Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 14/3/2014, 14 marzo 2014
LA SFIDA DELLA PROPENSIONE AL CONSUMO
Dove sono le coperture? Le misure del presidente del Consiglio Matteo Renzi hanno, sulla carta, coperture sufficienti. Ma le coperture sono, appunto, sulla carta, di là da venire, da verificare, da "bollinare", da approvare in quel di Bruxelles. È una situazione da "Catch 22" e non se ne può uscire se non si cambia l’approccio.
A Bruxelles hanno mai sentito parlare del "teorema Carollo"? Se ne hanno sentito parlare, non è certo in modo positivo. Vincenzo Carollo era (è mancato a febbraio dell’anno scorso) un senatore dc siciliano degli anni Settanta, iscritto a suo tempo alla P2 e sostenitore, appunto, dell’eponimo teorema: invece di dire «datemi una leva e solleverò il mondo», diceva: «la spesa pubblica si finanzia da sola». Se la Ragioneria negava il famoso "bollino" a qualche proposta di spesa da lui sponsorizzata (e ne sponsorizzava a bizzeffe) perché mancava la copertura, lui obiettava che questo atteggiamento rivela grettezza d’animo e poca lungimiranza: la spesa stimola l’economia, crea redditi e consumi, e di qui un maggiore gettito fiscale che viene così a coprire la spesa iniziale. Un teorema che, naturalmente, può essere abusato: usato, cioè, per giustificare ogni e qualsiasi aumento di spesa, tanto che l’espressione "teorema Carollo" finì quasi per diventare un termine di dileggio.
Ma questo non vuol dire che il buon senatore avesse sempre e immancabilmente torto. Il teorema era in fondo basato sull’intuizione originale di Keynes: se ci sono nell’economia risorse inutilizzate - di lavoro (disoccupazione) o di capitale (capacità produttiva) - una maggiore spesa pubblica (o una riduzione di imposte) può mettere in moto un meccanismo moltiplicativo che porta più gettito fiscale. Se il maggiore gettito fiscale - e/o la minore spesa di sostegno ai redditi - innescati dallo stimolo porta a una copertura parziale o totale della spesa iniziale, dipende da vari altri parametri del bilancio e dell’economia. Ma è indubbio che una copertura almeno parziale c’è.
Negli Stati Uniti non hanno mai sentito parlare del "teorema Carollo", ma il meccanismo sottostante è ben conosciuto e porta il nome, meno casareccio, di "dynamic scoring": i "punti" della copertura non devono essere valutati in modo statico ("gretto", avrebbe detto il senatore), qui e subito, ma in un prosieguo di tempo, in modo, appunto, "dynamic". Nel marzo 2012 uno studio di due celebrati economisti, Lawrence Summers e Bradford DeLong, aveva concluso che uno stimolo bene inteso si può interamente autofinanziare (e, sia detto per inciso, la forte e inattesa riduzione del disavanzo pubblico americano sembra dar loro ragione).
In conclusione, il teorema Carollo è qualcosa che può valere o non valere a seconda delle circostanze. Esattamente come nel caso dell’espansione quantitativa della moneta: stampare soldi per stimolare l’economia è qualcosa che può valere o non valere a seconda delle circostanze. Il problema con queste due misure - l’aumento del deficit e il torchio (fisico o elettronico) della moneta - è che hanno sempre destato istintive diffidenze: sembrano cose troppo facili, fughe irresponsabili e pericolose dai principi della buona amministrazione. Ma è una nomea non meritata: escluderle per principio dal novero delle misure possibili sarebbe altrettanto goffo quanto rifiutare, durante una siccità nei campi, di aprire i canali di irrigazione per paura di causare inondazioni.
Nelle circostanze presenti, solo gettando il cuore oltre l’ostacolo si può far uscire l’economia dalle secche. Ma, dopo aver proferito queste belle parole, come la mettiamo con la Commissione? Quando Renzi dice, a Bruxelles, che «non siamo qui per farci dettare i compiti a casa», o qualcosa di simile, tradisce una inconfessata insofferenza per il modo in cui la Commissione (eterodiretta da teutoniche severità) ha finora trattato l’Italia. Neanche la bancarotta intellettuale delle politiche di austerità finora seguite è valsa a smuovere la nostra sudditanza rispetto alle prescrizioni bruxellesi. Certamente, la Commissione può dire che non fa altro che seguire le pandette del "Fiscal Compact", sottoscritto anche dall’Italia. Ma ci sono molti modi di osservare le pandette, ed è giunto il momento di interpretarle secondo i sani principi della Realpolitik.
Il vero potere della Commissione non sta nelle sanzioni o nelle messe in stato d’accusa. Il vero potere sta nel fatto che (e la cosa vale specialemte per un Paese ad alto debito come l’Italia) i pronunciamenti della Commissione muovono i mercati: un punto in più di tassi di interesse può far saltare le più pensosa delle manovre. Senza questa capacità di muovere i mercati la Commissione è una tigre di carta. E proprio questa osservazione conduce a una linea di azione.
In fondo, è solo un problema di comunicazione. I nostri veri interlocutori devono essere i mercati, non la Commissione. Spiegare ai mercati come misure di supporto all’economia, assortite dalle indispensabili riforme del mercato del lavoro e di ristrutturazione della spesa, possono portare ad aumenti del deficit solo temporanei, è la chiave per "sollevarci tirando sulle stringhe delle scarpe" (una manovra, sia detta per inciso, che riuscì a Ciampi nel 1997). I mercati oggi hanno un atteggiamento (giustamente) benevolo nei nostri confronti. Nel 2013 hanno cordialmente finanziato - e la benevolenza continua, come si vede dal calo dello spread - un fabbisogno superiore di quasi 30 miliardi di euro al deficit pubblico (a causa di varie partite extra-disavanzo, come il pagamento dei debiti Pa e i contributi ai fondi salva-stati europei).
L’economia italiana si trova a un punto di flesso. L’ambiente internazionale è favorevole: malgrado i tremori geopolitici la ripresa avanza in Usa e in Germania. In Italia c’è la possibilità di alzare la propensione a consumare e a investire. Ma ci vogliono fiducia e prospettive. Se quella dose di "pensiero laterale" che ha finora esibito Matteo Renzi dovesse finire nella palude dei veti e dei dubbi, l’Italia ricadrebbre nella morta gora. Ma se portasse a un sussulto di dignità e di sfida, allora potremmo veramente agganciare la ripresa.
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