Anna Maria Cossiga, Limes: Le conseguenze di Francesco 3/2014, 13 marzo 2014
IL PAPA È COMUNISTA?
«DICEVA HÉLDER CÂMARA, IL «VESCOVO delle favelas»: «Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista».
Lo stesso potrebbe dire papa Francesco. Nel suo caso, però, l’attenzione rivolta ai poveri e ai diseredati non è, per alcuni, indice di santità. Numerosi conservatori di casa nostra sostengono che il papa dice alle folle ciò che vogliono sentirsi dire e che la sua comunicazione «è solo in piccolissima parte diretta e spontanea». «Il fenomeno Francesco», aggiungono, non si sottrae alla regola fondamentale del gioco mediatico, anzi se ne serve quasi a diventarne connaturale» [1]. Per altri, tra cui Mattia Rossi del Foglio, Francesco, ai limiti dell’eresia, sta fondando «una nuova religione, una neo-Chiesa in netta rottura non solo con i predecessori, ma con il magistero cattolico perenne» [2]. Considera, inoltre, la fratellanza di Bergoglio come «umanitarista, da ong e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile» [3].
Se ci trasferiamo in terra americana, i conservatori cattolici risultano altrettanto insoddisfatti, se non di più. Basta sfogliare le pagine dei giornali e dare un’occhiata ai siti Web per rendersene conto. Per pura curiosità, ci limitiamo a citare quanto riportato dall’autorevole rivista The New Yorker. Lo scenario è un prestigioso gala per la raccolta di fondi destinati ai bambini bisognosi di New York. Tra gli invitati spicca il cardinale arcivescovo Timothy Michael Dolan. Spicca anche Stephen Colbert, notissimo comico, cattolico e ultimo di undici figli, segno dell’«appassionata obbedienza dei suoi genitori alla Humanae vitae» [4]. Dopo vari commenti, ecco quelli sul papa: «Ovviamente, come cattolico osservante, credo che il papa sia infallibile. Ma ha anche torto su molte cose. A proposito, c’è anche il papa, qui? Papa Francesco, ci sei? Se ci fosse, probabilmente non lo sapremmo, perché Sua Umiltà sarebbe fuori a lavare i piedi dell’addetto ai cappotti, o qualcosa del genere» [5]. Ma si sa: negli Stati Uniti i comici hanno un peso, negli affari politici e, a quanto pare, anche in quelli ecclesiali. E sembra che la moda sia attecchita anche da noi.
La critica più aspra al pontefice viene però da un non cattolico: Rush Limbaugh, il più popolare conduttore radiofonico dell’estrema destra americana, con venti milioni di ascoltatori. Limbaugh è andato in onda con una puntata dal titolo «È triste quanto sbagli papa Francesco (a meno che non sia una traduzione deliberatamente manipolata dalla sinistra)». Per lui il contenuto dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium è «puro marxismo».
2. Allora il papa è comunista? Certo, piace alla sinistra, come piace a migliaia di fedeli che, grazie al suo messaggio, hanno «fatto la pace» con la Chiesa. Come potrebbe essere altrimenti, quando un pontefice di Santa Romana Chiesa usa parole semplici, dice pane al pane e vino al vino, mette mano al risanamento dello Ior e continua l’opera di Benedetto XVI per far luce sullo scandalo pedofilia? Come potrebbe non piacere alla sinistra quando tocca tutti i temi che la sinistra ha cari? Ritanna Armeni, in un articolo sul Foglio, cerca di spiegare chiaramente perché alcuni fra i «suoi» sono diventati «papisti». «Ci dovete capire. Quando il papa, dopo aver abbracciato un disoccupato e un cassintegrato, dice: “Signore Gesù dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro” abbiamo un sussulto, quasi un momento di commozione. La parola “lotta” l’avevamo dimenticata, avevamo dimenticato che potesse avere un suono elevato, nobile. In tanti l’hanno calpestata in questi anni, disprezzandola come primitiva o usandola male, strumentalizzandola ai loro fini. Francesco invoca Gesù perché sa che non si può avere un lavoro se qualcuno non ci insegna anche come lottare per averlo. (...) Come tanti di noi, anche il papa pensa che si deve cominciare proprio tutto daccapo. Perché molti di noi di sinistra sono quelli che Karl Rahner definiva “cristiani anonimi”, siamo fuori dal perimetro della Chiesa, però ne possiamo condividere idee e convinzioni. E questo – rassicuratevi – sempre per dirla con Rahner “non rende superfluo il cristianesimo esplicito, anzi lo reclama per la sua stessa essenza e per la sua specifica dinamica”» [6].
