Alessandra Giardini, Corriere dello Sport 14/3/2014, 14 marzo 2014
VOLEVO CORRERE CON LA BANDANA
[Moreno Moser]
CASCINA Uno che si chiama Moreno Moser e dice di assomigliare a Saronni. Uno che ha uno zio che ha vinto 276 corse in carriera e guarda l’albo d’oro della Tirreno-Adriatico e dice: «Il mio cognome c’è già due volte». Uno che sa a memoria i film di Quentin Tarantino. Uno che se deve citare una donna che gli piace pensa a Margherita Hack. Uno che se gli chiedi quante ragazze sono state con lui perché vince le corse e si chiama Moser risponde «tutte, credo», e poi però capisce che non si può scherzare proprio su tutto. «No, dai, magari qualcuna no». Uno che dice che senza il ciclismo sarebbe ancora un fancazzista. Beh, insomma. Uno così non si trova proprio tutti i giorni.
Certo che lei se le va a cercare. Dire che assomiglia a Saronni... Lo sa che lei è un Moser?
«Però corro più come un Saronni, anche se non sono sicuro di averlo detto io. Da piccolo comunque tifavo Pantani. Mi piaceva: la bandana, il pirata, ste robe qui».
Metteva la bandana?
«Mi sarebbe piaciuto, ma mio padre non me l’avrebbe permesso. E’ un tipo più classico, diciamo così».
E lei fa quello che dice suo padre? Non sembra il tipo.
«Beh, ma ero un bambino».
Una volta ha detto che era un fancazzista, ma il ciclismo l’ha salvata.
«Un po’ fancazzista ero, ma non so se il ciclismo mi ha salvato. E’ per quello che tutti dicono: Moser ha i numeri, se soltanto volesse... Ecco, questo mi fa impazzire. Il primo anno vincevo una corsa dietro l’altra e dicevano che finalmente ci avevo messo la testa, che ero cambiato. Adesso faccio esattamente le stesse cose, ma siccome non vinco più dicono che non sto lì con la testa. Si sa: contano soltanto i risultati, il resto è zero».
Forse con quell’inizio di carriera si è un po’ viziato.
«Forse sì».
E come mai adesso fa fatica a ottenere questi benedetti risultati?
«Speravo che non arrivasse questa domanda. Se sapessi la risposta... Diciamo che il livello delle corse si è alzato. E anche lo stress».
Non è che le sono tornati i dubbi? Da dilettante aveva deciso di smettere.
«No. Allora non ero decisissimo a diventare un corridore. Ma non è che qualcuno mi abbia convinto: è che qualcosa che devi trovare dentro di te».
E adesso c’è?
«I sacrifici ci sono sempre. Ma adesso la prendo con filosofia. Sono convinto che quando sarò più grande ripenserò alla fortuna che ho avuto a correre».
Qual è la cosa che pesa di più?
«Mi mancano un po’ le serate fatte bene, quelle senza pensare che la mattina mi dovrò allenare. Quelle in cui puoi fare tardi, bere un bicchiere, sentirti come gli altri».
E’ così duro questo nuovo preparatore tedesco, Peter Weber? E’ vero che vi fa allenare a digiuno?
«Beh, io non l’ho fatto tanto spesso. Certo, è uno molto esigente».
Uno così può diventare una bomba assieme a uno come Basso.
«In effetti è già successo, sono fatti uno per l’altro».
Mangia ancora due piatti di pasta invece delle gallette di riso?
«La pasta la mangiamo tutti. Io non ho mai avuto problemi in questo senso: lo so che parlo come le modelle, solo che io sono sincero».
I sacrifici sono ripagati. Lei è un professionista. I suoi amici, a casa, che cosa fanno?
«Studiacchiano. Lavoricchiano».
E Moser cosa fa quando non corre?
«Una vita normale, a casa. Non ho mai pensato di vivere in un altro posto. Non seguo tanto gli altri sport. Mi piace il cinema. La grande bellezza sì, l’ho visto volentieri. E poi fa un po’ figo dire che ti è piaciuto».
Sorrentino nel discorso dell’Oscar ha citato le sue fonti di ispirazione. Facciamo un gioco: lei vince la Liegi e chi cita dal palco?
«Chi mi ha ispirato? I Pink Floyd, Quentin Tarantino e Michael Jordan».
Con tutti i corridori che ha in famiglia?
«Non ho seguito molto quello che mi diceva mio padre. A lui la Sanremo non piace, io non vedo l’ora di vincerla».
Che cosa le piace della Sanremo?
«Il fascino, il Poggio, la Cipressa. Tutto. Ero andato a provare anche la Pompeiana, ma è stato inutile».
Quante possibilità pensa di avere alla Sanremo?
«Dopo la Tirreno potrei essere più preciso».
Se dovessimo scegliere noi, forse la vedremmo meglio alla Liegi.
«E’ sempre stata il mio pallino. Ma da quando sono professionista ho rivalutato la Sanremo».
Lei e Sagan avete la stessa età.
«Siamo molto diversi. Lui è una macchina da guerra in tutto quello che fa, è calcolatore, stradeterminato. Non lascia mai niente al caso, anche se magari gli piace far credere di essere naif. Io sono molto più naif, e comunque mi piace, mi va bene come sono».
Vogliamo fare tutta un’intervista senza parlare del fatto che si chiama Moser?
«Perché no? Tanto per cambiare».