Federica Bianchi, L’Espresso 13/3/2014, 13 marzo 2014
CINA ANNO ORRIBILE DEI DIRITTI
Altro che il sogno cinese sbandierato dal neo presidente. Il 2013, il primo anno di governo di Xi Jinping, è stato da incubo per i diritti umani in Cina. Secondo l’ultimo rapporto stilato da “Chinese Human Rights Defender”, la soppressione delle libertà civili e di chi lotta per sostenerle è stata la più dura dagli anni Novanta. Mentre da una parte il governo annunciava l’abolizione dei campi di lavoro forzato (laogai), dall’altra incrementava il numero dei centri di detenzione illegali alle periferie delle città, incarcerava ben 220 attivisti dei diritti umani e faceva sparire misteriosamente un numero di cittadini triplo rispetto agli anni precedenti.
Il pugno duro del governo contro le libertà civili e il dissenso è andato crescendo dal 2008 - anno della ribellione tibetana e delle Olimpiadi di Pechino - ad oggi, di pari passo col crescente attivismo della società civile e col progressivo rallentamento dell’economia nazionale che evidenzia le discrepanze di reddito tra ricchi e poveri.
Nonostante la censura, il 2013 sarà comunque ricordato come il momento in cui sono esplose le manifestazioni di cittadini sempre più informati e consapevoli dei propri diritti in favore della legalità e della trasparenza: una forma pacifica di dissenso che inquieta la vecchia classe dirigente. Ed è proprio la sua paura di perdere il pieno controllo sul Paese che ha portato a politiche draconiane malcelate dal cambiamento nella definizione dei motivi di arresto dei cittadini. Non più “sovversione del potere nazionale” ma “assembramento illegale”. Un’operazione puramente cosmetica che non cambia la sostanza: in Cina la crescita economica non implica il parallelo aumento delle libertà politiche e civili. Pena la scomparsa del Partito.