastin in un solo anno. Non è la prima volta che una casa farmaceutica (o due in combutta fra loro) favorisce un farmaco più remunerativo, a scapito di altri ugualmente efficaci e sicuri ma più economici. È successo, per esempio, per il gabapentin e il pregabalin, principi attivi molto simili che si usano contro il dolore neuropatico. Il primo è più vecchio: quando il brevetto è scaduto, il produttore Pfizer ha messo il secondo sul mercato con un costo più alto, organizzando campagne per decantarne le proprietà innovative.

A CHE SERVONO I NUOVI FARMACI?
Ed ecco un altro problema. Spiega Garattini: «Ci sono molti farmaci, forse troppi, con le stesse indicazioni terapeutiche. Degli antipertensivi, per esempio, si contano centinaia di confezioni. Come mai? Sono tutti necessari? Per l’approvazione di un nuovo farmaco la legge europea richiede tre caratteristiche: qualità, efficacia, sicurezza. Qualità: il farmaco deve possedere sempre la stessa composizione, essere stabile per un certo periodo, così da fissarne la scadenza, e assorbibile per poter penetrare nel sangue. Efficacia: capacità d’esercitare un effetto benefico. Sicurezza: conoscenza degli effetti collaterali. Nulla da eccepire, ma queste caratteristiche non sono valori assoluti: andrebbero confrontati con quanto già esiste in terapia per le stesse indicazioni. Invece i confronti non vengono richiesti dalla legge. Quindi c’è la possibilità che un nuovo farmaco sia meno attivo o più tossico di quelli già disponibili».
C’è, infine, un problema di buon senso. Avastin costa 15 euro a iniezione, Lucentis 750. Quando fu introdotto, il suo prezzo era addirittura 1.500 euro. «Se il produttore si fosse accontentato di un prezzo superiore ma accettabile, per esempio 200 euro, il caso non sarebbe nato», spiega il presidente Piovella. Insomma, le case farmaceutiche hanno tutto il diritto di guadagnare dai farmaci che producono. Anche perché i loro brevetti scadono dopo vent’anni. Ma con misura.
Mauro Suttora
(Ha collaborato Valentina Arcovio)