Giuseppe Videtti, Il Venerdì 14/3/2014, 14 marzo 2014
LA SCELTA
[Intervista a Nicole Kidman] –
Anversa. Sola sul set, elegante, bellissima, la principessa percorre il corridoio del palazzo. Si rifugia nel suo studio, poi nella sontuosa camera da letto. Triste, pensosa, sgomenta. È il 1962, sono passati sei anni da quando, bella e riverita diva di Hollywood, ha sposato Ranieri e come in una favola bella si è trasformata da Grace Kelly in Grace di Monaco. I sudditi neanche lo immaginano, ma in cuor suo non ha ancora dato un taglio al passato. Alfred Hitchcock le ha fatto recapitare il copione di Marnie proprio nel momento critico in cui la ragion di Stato richiede la sua presenza a Palazzo Grimaldi; il presidente De Gaulle reclama le tasse dai monegaschi e minaccia di annettere il principato alla Francia con la forza. La tensione politica è pari al suo tormento: rinnovare i fasti della sua carriera cinematografica o accettare definitivamente la nuova identità di moglie, madre e first lady del secondo Paese più piccolo del mondo?
Nicole Kidman, 46 anni, è perfetta nei panni di Grace 33enne. Il regista Olivier Dahan non ha avuto dubbi la prima volta che ha dialogato con lei via Skype. «Era già truccata come Grace, parlava come Grace, si muoveva come Grace. Ha letteralmente stracciato le altre dodici attrici che già avevamo provinato» racconta il regista di La vie en rose, il pluripremiato biopic su Edith Piaf. Grace di Monaco, il suo nuovo film – interpretato da Nicole Kidman, Tim Roth (Ranieri), Robert Lindsay (Onassis), Paz Vega (Maria Callas) e Roger Ashton-Griffiths (Hitchcock) – aprirà fuori concorso il Festival di Cannes il 14 maggio e il giorno dopo uscirà nelle nostre sale. Per spuntarla Dahan ha dovuto lottare per mesi con i figli della principessa, ritoccare il copione e difendere il girato dagli attacchi della produzione che alla fine avrebbe voluto apportare dei cambiamenti sostanziali.
Negli studi Eurocam di Anversa, Nicole Kidman ha appena finito di girare l’ultima scena. Si cambia in fretta e furia, ha ancora il trucco e la pettinatura di Grace quando la incontriamo. Alta, altissima, polacchine, fuseaux chiari, uno scialle che la protegge dagli spifferi: ora dimostra la sua età, diva aristocratica che ha lasciato Hollywood per vivere a Nashville con Keith Urban, una star della musica country, e le loro due figlie; attrice spavalda che ha dato vita a ruoli memorabili diretta da Gus Van Sant (Da morire), Jane Campion (Ritratto di signora), Stanley Kubrick (Eyes wide shut), Baz Luhrmann (Moulin Rouge!), Alejandro Amenábar (The others), Stephen Daldry (The hours, interpretazione da Oscar), Lars von Trier (Dogville). Nel 2015 uscirà un altro biopic che si annuncia memorabile, Queen of the desert, in cui diretta da Werner Herzog interpreta la leggendaria viaggiatrice inglese Gertrude Bell (1868-1926). «Grace è la prima principessa moderna, abile nel manipolare i media e creare scalpore intorno a sé. In questo senso è un personaggio non molto diverso da Lady Diana» esordisce mentre con le dita disegna nell’aria profili di donne, immaginando la sua eroina naturalmente. «Quando mi hanno detto che avevo avuto la parte sono scoppiata a piangere».
Ha lottato con le unghie e con i denti per averla. Cosa la intrigava?
«Il fatto che la storia si concentrasse in quei pochi mesi del 1962, un periodo cruciale nell’esistenza di Grace, perché fu allora che prese la decisione che avrebbe condizionato il suo futuro. Solo in quel momento, quando la vita privata s’intrecciò con la storia, chiuse definitivamente con il mondo del cinema. Non conoscevo granché della vita di Grace, a parte i film che ha girato con Hitchcock. Ero rimasta alla domanda di mia madre, preferisci Grace Kelly o Marilyn Monroe?»
E lei cosa rispondeva?
«Mamma preferiva Grace, io Marilyn. Ma adesso non più, ora preferisco Grace Kelly. E ho capito perché era un mito per le donne di quella generazione. Mi sono appassionata al personaggio, ho fatto ricerche approfondite. Ancora adesso che abbiamo terminato le riprese ci sono elementi che non combaciano, pezzi del puzzle che mancano».
