Riccardo Staglianò, Il Venerdì 14/3/2014, 14 marzo 2014
L’ULTIMA SPIAGGIA DELL’AMORE
Il bello del software è che lo puoi personalizzare. Provate a farlo con una fidanzata, e sappiatemi dire. Nel film Her (Lei) Spike Jonze inventa la compagna programmabile, una via di mezzo tra inesauribile amica del cuore che vi ascolta per ore parlare della ex senza il benché minimo accenno di risentimento, e geisha digitale, versione elettronica delle dieci ragazze di Battisti «che dicon solo di sì». La storia si svolge in un futuro che differisce dal presente giusto per un paio di dettagli: i pantaloni tornati imbarazzantemente a vita alta e i computer che sembrano cornici per quadri dell’Ikea. Spirito nella macchina è il sistema operativo di cui Theodore, il protagonista, si innamora (complice la voce soffiata, per niente sintetica, di Scarlett Johansson). Più che abbastanza per far deflagrare un dibattito istantaneo tra chi ci vede l’utopia realizzata delle anime gemelle e chi la distopia dei partner come replicanti, e quindi di nessun interesse nella loro anastatica conformità a noi stessi e ai nostri desideri. La domanda vera, la più difficile a cui rispondere, è invece: ma è verosimile uno scenario in cui le nostre relazioni con apparecchi elettronici, già incredibilmente intime, diventeranno di natura sentimentale?
Alcuni esperti di intelligenza artificiale preferiscono riformulare il quesito: non è questione di «se» ma di «quando» accadrà.
Alcuni numeri aiutano a quantificare l’intimità già raggiunta. Il cellulare, sempre più spesso uno smartphone che assomiglia all’apparecchio con cui Theodore interagisce nel film, è l’oggetto con cui passiamo la maggior parte del tempo. Uno studio Nokia su scala internazionale ha calcolato che, in media, lo guardiamo 150 volte al giorno. Siamo così inseparabili che due terzi degli inglesi lo usano mentre stanno sulla tazza del bagno. Il 41 per cento dei giapponesi se lo porta anche nella vasca. L’11 per cento degli under 25 americani non ha avuto alcuna difficoltà ad ammettere che interromperebbe un rapporto sessuale se, sul più bello, sentisse che gli è arrivato un sms. Tutto questo già prima dell’avvento di Siri, l’assistente vocale delle ultime versioni di iPhone. Tu gli parli, lei (non a caso hanno scelto una voce femminile) esegue. E se la offendi è programmata per risponderti a tono. Domanda: «Mi sposeresti?». Risposta: «Ci conosciamo a malapena». «Sei una puttana?», «Lo sono?», «Sì», «È quello che pensavo» e via di seguito, come documentano vari sciocchezzai in rete.
La protagonista non umana di Her, ovviamente, è meglio di così. Theodore, dopo un doloroso lasciamento con la moglie e una fallimentare uscita con una tipa in carne e ossa, installa sul pc un nuovo sistema operativo. Samantha, questo è il suo nome, è una voce con la quale comunica attraverso un auricolare senza fili e che può vedere ciò che lui vede dall’obiettivo del suo telefonino. Prima lei gli fa da segretaria, poi da confidente, e ben presto flirtano spudoratamente e lui non si addormenta se prima non gli sussurra la buona notte. A un certo punto provano anche a fare sesso per interposta persona, grazie alla disponibilità di una escort specializzata nell’incarnare sistemi operativi, ma – con sommo disdoro per il corpo in affitto – si accorgono che è meglio restare sul piano della virtualità.
Per James Barrat, autore di Our Final Invention: Artificial Intelligence and the End of the Human Era, un romanzo che prefigura un mondo in cui gli algoritmi sfuggono al controllo dei bipedi, «Her è una splendida fiaba che celebra le promesse dell’intelligenza artificiale senza preoccuparsi degli effetti collaterali. È come una lunga serenata per la fissione nucleare. In realtà, nel breve termine, gli informatici riusciranno a creare macchine con una mimica convincente per conquistarsi il nostro affetto. Ma che non avranno niente dell’intelligenza emotiva, piena di sfumature, che contraddistingue Samantha ». D’altronde, aggiunge l’autore, «abbiamo relazioni con auto, armi, per non dire cani e gatti. L’asticella della nostra soddisfazione è bassa. Non c’è bisogno che le macchine superino il test di Turing per suscitare in noi affetto. Tuttavia ci vorra molto più tempo prima che riescano a competere con le relazioni che abbiamo con gli umani. Noi meat bags, borse di carne, abbiamo un’esperienza ben più lunga». Chissà se l’arbitraria regola delle 10 mila ore, quelle necessarie per diventare bravi in qualsiasi disciplina, che in Outliers ha fatto l’ennesima fortuna editoriale di Malcolm Gladwell, vale anche per i software.
La cosa importante, però, è evitare di paragonare mele e arance. Ce lo ricorda Dan Ariely, psicologo all’americana Duke University e fondatore del Center for Advanced Hindsight: «Non bisogna confondere cura con servizio. Un robot può essere ottimo nel fornire un servizio infermieristico, che può addirittura ingenerare l’illusione della cura. Ma è incapace di vero amore, quello che fa crescere e migliorare ». Qui è l’architettura stessa del rapporto a essere sbagliato, perché sbilanciato: «Una relazione deve essere bidirezionale, tu prendi e dai. Se prendi solo, come con una macchina, sembra un vantaggio ma perdi una parte importante. Quella che ti fa crescere insieme, nella consapevolezza che l’altro, per vari aspetti, è magari migliore di te. Sicuramente diverso. Il che non si può certo dire di un software».
Senza incorrere nel reato di spoiler, possiamo solo dire che poi le cose si complicano anche per la coppia Theodore- Samantha. In Super Sad True Love Story, l’acclamato romanzo di Gary Shteyngart, ognuno dispone di un äppärät, super-telefonino capace di trasmettere conversazioni e pensieri del suo (sfortunato) possessore, oltre che il suo punteggio di figaggine. L’amore mediato dal computer è ormai il pane e il burro dell’immaginario pop. Che qui fa un salto di qualità e diventa col computer.
La brutta notizia è che dove c’è attaccamento ci sarà perdita. Quando una storia non funziona, anche se ve la siete raccontata tutta da soli, non basta cancellarla o mettere un nuovo annuncio su Meetic, contando sulla legge dei grandi numeri. Disinstallare un amore resta, comunque, un’immane fatica.