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 2014  marzo 14 Venerdì calendario

«BANCHE OMBRA» E DAFAULT, È ALLARME SPECULAZIONE


«È come quando trovi uno scarafaggio morto in cucina. Dovresti sapere che ce ne saranno altri». L’analista finanziario Huang Cendong ha commentato così sul Wall Street Journal primo default della storia finanziaria cinese, quello della Shanghai Chaori Solar Energy Science and Technology avvenuto il 7 marzo scorso. La compagnia, che produce componenti per impianti solari, ha ammesso di non poter pagare tutti gli interessi, 14,7 milioni di dollari, in scadenza sui bond emessi nel 2012 (un miliardo di yuan, circa 163 milioni di dollari). La società è in rosso da tre anni, vittima della produzione in eccesso che ha colpito tutto il settore, e il crack si annuncia definitivo.
La Chaori è stata abbandonata al suo destino, entrando così nella storia, mentre altri “scarafaggi”, che erano già strisciati fuori mezzi morti, sono stati riportati in vita dal salvifico intervento pubblico. È il caso dello Shanxi Zhenfu Energy Group in nome del quale il China Credit Trust, una delle più grandi “banche ombra” del paese, nel 2011 ha emesso 3 miliardi di yuan (quasi 500 milioni di dollari) di bond a un tasso di ritorno straordinario del 10% per tre anni, remunerazione che avrebbe dovuto essere consegnata agli investitori l’1 febbraio scorso. Il che non è avvenuto, anche perché la miniera che avrebbe dovuto estrarre carbone di primissima qualità, e che giustificava il valore delle emissioni, non è mai finita nelle mani del gruppo Zhenfu, bloccata da una querelle con il governo locale. La compagnia era dunque al collasso da tempo mentre i bond giacevano inutili nelle tasche degli ignari investitori. E tuttavia stavolta il disastro è stato evitato.
China Trust, che ha emesso il “prodotto” tossico, e la Industriai and Commercial Bank of China, una delle banche più grandi del paese, che lo ha avallato e distribuito, hanno trovato il modo di salvare il fondo di investimento e retribuire gli investitori. Il tutto con danaro pubblico e l’evidente appoggio del governo che finora ha coperto simili operazioni in nome della “stabilità”, economica, finanziaria, sociale e politica.
Finora. Ma ora che si prevedono altri fallimenti a causa della critica congiuntura economica in cui si trova il paese, la salvezza non sarà garantita. Lo ha fatto intendere ieri lo stesso premier Li Keqiang, nella conferenza stampa che ha chiuso i lavori dell’Assemblea nazionale del popolo. Per bilanciare gli effetti di quella che si annuncia come una dolorosa resa dei conti, il premier ha insufflato ottimismo sulle prospettive dell’economia, dopo le ombre minacciose gettate dagli ultimi dati che si sono aggiunti al crollo dell’export e che confermano un rallentamento della crescita della produzione industriale (8,6% in gennaio e febbraio contro il 9,7% di espansione in dicembre) e degli investimenti. Di fatto il passo della crescita cinese si è fatto più lento, l’irrazionalità della politica di investimenti sta presentando il conto anche in settori, come quello energetico, apparentemente sicuri, e le riforme necessarie richiederanno tempo per decollare a causa delle enormi conseguenze che potrebbero avere sul sistema nel suo complesso.
Il fallimento della Chaori, piccola e senza santi in paradiso, è dunque un avvertimento: chi rischia, certo che la mano visibile dello Stato rimedierà agli errori della mano invisibile del mercato “con caratteristiche cinesi”, d’ora in poi si sentirà meno sicuro, anche se resta sempre la speranza che i “troppo grandi” non potranno mai essere lasciati fallire e di sicuro ci sarà una selezione fra “sommersi” e “salvati” i cui criteri non saranno probabilmente limpidi.
Di fatto i debiti del sistema economico cinese nel suo complesso hanno raggiunto ormai proporzioni colossali che poggiano sull’impalcatura sbilenca e opaca di un sistema creditizio sbilanciato e dicotomico. Da una parte il circuito ufficiale delle grandi banche di Stato che genera patologie finanziarie gravi nella distribuzione del credito e dall’altra lo “shadow banking”, sistema bancario ombra (emanazione paradossale e distorta del primo), dal ruolo sempre più rilevante e che con i suoi trust fund, società di leasing, veicoli finanziari al di fuori di ogni controllo, ha fornito prestiti in modi assai rischiosi. La recente decisione del governo di consentire la costituzione di 5 banche private va nella direzione di rimettere ordine nella giungla.
Da quando è scoppiata la crisi globale, cinque anni fa, l’indebitamento delle compagnie cinesi, anche in seguito alle misure di “stimolo” decise per contrastare la crisi, è cresciuto a una velocità superiore a quella dell’economia. Secondo le stime della J.P. Morgan Chase & Co., nel 2012 il debito delle corporations ha raggiunto il 124% del Pil dal 92% del 2008. Per un raffronto, negli Usa la percentuale è dell’81% mentre nelle economie emergenti oscilla fra il 40 e il 70%. (WSJ online 9/3/2014).
Che la Chaori, e persino la Zhengfu, siano una goccia in un mare in tempesta lo dice la cifra fornita dall’autorevole giornale economico cinese Caixin secondo il quale nel 2014 scadranno 2.700 miliardi di yuan (circa 450 miliardi di dollari) di bond emessi da compagnie e 1200 miliardi di yuan (circa 200 miliardi di dollari) di prestiti ad alto interesse concessi attraverso i trust fund. (Caixin online l2/2/2014).
Sulla linea di fuoco c’è ora il settore immobiliare, al centro di una bolla speculativa che se scoppiasse sarebbe devastante ma che di sicuro è diventata insostenibile. I governi, quello centrale e quelli locali, stanno cercando di abbassare la febbre ma, anche qui, la Cina cammina su una corda tesa. Una crisi di crescita, certo, ma non per questo meno grave.