VARIE 13/3/2014, 13 marzo 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - IL PIANO RENZI E L’UNIONE EUROPEA
REPUBBLICA.IT
MILANO - Il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno iscritto la possibilità di ampliare il deficit - pur restando entro il limite europeo del 3% del Pil - tra le coperture per finanziare le importanti misure a sostegno dell’economia italiana e dei lavoratori. Ma dalla Bce arriva un richiamo che lascia intendere quale sia il clima internazionale nei confronti della domanda di flessibilità dell’Italia: per l’Eurotower, che per pura casualtià ha pubblicato oggi il suo bollettino, il Belpaese non ha compiuto "progressi tangibili" nell’attuazione di ulteriore misure di risanamento per ridurre ulteriormente il deficit, come raccomandato dalla Commissione Europea. Il riferimento va in realtà al risultato del 2013, che si è chiuso a un livello del 3% del Prodotto interno lordo contro una raccomandazione del 2,6%. Proprio quest’ultimo obiettivo, secondo le stime recenti di Bruxelles, dovrebbe essere raggiunto nel 2014; e su quei decimi di punto percentuale di spazio di manovra, quantificati in circa 6 miliardi di euro, si gioca parte della riserva finanziaria dalla quale il governo vuole attingere.
Anche la Commissione europea interviene sulle misure italiane, per bocca del portavoce del Commissario Olli Rehn, dicendo
che "accoglie positivamente l’intenzione di ridurre il cuneo fiscale tramite risorse ottenute dalla spending review". Non manca però il richiamio: "Ricordiamo l’impegno dell’Italia a rispettare il Patto di stabilità e di crescita", che prevede di raggiungere un bilancio strutturale in pareggio nel medio termine, specialmente dato "l’elevato debito pubblico" della penisola. Quanto invece alle misure annunciate sul lavoro, sono "appropriate vista l’elevata disoccupazione dei giovani".
Non si è fatta aspettare la reazione dalla politica: "E’ un modo per mettere avanti le mani sapendo che noi abbiamo deciso che quello che conta è far ripartire l’economia, all’interno delle regole", ha commentato il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta. Dal Tesoro, invece, precisano che il Bollettino della Bce non è una risposta agli annunci di ieri, in quanto programmato, e che certamente "ci sarà modo di confrontarci e di spiegare le strategie".
Lo stralcio del bollettino Bce sul disavanzo italiano
Al di là dei rilievi sulla finanza pubblica tricolore, dal bollettino mensile della Bce, emerge una lettura sulla situazione economica dell’Europa, dove "in prospettiva la ripresa in atto dovrebbe proseguire, seppure a un ritmo contenuto". In particolare, si dovrebbe concretizzare un ulteriore miglioramento della domanda interna, sostenuto dall’orientamento accomodante della politica monetaria, e da condizioni di finanziamento più favorevoli e dai progressi compiuti sul fronte del risanamento dei conti pubblici e delle riforme strutturali. Secondo le nuove previsioni, il Pil della zona euro crescerà dell’1,2% nel 2014, dell’1,5% nel 2015 e dell’1,8% nel 2016, con un leggero miglioramento rispetto alle stime di dicembre. Inoltre, spiega ancora l’Eurotower, "i redditi reali beneficiano di prezzi dell’energia più contenuti. L’attività economica dovrebbe altresì trarre vantaggio da un graduale rafforzamento della domanda di esportazioni dell’area".
Uno dei temi cruciali per le mosse di Mario Draghi, il governatore della Bce, rimane l’andamento dei prezzi: una bassa inflazione, con il rischio che si trasformi in deflazione (cioè diminuzione dei prezzi) potrebbe innescare una spirale di ulteriore abbattimento dei consumi con effetti distruttivi per la fragile ripresa. I dati dell’Eurotower non sono incoraggianti, anche perché rivisti al ribasso: l’inflazione nell’Eurozona è destinata a scendere dall’1,4% del 2013 all’1% nel 2014 (dal +1,1% precedente), per poi riprendersi progressivamente nel 2015 (+1,3%) e nl 2016 (+1,5%). La Bce ha il mandato di tenere la dinamica dei prezzi poco sotto il +2% annuo e per questo "segue con attenzione gli andamenti nei mercati monetari ed è pronto a prendere in considerazione tutti gli strumenti disponibili".