Il film si concentra su un breve periodo della vita di Grace e pone l’accento sulla scelta che la principessa fu costretta a fare rinunciando alla sua vocazione professionale. Come avrebbe reagito lei al suo posto? Sacrificherebbe la sua carriera per motivi personali?
«Se i miei figli si ammalassero e la mia famiglia avesse bisogno di me rinuncerei a tutto. Lo farei se un principe mi chiedesse la mano? No, non è il mio sogno. Preferirei comunque la libertà a un matrimonio che m’impone regole ed etichette. Ma proprio per questo la scelta di Grace mi ha appassionato: ha abbandonato Hollywood dopo un Oscar, per un percorso di vita completamente diverso. Perché? Come si è sentita? Se ne è mai pentita? Ma bisogna anche considerare che Grace viveva professionalmente in un’epoca in cui le carriere erano molto più brevi, e che una bella donna che a 25 anni non era ancora sposata veniva già considerata zitella».
Lei e Meryl Streep siete gli esempi viventi che oggi è diverso, ci sono ruoli interessanti anche per attrici di mezz’età e oltre.
«L’atteggiamento del mondo nei confronti dell’età è totalmente cambiato. Diciamo che i 60 anni di oggi corrispondono ai 40 di ieri. Ma sono cambiate anche le priorità; ci sono molti casi in cui Hollywood ha rappresentato una vetrina per far breccia nel cuore di ricchi e potenti. Non è il caso di Grace - se abbiamo fatto questo film e ora stiamo qui a parlarne è perché si tratta di un personaggio di alto profilo».
Ma pur sempre un personaggio e una storia dai contorni fiabeschi.
«Non è stato questo il motore del film che, è bene precisarlo, non è un biopic. Non indugia sul matrimonio reale, sulla nascita dei principi o sull’incidente in cui perse la vita a 52 anni, nel 1982. Qui c’è solo una piccola parte della sua esistenza, i mesi in cui visse il dramma della scelta».
Grace è stata un’icona dello stile. Qual è il suo rapporto con abiti, gioielli e il lusso in generale?
«Più invecchio più diventa conflittuale. A vent’anni ero vanitosissima, oggi più che gli abiti firmati m’interessano i costumi che danno credibilità ai personaggi che interpreto. Nel caso di Grace l’esperienza è stata esaltante, perché indosso una quantità di abiti e gioielli che arrivano direttamente dagli atelier di Dior e Cartier. C’è un collier da tre milioni di euro niente male che è stato appena rispedito al mittente».
Ora che le riprese sono terminate, la sua idea di Grace è cambiata?
«Totalmente. Prima la immaginavo su un piedistallo, ora conosco la sua umanità e in un certo senso la sua intimità. Ma allo stesso tempo devo ammettere che ho affrontato il personaggio con una sorta di riverenza, come se dovessi proteggerlo. È lo stesso sentimento che ho provato quando i figli hanno reagito negativamente al film prima ancora di averlo visto; avrei voluto dir loro: immagino sia strano vedere la propria madre impersonata da qualcun altro, ma ho prestato molta attenzione affinché il personaggio risultasse veritiero, e allo stesso tempo l’ho trattato con molta cura».
Riesce a vedere delle somiglianze tra la sua vita e quella dell’attrice Grace Kelly?
«Molte, ma solo nella vita che conducevo quindici anni fa, all’epoca del mio matrimonio con Tom Cruise. Ora le mie priorità sono altre, la famiglia, i figli. È come se avessi toccato quelle acque con la punta del piede e avessi fatto dietrofront perché erano troppo fredde: oh Dio, tutto questo non fa per me. Ora vivo a Nashville in una dimensione tutt’altro che hollywoodiana. Una routine totalmente diversa da quella degli esordi».
Grace fece sforzi enormi per adattarsi all’etichetta di corte e farsi amare dai monegaschi. Quanti ne ha fatti lei, australiana, per adattarsi all’industria americana del cinema?
«Tanti – sarà per questo che sono entrata nei panni di Grace con naturalezza. L’ho detto subito a Olivier: c’è qualcosa nella mia psiche che mi facilita il compito. È stato come quando ho girato Rabbit Hole (2010) e The Paperboy (2012), ruoli che in qualche modo inconsciamente mi appartenevano. So esattamente perché, ma allo stesso tempo lo nego a me stessa».
Quindi, alla fine, interpretare Grace è stato terapeutico.
«Sì, professionalmente parlando. Ho scoperto quanto ancora amo recitare e, cosa che mi capita raramente, ho provato una grande tristezza alla fine delle riprese».