Francesco Paternò, pagina99 14/3/2014, 14 marzo 2014
IDEA GIAPPONESE: RIPARTIRE DAI SALARI
Dal Giappone arriva una ricetta che già il vecchio Henry Ford, un secolo fa, aveva usato a modo suo per piazzare la Model T e far decollare la produzione dando più soldi ai suoi dipendenti. Oggi il primo ministro Shinzo Abe – da cui deriva la politica di stimoli chiamata Abenomics – ha chiesto alle imprese del paese e in particolare alle maggiori, dalla Toyota alla Hitachi, di aumentare gli stipendi dei lavoratori per aumentare i consumi, battere la deflazione che aleggia ormai da quindici anni e rilanciare la crescita.
La risposta è stata positiva: dopo sei anni di buste paghe ferme, dal prossimo 1 aprile (occhio alla data, però) mediamente scatteranno aumenti di 2700 yen, l’equivalente di 26,20 dollari o di circa 19 euro. I sindacati chiedevano almeno 4000 yen in più, anche perché di quel che le aziende danno su pressione del governo, lo stato se ne metterà una parte in tasca avendo aumentato la tassazione del 3% sull’equivalente della nostra Iva, e sempre dal 1 aprile. Non è uno scherzo. Visto proprio da lontano, è piuttosto una sorta di Renzinomics alla giapponese: per stimolare i consumi e provare a far ripartire l’economia, l’unica, strada è di distribuire un po’ di denaro ai lavoratori. La differenza è che il nostro presidente del consiglio si sarebbe impegnato pure a ridurre il cuneo fiscale, mentre Abe si è di fatto dato un aumento delle entrate fiscali a spese di aziende e lavoratori per fare cassa.
Detto questo, la Fiat per esempio proprio non ci sente alla richiesta di aumenti di stipendio appena avanzata dai sindacati (e respinta con perdite). Va anche detto che la situazione alla Toyota, come nelle altre multinazionali giapponesi cui il governo si è rivolto con toni a dire il vero minacciosi contro chi non avesse «cooperato», è resa molto diversa non solo dalle proporzioni storicamente altre del livello di export, ma anche dalla pilotata debolezza della divisa.
Il prossimo 31 marzo per il Giappone si chiude il quarto trimestre dell’anno fiscale 2013-2014. Per la maggior parte delle aziende del paese, che vivono di esportazioni, si prevede già festa grande anche grazie alla svalutazione competitiva dello yen su cui tanto spinge la Abenomics. La Toyota, per fare un esempio concreto, dovrebbe aver conseguito nell’anno fiscale utili record per 23,7 miliardi di dollari, secondo il consensus degli analisti. Si tratta di una montagna di soldi guadagnati vendendo veicoli in tutto il mondo che ne fanno il primo produttore mondiale, certo. Ma sarà una cifra record anche grazie a una svalutazione dello yen di circa il 9% rispetto al dollaro. L’utile, in divisa locale, dovrebbe attestarsi sui 2400 miliardi, superiore ai 2200 di sei anni fa. Un dato che allora stupì tutti e fece inchinare l’intero settore davanti alla strapotenza dei giapponesi, appena prima della scomparsa della Lehman Brothers e del precipizio finanziario mondiale in cui finimmo tutti per l’esplosione dei mutui subprime americani.
Abe ha chiamato questa operazione «offensiva di primavera sul lavoro». La pressione sulle imprese è stata fortissima: secondo un sondaggio della Reuters, in febbraio l’80 % delle società interpellate non aveva intenzione di aumentare gli stipendi né di compensare in qualche modo la maggiore tassazione del 3% decisa dal governo. Dopo le parole su imprecisate ritorsioni da parte del ministro dell’Economia Akira Amari, le aziende più grandi hanno approvato un aumento medio del 2,2-2,3%, mentre minore è stato per quelle più piccole.
Per la Toyota è addirittura l’aumento di stipendio più consistente concesso negli ultimi 21 anni, cui vanno aggiunti dei bonus che faranno salire l’incremento complessivo del 7,6%, secondo i calcoli della Reuters. Meglio dei 2700 yen ha fatto la Nissan, il secondo costruttore di veicoli del paese, che ha dato ai suoi dipendenti un aumento mensile di 3500 yen, più bonus. Ma il produttore minore Daihatsu, per altro controllato dalla Toyota, ha allargato le braccia fermandosi a 800yen: siamo troppo piccoli per competere, e poi le cose vanno male sul mercato in Indonesia, e via di seguito. La Honda, il terzo grande produttore di veicoli e motori, si è invece fermato a 2200 yen, sostenendo che di più non può fare essendo nel pieno di una «ristrutturazione» del gruppo. Ma tutto il settore dei fornitori che ruota intorno ai tre principali costruttori, come si comporterà? Viene il dubbio che i grandi potrebbero far pagare a loro l’aumento concesso, stringendo ancora di più i margini.
In altri settori, Abe sembra avere ottenuto meno. La Hitachi, che con 200.000 dipendenti è il più grande produttore del paese, e la Panasonic hanno messo in busta paga soltanto 2000 yen in più, la metà di quanto chiesto dai sindacati. Ma il più 3% di tasse dell’l aprile è lì e vale per tutti.