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea "continua ad attendersi che i tassi di interesse di riferimento della Bce restino su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo"; attualmente il tasso di rifinanziamento principale è al minimo storico dello 0,25%. "Tale aspettativa si fonda - si legge ancora nel documento - su prospettive di inflazione complessivamente contenute anche nel medio termine, tenuto conto della debolezza generalizzata dell’economia, del grado elevato di capacità inutilizzata e della modesta creazione di moneta e credito".
(13 marzo 2014)
CORRIERE.IT
«Il governo italiano rispetta tutti gli impegni che ha con l’Europa», ma il più grande impegno è cambiare per far tornare l’Europa vicina ai cittadini. Così il premier Matteo Renzi, parlando a un convegno sulla Ue alla Camera, risponde a distanza alla Commissione europea che ieri lo aveva «bacchettato». Il portavoce Simon O’Connor, nella conferenza stampa di metà giornata a Bruxelles, aveva sottolineato che la Commissione europea «accoglie positivamente l’intenzione di ridurre il cuneo fiscale tramite risorse ottenute dalla spending review» annunciata dal governo guidato da Matteo Renzi, ma ricorda «l’impegno dell’Italia a rispettare il Patto di Stabilità e di Crescita», che prevede di raggiungere un bilancio strutturale in pareggio nel medio termine, specialmente dato «l’elevato debito pubblico» della Penisola.
«Ce lo chiedono i nostri figli, non l’Europa»
«Il governo italiano rispetta tutti gli impegni che ha con l’Europa, non solo quello economico, ma vuole mantenere quel sogno degli Stati Uniti d’Europa di Altiero Spinelli che ha visto intere generazioni combattere per valori condivisi», ha anche detto Renzi L’Europa deve essere l’Europa «dei cittadini dei popoli e delle speranze non solo dei vincoli».Ancora una volta, il premier vuole scollarsi di dosso l’idea che l’Europa assegni i compiti a casa all’Italia: «L’Italia vuole tenere i conti in ordine non perché ce lo chiede la Ue ma perché ce lo chiedono i nostri figli», ha sottolineato
«Il futuro che ci riguarda lo vogliamo costruire, non subire»
Renzia. «Usciamo dal derby `ce lo chiede l’Europa, non ce lo chiede l’Europa’», ha aggiunto Renzi. In pratica, sostiene il segretario del Pd, «Dobbiamo rivolgerci al passato come granitico punto di riferimento ma non dobbiamo avere paura di scrivere una pagina significativa e dire che il futuro che ci riguarda lo vogliano costruire e non subire». Così il premier Matteo Renzi alla Conferenza sull’Europa, citando il segretario generale Dag Hammarskjold Al passato grazie, al futuro si.
Marchionne: «Va veloce il ragazzo»
Intanto il premier Renzi incassa di nuovo l’approvazione di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e Chrisler. «L’iniziativa è nella direzione giusta. Non so se basta, di sicuro è stato veramente qualcosa di nuovo, di dirompente, di cui il Paese aveva veramente bisogno. Ha il mio totale appoggio», ha detto Marchionne
«Bisogna dare uno scossone al sistema»
commentando il piano Renzi per gli sgravi fiscali. Parlando a margine dell’assemblea degli azionisti della Svizzera Sgs, di cui è presidente, Marchionne ha aggiunto: «Bisogna dare uno scossone al sistema, altrimenti la baracca non si muove. (Renzi) Deve andare avanti alla velocità della luce. Gli siamo tutti dietro. Il Paese ne beneficerà. E’ importante anche dall’esterno vedere la sostanza di quello che sta facendo». Marchionne ha anche sottolineato: «Sono orgoglioso di dove siamo arrivati. La cosa importante è farlo finire. Si è dato un traguardo piuttosto aggressivo. Io sono veloce, ma il ragazzo...». E ha concluso scherzando: «Io ci avrei messo un paio di settimane in più. Con tutti questi obiettivi (Renzi) ha molto da fare».
DAGOSPIA
Come provare a scaldarsi con i fuochi d’artificio. Un commento tecnico, serio e argomentato sugli annunci di ieri del presidente del Consiglio è praticamente impossibile.
Cifre sparate a caso e appiccicate allo slogan del momento, nessun decreto legge, nessun provvedimento legislativo. Per la prima volta nella storia della Repubblica il Consiglio dei ministri ha approvato una "relazione", cioè aria fritta che rischia di dissolversi al vento della concretezza dei numeri. E i numeri li ha dati il ministro Padoan qualche giorno fa: revisione al ribasso del Pil dall’1% allo 0,6% con la conseguenza di una manovra da 20 miliardi entro l’estate per non veder fallire Roma, Napoli, Palermo, Campania, Calabria, Lazio e Molise.
