Matías Marini, Il Venerdì 14/3/2014, 14 marzo 2014
LA FINE DI UN’ERA: ADDIO ALLA SVIZZERA DEL SUDAMERICA
Recita una leggenda metropolitana che quando un cliente anonimo si reca in una banca uruguaiana con dei bei fasci di dollari, l’unica cosa che gli si chiede è se gradisce un caffè. E, subito, José Pepe Mujica perde le staffe: il presidente che dona il suo stipendio, che vive in una fattoria, che guida una macchina sgangherata, il Mandela sudamericano, non vuol sentirsi dire che la sua nazione è la Svizzera o il San Marino dei sudamericani.
Sulla sponda opposta del fiume de La Plata, però, gli argentini sembrano decisi a ribadire la condizione di paradiso fiscale dei vicini. Con troppe crisi cicliche alle spalle, l’occhio onnipresente del fisco e un grave carico tributario, la terra del tango ha il riflesso condizionato e vanta grande dimestichezza con le fughe di contante verso le banche uruguaiane. Ma la corsa allo sportello d’oltrefiume è in via d’esaurimento. Per Montevideo è la fine di un’era.
Il fisco argentino sta strangolando in tutti i modi il piccolo Uruguay, fino a costringerlo a siglare un accordo bilaterale per lo scambio dati di contribuenti nascosti. E Mujica, che non vuole tornare nella lista grigia dell’Ocse, firma. E finisce in balia delle toghe straniere. A incalzarlo è il giudice argentino Norberto Oyarbide, che tre mesi fa pilotò da Buenos Aires una rocambolesca perquisizione nella sede montevideana della Royal Bank of Canada. Il magistrato indagava su presunti reati fiscali nella compravendita di calciatori, vicenda che coinvolge il mitico club River Plate. Impauriti, i canadesi chiusero i battenti e si dileguarono sul primo aereo a disposizione: «Non siamo più in grado di garantire la privacy dei nostri clienti». Subito, è scattato l’effetto domino: Barclays e Bank of America/ Merrill Lynch hanno seguito l’esempio; Raymond James e Credit Suisse preparano le valige e tagliano il personale. Avviate alla partenza persino le banche israeliane Leumi, Hapoalim e Discount, gli sportelli più usati dalla comunità ebraica sudamericana.
E non è soltanto questione di privacy. L’inasprimento dei controlli antiriciclaggio complica definitivamente l’attività della banca privata uruguaiana. Perché ormai i suoi clienti potrebbero non essere più solo evasori e corrotti della politica, ma anche i narcos messicani. Un affare sempre più rischioso e meno redditizio per le banche: pulire soldi sporchi richiede molto personale e sistemi costosi.
Tuttavia, il marchio In Uruguay we trust resta inciso sulle tasche degli argentini. L’ennesima corsa off-shore è stata innescata dalla stretta sui cambi applicata dal 2011 dal presidente Cristina Kirchner per arrestare il dissanguarsi delle riserve della Banca Centrale argentina (Bcra). Banconote arrotolate nei pneumatici, infilate nelle protesi, inserite nelle stampelle. Tutto, pur di valicare il confine e riallocare i risparmi in divisa verde, prelevare dollari dai bancomat uruguaiani o dirottare le pensioni nazionalizzate da Cristina. Solo l’anno scorso si sono quadruplicati gli argentini che hanno chiesto la residenza in Uruguay, secondo la Direzione Nazionale di Migrazioni. Un pugno di 25 mila conti correnti uruguaiani intestati a clienti argentini arriva a un totale di 15 miliardi di dollari, la metà delle riserve della Bcra. Ma con le filiali private in fuga dall’Uruguay, molti di quei risparmiatori saranno ora assistiti da remoti call center abilitati, ben che vada, a Porto Rico. Sempre in spagnolo, accento più caraibico. Un operatore dovrà calmare l’ansia di clienti sbalorditi. Nemmeno un caffè.