Filippo Facci, Libero 14/3/2014, 14 marzo 2014
LA BUFALA MASOCHISTA DELLA CAMPANIA AL VELENO
La terra dei fuochi non esisteva e però bruciava da anni, impazzava nella patria dei fuochi fatui, logorava questo Paese masochista che adora piangere anche la miseria che non c’è: come se non bastasse quella che c’è. L’ennesimo pentito sciagurato e un po’ di letteratura giornalistica sono bastati per tramutare mezza regione in una Chernobyl, anzi no, forse non bastava, serviva anche altro: per esempio il Rapporto Ecomafie che nel 2003 utilizzò per primo l’espres - sione «terra dei fuochi», per esempio Gomorra di Francesco Saviano (e relativo film) che trasformò il racconto di un campo avvelenato in una regola meridionale, per esempio il disastroso rapporto dell’Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) che nel 2011 dipinse come avvelenata un’area di addirittura tre milioni di metri quadrati, comprensiva dell’intero quartiere napoletano di Pianura.
Tutto il resto fu a cascata. Studi e ricerche che improvvisamente spiegarono i tumori di tutta la Campania, Corea e Giappone che interruppero l’importazione della mozzarella campana, la vendita che si contrasse in tutto il mondo oltreché in Italia, altri prodotti tipici che ne fecero le spese, il prodotto interno lordo di un’intera regione messo in ginocchio, i mercati ortofrutticoli costretti a rivendere merce sana e sottocosto al mercati del Nord, che la rivendevano come propria. Accuse alla Camorra, sì, ma nondimeno a un intero Nord imputato di trattare il Sud come una discarica tossica. E ancora libri, reportage, documentari d’approccio terzomondista, comitati d’allarme, laboratori, gruppi su Facebook, blog di denuncia, mappe interattive, romanzi, carriere di neo savonarola della monnezza. Su tutto la vergognosa puntata di Servizio Pubblico del dicembre scorso, titolata «Inferno atomico» solo perché il solito pentito ha detto a Sandro Ruotolo - al suo peggio di sempre - che ci stanno pure «’e cose atomiche, qua», le scorie nucleari; seguiva un reportage scandalistico su una «epidemia di tumori » che in Campania massacra bambini e ragazzi (soprattutto ragazze, chissà perché) per via di «10 milioni di rifiuti industriali scaricati da 410mila camion di imprese del centronord». Ma su tutto soprattutto lui, Carmine Schiavone superstar, questo pluriomocida casalese che fu arrestato nel 1993 quando il businnes dei rifiuti non esisteva ancora: però lui ne parlò lo stesso e a dicembre l’ha rifatto con Sandro Ruotolo, si è inventato generici coinvolgimenti di Paolo Berlusconi e di una fantomatica rete affaristica formata da camorra, aziende del Nord e industrie tedesche; ospite della trasmissione anche l’investigatore della Criminalpol Roberto Mancini, «una delle vittime illustri di questa catastrofe ecologica » perché malato di linfoma. Una pena. Una vergogna. Le immagini delle mamme piangenti per i loro bimbi, il gioco della paura e del terrore, i grillini che hanno tirato in ballo Giorgio Napolitano perché era ministro dell’Interno nel periodo in cui Schiavone fu interrogato.
E non si può dire che il governo sia sempre restato a guardare. Il Consiglio dei ministri, nello stesso periodo della puntata di Annozero, approvava un decreto legge che introduceva il reato di combustione dei rifiuti, stabiliva la perimetrazione delle aree agricole, predisponeva il controllo dei terreni, soprattutto stanziava 600 milioni di euro per la bonifica dei territori interessati. Di studi ce n’erano già stati tanti: da quello dell’Istituto Superiore di Sanità (fine 2012) a uno dell’Organizzazione mondiale della sanità (2009) a un altro studio sanitario denominato Sebiorec (2010) con risultati tutt’altro che allarmanti, pur convergenti nell’indicare la necessità di sorvegliare di continuo la situazione. I territori inquinati coltivati risultavano appena l’1 per cento del totale della Campania, sosteneva il dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli. Non interessava.
Ora altre indagini conclusive e serie, ufficiali, coordinate da tre ministeri competenti, una mappatura eseguita dal Corpo forestale in quale «merita tutta la considerazione possibile in questa materia», come ammesso dal il magistrato Raffaele Cantone. Ed è venuto fuori che il territorio inquinato, in Campania, corrisponde al 2 per cento del territorio, dunque a meno dell’1 per cento del suolo agricolo. Ci sono solo 64 ettari sui quali è necessario «garantire la sicurezza della produzione agroalimentare». È messo peggio il Nord, forse. Ma è messo peggio di tutti il giornalismo italiano, la nostra dannata voglia di fustigarci, l’ansia di creare colpe e colpevoli per vite grame e inconsolabili, l’inquinamento mentale di chi dovrebbe servire la verità.