E la promessa di pagare i debiti della Pubblica Amministrazione entro 15 giorni? Tutta da ridere, come aveva anticipato Dagospia: nessun soldo ai creditori e solo un disegno di legge.
Mentre Renzie gioca a fare il presidente del Consiglio e tenta di vendere le auto blu su eBay (sono quasi tutte in affitto e non lo può fare), la Cina ha fatto capire al mondo che e’ pronta a svalutare la sua valuta e l’euro si prepara a sfondare quota 1,40 contro il dollaro.
Renzi non lo sa, ma le ottimistiche previsioni del Tesoro prevedono un cambio dell’euro vicino a 1,34 e una moneta cinese in lenta e costante rivalutazione. Questo significa che il contributo al Pil delle esportazioni diminuirà e si porterà giù i conti dello Stato per lo meno di altri 30 miliardi. Questo se, e sempre se, le previsioni di rientro di capitali dalla Svizzera, la spending review e altre Saccomannate reggeranno alla prova dei fatti. Altrimenti si aprirà un’altra voragine da circa 10 miliardi. E siamo già a meno 40 miliardi!
renzi pdrenzi pd
Renzie pensa poi di aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie. Ma presto la lobby bancaria si scatenerà per non includere i certificati di deposito e le obbligazioni bancarie nel computo e i fondi pensione chiederanno di essere esentati. Reggerà il premier alle pressioni di Abramo Bazoli, Nego Nagel, Mario Greco e soci?
Vedremo, ma questo sarà solo un dettaglio in un piano economico che riesce a compiere il miracolo di non esistere e contemporaneamente di fare acqua da tutte le parti. Il colpo che non t’aspetti neppure da un ex campioncino della Ruota della Fortuna.
FABRIZIO RAVONI PER IL GIORNALE
Matteo Renzi sfida l’Unione europea, e non solo. Al termine del Consiglio dei ministri annuncia che il governo ha recuperato più di 10 miliardi di euro «da destinare a 10 milioni di persone»: quelli che dichiarano redditi inferiori ai 25mila euro all’anno.
Mille euro in media a testa all’anno, 85 al mese. Ma solo quando l’impianto sarà a regime: scattando a maggio, il beneficio reale sarà di due terzi. Alle imprese assicura un taglio dell’Irap del 10%, finanziato da un aumento dal 20 al 26% della tassazione sulle rendite finanziare (titoli pubblici esclusi); la riduzione di un miliardo di contributi Inail (decisa dal governo Letta); e lo sblocco completo dei 68 miliardi di debiti arretrati della pubblica amministrazione. Quest’ultima, l’unica misura introdotta con un provvedimento legislativo: un disegno di legge.
L’atteso annuncio di riduzione fiscale, invece, assumerà forma di testo di legge «da qui al 30 aprile». Per il momento è solo una «relazione del presidente del Consiglio al consiglio dei ministri». I benefici sulla busta paga, infatti - ricorda il premier - scatteranno «a partire dal 1° maggio. Volevo farli decorrere dal 1° aprile, ma sono andato a sbattere... Quindi, si vedranno gli effetti il 27 maggio». Due giorni dopo le elezioni europee.
Renzi è puntiglioso nell’illustrazione delle coperture. Cioè, come ha recuperato i 10 miliardi in questione. «Sul tema ho assistito a polemiche incredibili», commenta. I primi 6,4 miliardi arriveranno dalla scelta (tutta politica) di non rispettare l’obiettivo di deficit di quest’anno, fissato al 2,6% del Pil. E di riprogrammarlo al 3%. «Nessuno si è mai sognato di sforarlo», spiega. Quello 0,4% in più dovrebbe garantire al governo di recuperare, appunto, 6,4 miliardi.
Il problema è quel livello di deficit era rapportato a una crescita dell’economia interna dell’1,1%. In realtà, l’aumento del Pil sarà dello 0,6%. Ne consegue che già oggi il deficit atteso per quest’anno sale al 2,8%, e non al 2,6%. In più, i Trattati europei obbligano i governi in carica a raggiungere il pareggio di bilancio (principio sancito anche dalla Costituzione) e di migliorare ogni anno il deficit strutturale dello 0,5% del Pil. Renzi non solo non riduce il deficit, ma lo aumenta.
