Barry Eichengreen, Il Sole 24 Ore 14/3/2014, 14 marzo 2014
RENMINBI, SCIVOLATA SOTTO CONTROLLO
Da quando la Federal Reserve ha cominciato a ridurre i suoi acquisti mensili di bond a lungo termine, a dicembre scorso, le divise dei Paesi emergenti si sono deprezzate ovunque. L’eccezione più importante fino a poco tempo fa è stata l’indomito renminbi cinese. Ma adesso anche il renminbi è sceso rispetto al dollaro. L’ennesima dimostrazione dell’effetto perturbatore della politica della Fed?
La discesa del renminbi non è abissale e non si sa se continuerà o no, ma colpisce per le caratteristiche di quella che resta una divisa controllata con il pugno di ferro dall’autorità centrale. E va nella direzione opposta alle attese generali.
Certo, la riduzione delle misure di allentamento monetario da parte della Fed qualche effetto l’ha avuto. La strategia monetaria standard per gli investitori che hanno accesso ai mercati finanziari cinesi è stata quella di prendere in prestito dollari con tassi di interesse bassi e acquistare titoli cinesi ad alto rendimento. Ma ridurre gli stimoli monetari auspicando un rialzo dei tassi d’interesse americani rende più costosi il prestito in dollari e l’investimento in titoli cinesi. Con il carry trade che sta andando fuori moda, la domanda del renminbi scende e il suo tasso di cambio si deprezza.
Ma se la Fed ha cominciato a ridurre gli stimoli monetari a dicembre, la debolezza del renminbi si è manifestata solo a febbraio. Evidentemente c’è dell’altro.
La realtà è che la divisa cinese strettamente controllata scende solo quando la banca centrale cinese vuole che scenda. È la Banca del Popolo cinese (Bpc) e non la Fed a decidere la musica con cui far ballare il renminbi.
Ma allora perché scegliere le note del deprezzamento?
Una possibile risposta è che un renminbi più debole faccia paradossalmente parte della strategia del governo cinese per incoraggiare la sua internazionalizzazione. La Cina si è impegnata a estendere il ruolo del renminbi nel commercio estero e a scopo d’investimento, vorrebbe che la sua divisa raggiungesse uno status internazionale paragonabile a quello del dollaro.
Per farlo, il Paese dovrà sviluppare i suoi mercati finanziari e aprirli agli investitori stranieri. Ma aprire quei mercati è possibile solo se le autorità eliminano la percezione che i movimenti del tasso di cambio siano una proposta a senso unico. Ammesso che gli investitori stranieri credano che il renminbi possa solo apprezzarsi, i mercati del Paese, una volta aperti, verranno sommersi da denaro straniero con conseguenze finanziarie negative, non da ultima l’inflazione.
Agli investitori stranieri però va ricordato che il renminbi può scendere come può salire. Secondo alcuni osservatori, la recente scivolata è un tentativo di stritolare gli speculatori e segnalare l’arrivo di un tasso di cambio più flessibile. Credono che la Bpc stia per allargare la banda di oscillazione valutaria.
Se così fosse, le recenti mosse della Bpc sarebbero positive. Se c’è una chiara lezione della Storia è che l’apertura dei mercati finanziari combinata a un tasso di cambio rigido equivale a un disastro imminente. La Cina ha già cominciato ad aprire i suoi mercati finanziari perciò una maggiore flessibilità del tasso di cambio sarebbe ormai inderogabile.
Una seconda interpretazione meno rosea è che la Bpc stia indebolendo il renminbi per dare una spinta alle esportazioni cinesi. Per far fronte agli eccessi dei mercati di proprietà pubblica e del sistema bancario ombra, la Bpc ha cercato, non a torto, di limitare la disponibilità di un credito a basso costo, ma questo può aver provocato un rallentamento della crescita della domanda interna più rapido di quel che ci si aspettava. E incoraggiare le esportazioni è ovviamente la classica risposta cinese a una domanda interna più debole.
Questa interpretazione meno incoraggiante del recente indebolimento del renminbi fa capire che gli sforzi ufficiali per dare un giro di vite al sistema bancario ombra non siano molto efficaci e che non ci sia al momento alcun tentativo di predisporre un morbido atterraggio economico.
Se questo è vero, gli sforzi di riequilibrare l’economia cinese potrebbero subire un arresto, il che non preannuncerebbe niente di buono per l’economia e la stabilità finanziaria future.
Inoltre, se la Cina sta spingendo il renminbi al ribasso per stimolare le sue esportazioni, la sua politica non starà bene ai suoi concorrenti stranieri, che siano gli Stati Uniti o il Giappone. Le rimostranze contro la manipolazione valutaria e le tensioni diplomatiche connesse si faranno presto sentire.
La Cina è così imperscrutabile che da fuori è difficile sapere quale sia l’interpretazione corretta, ce lo diranno i futuri movimenti del renminbi. Fluttuazioni verso l’alto e verso il basso saranno il segno che l’obiettivo dei politici è lasciar perdere le scommesse a senso unico e andare avanti con l’internazionalizzazione del renminbi. Un ribasso prolungato, invece, indicherebbe che la domanda in Cina si sta indebolendo e che il processo di riequilibrio è stato sospeso.
Per il momento, l’unica cosa che gli osservatori possono fare è seguire il corso degli eventi da vicino e sperare per il meglio. Ed è la Bpc che dovrebbero tenere d’occhio, non la Fed.
(Traduzione di Francesca Novajra)