Fabio Martini, La Stampa 14/3/2014, 14 marzo 2014
QUEI TRE MILIARDI CHE POSSONO SALVARE IL PIANO DEL PREMIER
Quel giovanotto italiano, ripetono a Berlino, piace ad Angela Merkel. Ma lunedì mattina quando accoglierà Matteo Renzi al Bundeskanzleramt, ovviamente la Cancelliera non lascerà trapelare sentimenti. Certo, la Merkel ha avuto l’intuito di puntare su Renzi in tempi non sospetti - era il luglio 2013 quando incontrò in forma riservata il sindaco di Firenze - ma da parte tedesca una naturale prudenza è d’obbligo per diversi motivi. Il primo: Renzi è il quarto presidente del Consiglio italiano nel giro di 28 mesi, un rosario di volti che ripropone la proverbiale litania sull’evanescenza italica. il secondo motivo è più fresco e sostanziale ed interpella Berlino, ma prima ancora Bruxelles: in giro per l’ Europa si è diffusa un’alea di dubbio sugli annunci fatti due giorni fa da Renzi.
Anche se nelle giornata di ieri il «giallo» delle coperture si è avviato verso una soluzione più chiara e che potrebbe segnare una svolta davvero importante nella vicenda del governo Renzi. Mercoledì il presidente del Consiglio aveva fatto capire che il 60% dei tagli delle tasse promesse sarebbe stato finanziato con un aumento del deficit, con una crescita del disavanzo fino a 6 miliardi. In altre parole una lievitazione che sarebbe potuta arrivare fino al 3% del prodotto lordo, soglia considerata a rischio a Bruxelles. Rischio serissimo: quello della procedura di infrazione.
Ecco perché, per tutta la giornata di ieri, si è dipanata per via diplomatica, una complessa trattativa che ha visti coinvolti palazzo Chigi, ministero dell’Economia e gli «uffici preposti» a Bruxelles e che ha portato a un importante punto di caduta che potrebbe risolvere la querelle: l’Italia è pronta ad impegnarsi con l’Ue per un aumento limitato del deficit, passando dal 2,6 al 2,8, dunque con un incremento dello 0,2% che consentirebbe di «guadagnare» 3,2 miliardi. A questa cifra vanno sommati i 3 miliardi stimati da Carlo Cottarelli come recupero realistico dalla spending review nell’arco del 2014 e dunque sommando le due cifre, si arriva a 6,2 miliardi, guarda caso la stima - grosso modo - indicata da Matteo Renzi ieri sera a Porta a Porta: «Per mantenere la promessa bastano 6,6 miliardi», meno dei dieci su cui si è ragionato per giorni perché tutto partirebbe da maggio e non all’inizio dell’anno, Dunque, se lo «sforamento» dal 2,6 al 2,8% sarà «autorizzato», Renzi sarà a cavallo.
Ma, con le istituzioni europee in scadenza, ancora prima che a Bruxelles, il presidente del Consiglio italiano dovrà avere il placet nella vera capitale dell’Europa politica: Berlino. Da parte sua Matteo Renzi si è preparato al mini-tour europeo - domani sarà a Parigi per incontrare il presidente Hollande e lunedì a Berlino - con un apparato concettuale che lo mette al riparo da brusche contestazioni: «Ci hanno fatto credere che l’Europa è nostra nemica, e l’Europa ha fatto di tutto per mostrarsi tale ma la nostra scommessa con Bruxelles è che le riforme le facciamo noi». E ancora: «Non teniamo in ordine i conti per fare un favore ai capi di governo, ma perché chi non lo ha fatto in passato, ha sbagliato». Lo schema di Renzi è chiaro: conosciamo il nostro «arretrato», sappiamo le riforme che dobbiamo fare, non chiediamo di sfondare i «sacri» tetti di Maastricht. Ma sul medio periodo - ecco la novità - Renzi si riserva di giocare una partita strategica. Come? Il premier ieri sera lo ha fatto capire sia pure con un brevissimo inciso: «Cosa l’Italia deve fare, gli italiani lo sanno benissimo. Ma non vi stupite se vi diciamo di cambiare regole». Per ora è soltanto una battuta, ma nella quale però si avverte l’eco di argomentazioni care a Romano Prodi, che di queste cose a suo tempo ha parlato con Renzi, e il cui pensiero è questo: «Non è stupido che esistano parametri come punti di riferimento, semmai è stupido che restino immutati per più di 20 anni».