E Pier Carlo Padoan, successivamente, quasi prende le distanze dal premier: «Il 2,6% è il margine massimo per evitare di rientrare in procedura per deficit eccessivo». Renzi, però, sembra non voler ascoltare il ministro dell’Economia.
Altri 2,2 miliardi, se non di più, il governo conta di recuperarli attraverso un risparmio della spesa per interessi determinata dal calo dello spread sui titoli pubblici. «Una realtà irreversibile. Oggi è calcolato a 250 punti base. Se solo scendesse a 200 punti base, il risparmio sarebbe di 2,2 miliardi». Prima della conferenza stampa, lo spread era al 175.
Dopo, ha chiuso a 183 punti. Sempre i Trattati Ue impongono agli Stati membri di destinare gli eventuali risparmi di spesa per interessi alla riduzione del deficit, non a finanziare nuova spesa.
Renzi ha già pronta la risposta a queste obiezioni, che si sentirà ripetere a breve dalla Merkel e da Hollande: «Lo Stato italiano sta decidendo di spendere i soldi degli italiani entro i limiti europei. Entro il 3%». Come a dire: forse i miei programmi non rispetteranno l’ortodossia europea, «ma faranno ripartire l’economia».
Altre risorse, il presidente del Consiglio conta di recuperarle dalla spending review (almeno 3 miliardi) e dalla contabilizzazione del gettito Iva derivante dallo sblocco dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e dai 5 miliardi destinati al recupero dell’edilizia scolastica e delle misure per combattere il dissesto idrogeologico.
Piccolo particolare. La contabilizzazione di questo gettito Iva era stato respinto dal ministero dell’Economia, regia Saccomanni, non più tardi di quattro mesi fa. Così come il Quirinale si è sempre opposto all’utilizzo delle risorse derivanti dalla revisione della spesa per finanziare nuove spese. Una strada in salita.
DAGOSPIA
Sì, ieri è stata proprio "la volta buona". La volta buona che Renzie è riuscito a irritare veramente tanto Re Giorgio, che in questo 2014 è stato silenzioso e prudente come non mai. Quando il capo dello Stato ha capito che il premier punta ad aumentare il deficit, ha perso la pazienza ed è sbottato. "Il vincolo del 3% sul pil non si tocca, anche perché già siamo sul filo", pare che abbia detto Bella Napoli ai suoi collaboratori.
E oggi, puntuale, la Bce di Mario Draghi ha soffocato il pesciolino rosso del Rottam’attore intimando a Roma di scendere al 2,6% e di "fare i passi richiesti". Una mazzata terrificante, come quella che si annuncia a fine mese sulle buste paga degli italiani per colpa delle addizionali Irpef locali e che rischia di azzerare in anticipo gli effetti della riduzione da 10 miliardi annunciati ieri dal premier.
Se c’è un impegno internazionale che Giorgio Napolitano sente quasi come personale è proprio quello di mantenere il rapporto deficit-pil nei parametri richiesti dall’Europa. Tanto è vero che al Tesoro, scherzandoci un po’ su, c’è chi chiama Re Giorgio "la vestale del 3%".
Lo si è visto anche in uno snodo delicato come quello della scelta del successore di Saccodanni. Giravano nomi che al tandem Draghi-Napolitano mettevano i brividi - a cominciare da quello "troppo politico" di Delrio - e il capo dello Stato ha ripetuto incessantemente ai partiti e a Renzie stesso che non bisognava dare la sensazione di voler abbassare la guardia sul 3%.
E se ieri Padoan ha di fatto costretto il premier ad aspettare il Dpef per indicare cifre e coperture, quel suo accenno ai soldi che si possono recuperare passando dal 2,6 al 3% ha scatenato la reazione.
Una reazione ovviamente casuale, nella tempistica, ma non meno dura. Nel bollettino mensile della Bce, guidata da Draghi, si legge che l’Italia non avrebbe fatto abbastanza per ridurre il deficit dal 3 al 2,6% promesso e si chiede al governo di compiere "tutti i passi necessari" in tale direzione.
Significa che non ci sono speranze per quei sei miliardi di euro - a tanto ammonterebbero i quattro decimali della discordia - sui quali si basa lo sconto fiscale annunciato in pompa magna da Renzie.
