Sergio Rizzo, Corriere della Sera 14/3/2014, 14 marzo 2014
QUELLA COMMISSIONE FANTASMA SULLE MINACCE A SINDACI E ASSESSORI
Il socialista Enrico Buemi aveva avvertito: «L’istituzione di un nuovo organo che costituisce un doppione della Commissione antimafia rischia di portare acqua al mulino di chi critica il Parlamento come fonte di sprechi...». Osservazioni, nonostante le appassionate requisitorie di alcuni quali la senatrice democratica Rosaria Capacchione capace di ricordare puntigliosamente come alcuni assessori del Comune di Napoli o della Regione Campania debbano girare sotto scorta per le minacce ricevute, condivise da molti altri. A cominciare dai grillini per arrivare alla sinistra più radicale, passando per Forza Italia. Il clima però, restava incandescente: il 26 luglio era spirata Laura Prati, sindaco di Cardano al Campo ferita a morte da un vigile urbano. E il 3 ottobre 2013 il Senato dava finalmente via libera a una Commissione d’inchiesta sulle intimidazioni agli amministratori locali. Prima firmataria della proposta, Doris Lo Moro, che aveva già avanzato la stessa richiesta alla Camera, ma quella volta senza successo, il 25 gennaio 2012.
I tempi concessi a 20 senatori per far luce sull’inquietante (e crescente) fenomeno delle minacce a sindaci e assessori, avrebbero dovuto essere serratissimi: sei mesi in tutto. Peccato che dopo cinque mesi e dieci giorni dalla delibera, regolarmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale , la Commissione non sia stata neppure ancora costituita. Il motivo? Le indecisioni dei gruppi parlamentari, che devono indicare i loro commissari, il calendario incalzante, il cambio di governo... Del resto, anche un’altra Commissione d’inchiesta su un tema serio e impellente come gli infortuni sul lavoro, istituita il 4 dicembre per iniziativa di uno dei cofirmatari della proposta Lo Moro, Felice Casson, a distanza di 100 giorni non ha ancora un organigramma.
I contrari si fregheranno le mani, pensando a soldi risparmiati: il primo dei due organismi dovrebbe costare 50 mila euro. E buttali via, di questi tempi. I favorevoli, fra i quali il gruppo del Pd al gran completo, non potranno che rammaricarsi. Tanto più perché il predestinato a guidare la Commissione sulle minacce agli amministratori era uno di loro: il senatore siciliano Giuseppe Lumia, componente dell’Antimafia, uno dei pochi parlamentari del Pd alla sua sesta legislatura.
A chi osserva da fuori, invece, questa vicenda potrà far sorgere seri dubbi sull’utilità e l’effettivo scopo di certe iniziative parlamentari. I precedenti non mancano. Basterebbe ricordare come nella scorsa legislatura, in ossequio al principio del bicameralismo perfetto, abbiano visto la luce ben due Commissioni d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale: una al Senato, presieduta dall’attuale sindaco di Roma Ignazio Marino, e l’altra alla Camera, guidata invece dall’attuale sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Quest’ultimo era stato in precedenza candidato, senza successo, alla presidenza della Vigilanza Rai.
Di quelle due Commissioni d’inchiesta sulla sanità pubblica, che ovviamente si aggiungevano alle Commissioni sanità permanenti di Camera e Senato, oggi non ce n’è più traccia. Nonostante siano arrivate numerose le proposte per farle rivivere in entrambi i rami del Parlamento. Soltanto al Senato, delle 13 richieste di Commissioni d’inchiesta pervenute in un solo anno, ben 4 riguardano il servizio sanitario nazionale. Con qualche sfumatura differente fra destra e sinistra. Che in qualche caso marciano addirittura all’unisono. L’istituzione di una Commissione d’inchiesta sul caso Moro, a 36 anni dai terribili fatti di via Fani, è stata chiesta congiuntamente, fra gli altri, dall’ex ministro berlusconiano Maurizio Gasparri e dal senatore democratico Miguel Gotor, autore del saggio Lettere dalla prigionia , ispirato a quella tragica vicenda e vincitore del premio Viareggio 2008. Ma anche, alla Camera, da Giuseppe Fioroni e Gero Grassi, entrambi del Pd.
Nella lista delle proposte c’è davvero di tutto. Se il senatore del Pd Claudio Micheloni vuole una Commissione d’inchiesta sui costi della cooperazione allo sviluppo, il suo collega di Forza Italia Luigi D’Ambrosio Lettieri, farmacista di Bari, chiede che il Parlamento inchiodi le agenzie di rating. Mentre il Movimento 5 Stelle insiste perché si accenda un faro sul sisma dell’Aquila. Anche se Pierluigi Mantini l’aveva già proposto, invano, un mese dopo il terremoto: avendo probabilmente già annusato l’aria.
Perché quasi tutte queste iniziative sono destinate a finire su un binario morto. È capitato alla richiesta di istituire una Commissione d’inchiesta sul randagismo e la gestione dei canili, autrici le onorevoli pidielline Barbara Mannucci e Fiorella Ceccaci Rubino, nel 2009. Ma anche alla proposta di far indagare il Parlamento sull’intercettazione telefonica del 2005 fra il segretario diessino Piero Fassino e il capo dell’Unipol Giovanni Consorte, avanzata da Antonio Di Pietro. Oppure all’iniziativa del democratico Marco Beltrandi, che rivendicava un’inchiesta su Calciopoli. O a quella di Antonino Lo Presti, determinato nell’invocare un’indagine parlamentare sulle nomine pubbliche tanto quanto Enzo Carra nel volere chiarezza sulla situazione della Siae o Mario Baccini su quella dell’Alitalia.