RENZI E NAPOLITANO AL GIURAMENTORENZI E NAPOLITANO AL GIURAMENTO
E a proposito delle modalità dell’annuncio di ieri, anche su questo al Quirinale sono rimasti senza parole. Lo stile da televendita delle pentole voluto dall’ex sindaco di Firenze aveva già lasciato parecchio perplesso il britannico Re Giorgio. Ma narrano i corazzieri che quando Bella Napoli ha saputo che perfino uno come Silvio Berlusconi aveva trovato decisamente eccessivo lo show del giovane premier, si sia lasciato andare a una battuta amarognola: "Ma vuoi vedere che una volta tanto ha ragione Berlusconi?".
renzi in collegamento da otto e mezzo con dietro la foto di mandela e napolitanorenzi in collegamento da otto e mezzo con dietro la foto di mandela e napolitano
Tornando alle cifre e ai tempi dei "regali" di Matteo, colpisce il gioco degli incroci sull’Irpef. Sostiene il premier, che non ha fatto nulla per nasconderlo, che Tesoro e Ragioneria gli hanno fatto slittare da aprile a maggio la riduzione in busta paga da 80 euro al mese. In compenso, non slittano certo le micidiali addizionali Irpef di Regioni e Comuni.
Il calcolo su questa nuova botta da 97 euro complessivi (saldo e acconto) che si vedrà nelle buste paga e negli assegni di fine marzo lo ha fatto la Uil l’altro giorno e solo il Messaggero, ieri, ha dato il giusto spazio a quella che oggi rischia di essere un’amara beffa. Si tratta di un aumento medio del 29% su base annua, che riguarda Piemonte, Liguria, Lazio, Umbria e centinaia di comuni tra i quali Roma, Torino, Milano, Napoli e Genova. Più che #laSvoltabuona, #laSvoltaControilmuro
Paolo Griseri per ‘La Repubblica’
Molte reazioni positive e un silenzio sdegnato. In serata è questo il bilancio per Matteo Renzi. Dopo la settimana delle minacce, le parti sociali sembrano apprezzare le linee della manovra su fisco e lavoro. «Pare siano state accolte molte richieste del nostro piano lavoro», commenta Susanna Camusso.
Solo 48 ore fa il sindacato di corso d’Italia lamentava la mancata consultazione dei sindacati da parte del premier, ipotizzava un’attitudine di Renzi, «a sottovalutare l’importanza della concertazione» e addirittura preconizzava la possibilità di una mobilitazione contro il governo. Qualche deputato del Pd aveva scherzato su Facebook: «Hanno inventato lo sciopero a prescindere». Acqua passata.
«È condivisibile - dice Camusso - l’idea di tornare a mettere al centro il lavoro, l’intervento sulla diminuzione dell’Irpef per le’ fasce di reddito più deboli, l’aiuto alle piccole e medie imprese, la diminuzione dell’Irap pagata con l’incremento delle tasse sulle rendite finanziarie ». E le mancate consultazioni, il rischio che il sindacato finisca nell’angolo? «Se qualcuno non ti incontra ma accoglie le tue proposte, va bene così», taglia corto Camusso intervistata da Lilli Gruber (su la7). Positive le reazioni anche degli altri due sindacati confederali.
«Renzi non ha voluto confrontarsi con noi ma ha preso a piene mani dalle nostre proposte», dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Che aggiunge maliziosamente: «Ha fatto sue le nostre idee senza poterlo dire», come se le critiche del premier ai sindacati fossero un gioco delle parti. In realtà poche ore fa, mentre Camusso ipotizzava la mobilitazione contro il governo, Bonanni criticava Renzi per la sua polemica con la Cgil e per il fatto di dialogare con il leader della Fiom, Maurizio Landini, irritando la segreteria confederale di corso d’Italia.
Per il leader della Uil, Luigi Angeletti, «la manovra del governo è ottima». Naturalmente tutti i sindacati apprezzano con riserva. «Aspettiamo la verifica dei fatti nelle buste paga del primo maggio», dice Bonanni. «Attendiamo i testi dei provvedimenti e le iniziative a tutela dei pensionati più bisognosi», aggiunge Camusso. È però un fatto che le prime reazioni agli annunci del governo siano positive.
Diviso il fronte degli imprenditori, a dimostrazione che la geografia interna del mondo dei datori di lavoro è molto più frastagliata di quel che normalmente appare. Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, esprime tutta la soddisfazione di chi, dietro il bancone di un negozio, spera di veder tornare il pubblico per effetto degli aumenti in busta paga. «È molto positivo - dice Sangalli - che si sia deciso di diminuire la tassazione sulle famiglie».
Unico rammarico della Confcommercio è che la riduzione dell’Irpef non riguardi i lavoratori autonomi (i quali peraltro sono stati più volte accusati, nel corso degli anni, di ridursi le tasse da soli). Clamoroso è invece l’unico silenzio della giornata, quello di Confindustria.
Né Giorgio Squinzi né gli altri leader di viale dell’Astronomia ritengono opportuno commentare gli annunci di Renzi. Il premier sembra aver ascoltato solo in piccola parte la richiesta di riduzione dell’Irap più volte avanzata dall’associazione degli imprenditori. E soprattutto lo ha fatto contrapponendo la tassazione sulle rendite a quella sulle attività produttive e destinando la parte maggiore dei vantaggi fiscali alle piccole e medie imprese. Insomma, nel derby Irpef-Irap, Squinzi perde la partita. Come accade spesso, di questi tempi, al suo Sassuolo.
L’ATTACCO DI GRILLO
Gianroberto Casaleggio è arrivato a Montecitorio per incontrare i parlamentari del M5S. Il cofondatore del Movimento è entrato sviando cronisti e telecamere. Subito l’incontro, convocato ieri, con la senatrice a rischio espulsione Serenella Fucksia. Che si è detta tranquilla: "Non temo espulsioni. Non sono in pericolo. Il Movimento ha altro a cui pensare. E poi Casaleggio è troppo intelligente per occuparsi di queste cose".
Secondo Vito Crimi, primo capogruppo del movimento al Senato, oggi "non ci sarà nessuna espulsione e lo dico io che sono un ’espulsore’ per antonomasia". "La sfiducia da parte dei meet up (il caso della Fuksia e di Bartolomeo Pepe, ndr) non ha mai comportato meccanismi automatici di espulsione: può essere un elemento in più che si aggiunge a rilievi che già erano stati notati", sottolinea.
Intanto Beppe Grillo attacca oggi con violenza Matteo Renzi. "Italia 2015-2035. Ci aspetta un nuovo Ventennio dopo quello mussoliniano", scrive il leader dei 5 Stelle sul suo blog definendo il governo del segretario pd "una dittatura democratica ispirata da Gelli e prima ancora da Cefis, che puzza di P2 e di logge massoniche coperte, che viene attuata sotto i nostri occhi e con la benedizione silente del Colle".
"E’ una lunga marcia - sostiene ancora Grillo - iniziata con l’esproprio dei diritti costituzionali dei cittadini, con la continua delegittimazione di fatto della costituzione. Passo dopo passo. Il parlamento è stato ridotto con l’abuso dei decreti legge, che dovrebbero avere solo carattere di urgenza, a uno studio notarile che approva le leggi fatte dal governo".
Beppe Grillo al termine dellincontro con Matteo Renzi b f b fc f ac b e c acBeppe Grillo al termine dellincontro con Matteo Renzi b f b fc f ac b e c ac
Il primo obiettivo, sempre secondo il fondatore del M5S, "è mettere fuori gioco il movimento 5 stelle, impedirgli di vincere le elezioni. Secondo obiettivo: trasformare per sempre il Parlamento in un docile strumento che non interferisca nell’approvazione di ogni decreto vergogna come fu per il lodo Alfano".
2. M5S: CASALEGGIO, GRUPPO DISSIDENTI? NON CI SPAVENTA
Da ‘ansa.it’
"Non ci interessa assolutamente. Possono fare quel che vogliono, è una loro scelta. Noi saremmo in difficoltà se l’opinione pubblica non ci segue e non per un nuovo gruppo". Lo afferma Gianroberto Casaleggio in una intervista esclusiva all’ANSA a proposito dell’eventualità della nascita di un nuovo gruppo degli espulsi dal Movimento al Senato.
Il guru dei Cinque Stelle è a Roma per il ’caso Fucksia’, la senatrice sfiduciata dal suo meet up di Fabriano. Non ci sarà, precisa "alcun processo per la Fucksia. Ascolterò quello che vuole dirmi".
Casaleggio chiarisce anche di non essere "mai stato iscritto alla massoneria, né ho voglia di iscrivermi alla massoneria. Sono contro qualunque potere al di fuori dello Stato e per la massima trasparenza per i dipendenti dallo Stato. Non possono esserci poteri altri. Chi ha prove contrarie le porti fuori".
UGO BERTONE SU LIBERO
Nessuno è stato così pirotecnico e coreografico come Renzi. Ma tutti i premier dell’Europa mediterranea, in queste settimane, hanno cercato di dare una scossa all’economia e, di riflesso, all’occupazione. Facciamo, al proposito, un piccolo tour d’Europa. Giusto una settimana fa, François Hollande ha convocato le parti sociali per annunciare sgravi fiscali e contributivi per 30 miliardi nei prossimi tre anni. In cambio il presidente francese chiede alle imprese investimenti ed assunzioni.
Pochi giorni prima, il 25 febbraio, Mariano Rajoy aveva lanciato un piano ancor più aggressivo. L’imprenditore che assume un nuovo dipendente e s’impegna a non licenziare per tre almeno potrà godere di un maxi sconto sui contributi: solo 100 euro al mese. Ovvero, come ha specificato nel dettaglio lo stesso presidente del Consiglio: «Per un salario lordo di 20.000 euro la spesa contributiva annua per le imprese scenderà in media da 5.700 a 1.200 euro».
Per finanziare il cuneo fiscale, però, il governo spagnolo non è dovuto intervenire sul risparmio. Madrid se lo può permettere perché il debito pubblico è assai inferiore a quello italiano anche se l’emergenza lavoro è assai più drammatica che da noi, visto che il tasso di disoccupazione staziona attorno al 25%. Andiamo avanti. Il Portogallo, impegnato nello sforzo di tentare l’uscita dalla tutela della troika a metà maggio punta tutto sugli investimenti stranieri.
Per questo Lisbona ha abbassato dal 25 al 23% le imposte societarie con l’obiettivo di scendere al 17% nel 2016. I mancati introiti saranno compensati dal taglio delle spese, in particolare una nuova riduzione degli stipendi per gli statali. Insomma, le ricette sono diverse, ma il denominatore comune è uno solo: aumentare la competitività del sistema e dare una spinta all’occupazione grazie all’utilizzo della leva fiscale.
L’Italia, con il cocktail individuato dall’esecutivo, ha scelto una formula mista: sgravi fiscali sia per rilanciare la domanda interna (scelta Irpef), sia per alleggerire il gap di competitività accumulato dalle imprese italiane in questi anni nei confronti della concorrenza, soprattutto tedesca (scelta Irap).
E per sovrammercato, ha aggiunto altri carichi da novanta, a partire dal costo dell’energia fino al pagamento i tutti gli arretrati della pubblica amministrazione. Una pioggia di novità che richiede una pioggia di quattrini dalla copertura, senza voler fare il disfattista, sembra fatta apposta per incontrare il disco rosso da parte di Olli Rehn.
Ma, chissà, le diapositive di Matteo Renzi potranno ottenere quel che non è riuscito ad autorevoli economisti ed alleati: incrinare, se non spezzare la logica dell’austerità imposta all’Europa. Perché, delle due l’una: o Renzi subisce uno stop a Bruxelles, un grosso guaio ad un mese dal voto europeo, oppure si apre una crepa grossa come una casa nella diga eretta da frau Angela Merkel.
case e catastocase e catasto
Se l’Italia può attivare un fiume di spese con coperture varie e future, con che faccia si può chiedere a Lisbona, Atene o Madrid di stringere la cinghia? L’effetto Renzi, insomma, promette di rimescolare le carte in sede Ue, purché le televendite del premier italiano convincano i potenziali alleati, a partire da François Hollande, cui farà visita sabato.
Non sarà facile, ma una cosa è sicura: in assenza di una scelta europea che favorisca la ripresa dei consumi e decreti la fine dell’austerità, gli sforzi dei vari governi rischiano di essere inutili. Se tutti i Paesi europei s’impegnano in contemporanea a tagliare gli oneri contributivi o le tasse delle imprese non si genera alcun vantaggio competitivo.
Ma queste misure permetteranno di esportare di più oltre i confini dell’Unione Europea. Impresa improba per più motivi, a partire dalla forza dell’euro, in parte frutto della politica monetaria della Bce, che ha annullato i vantaggi dei sacrifici finora compiuti. In queste condizioni, le strategie dei vari Paesi rischiano di tradursi in un’operazione a somma zero quella che Il quotidiano francese Le Monde ha definito «la folle corsa alla competitività degli Europei».