Che l’attuale pontefice avesse «un’opzione preferenziale» per i poveri era chiaro ancora prima della sua ascesa al soglio di Pietro e adesso lo è più che mai.
La scelta stessa del nome è più che indicativa. È proprio Bergoglio a spiegarne i motivi: «Alcuni non sapevano perché il vescovo di Roma ha voluto chiamarsi Francesco. (...) Io vi racconterò la storia. Durante il conclave, avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo, il cardinale Claudio Hummes. Quando la cosa si faceva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi (...) lui mi ha abbracciato e mi ha detto: “Non dimenticarti dei poveri!”. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. (...) È l’uomo che ci da questo spirito di pace, l’uomo povero. (...) Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!» [7].
Quanto al suo rapporto con il capitalismo e con l’economia imperante nel mondo globalizzato, è sufficiente leggere alcuni titoli del secondo capitolo dell’Evangelii gaudium: No a un’economia dell’esclusione (53-54). No alla vuota idolatria del denaro (55-56). No a un denaro che governa anziché servire (57-58). No all’iniquità che genera violenza (59-60). La condanna diventa ancora più esplicita approfondendo la lettura: «Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in Borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. (...) Gli esclusi non sono “sfruttati”, (...) ma “rifiuti”, “avanzi”» (53). Quanto alla teoria della cosiddetta ricaduta favorevole, «esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del potere economico imperante» (54). E ancora: «La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli (55). (...) Accettiamo pacificamente il predominio del denaro su di noi e sulle nostre società. (...) Qualunque cosa che sia fragile (...) rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato» (58).
3. A proposito delle circostanze economiche e sociali del suo tempo, qualcuno scriveva nel 1891: «Una sì grande parte di uomini si trovano ingiustamente in uno stato misero e calamitoso. (...) Le circostanze hanno consegnato [gli operai] soli e indifesi all’inumanità e alla sfrenata cupidigia della concorrenza» [8]. Un altro commentatore denunciava nel 1931 che «l’ordinamento capitalistico dell’economia, col dilatarsi dell’industrialismo per tutto il mondo, si è venuto esso pure allargando per ogni dove, a tal punto da invadere e penetrare anche nelle condizioni economiche e sociali di quelli che si trovano fuori della sua cerchia [9]. (...) E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi [10]. (...) Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni [11]. (...) Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica dell’economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti. (...) La libera concorrenza si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata l’egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele» [12]. Nel 1961 si commentava ancora, in modo simile, che «mentre intere ricchezze s’accumulavano nelle mani di pochi, le classi lavoratrici venivano a trovarsi in condizioni di crescente disagio. Salari insufficienti o da fame, logoranti le condizioni di lavoro» [13].
Agitatori di popolo? Sindacalisti rivoluzionari? Teorici marxisti? No: sono le parole di Leone XIII nella Rerum novarum, di Pio XI nella Quadragesimo anno e di Giovanni XXIII nella Mater et magistra. E potremmo andare avanti citando i discorsi di Pio XII, la Populorum progressio di Paolo VI, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II o la Caritas in veritate di Benedetto XVI. Vogliamo definire questi pontefici marxisti?
Francesco non fa che riprendere gli insegnamenti dei suoi predecessori. Scriveva Paolo VI nella Populorum progressio del 1967: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello. (...) Circostanze provvidenziali ci portarono a rivolgerci direttamente all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E davanti a quel vasto areopago ci facemmo l’avvocato dei popoli poveri. (...) La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario» (3-4).
È di dottrina sociale della Chiesa, che si parla. Di una Chiesa che considerava, e considera, le idee marxiste, per dirla con Giovanni XXIII, “teorie estremiste che pongono rimedi peggiori dei mali» (8). Del resto, lo stesso pontefice Giovanni Paolo II, sulla Stampa del 15 dicembre 2001, così risponde ad Andrea Tornielli, che gli domanda che effetto faccia sentirsi definire «marxista»: “L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso. (...) Nell’esortazione non c’è nulla che non si ritrovi nella dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista».
La stessa Chiesa, comunque, aveva previsto una reazione da parte di certi cattolici. A proposito di questo, scriveva Pio XI nella Quadrigesimo anno: «Tuttavia, la dottrina di Leone XIII, così nobile, così profonda, così inaudita al mondo, non poteva non produrre anche in alcuni cattolici una certa impressione di sgomento, anzi di molestia e per taluni anche di scandalo. Essa infatti affrontava coraggiosamente gli idoli del liberalismo e li rovesciava (...) ond’è che i troppo tenaci dell’antico disdegnavano questa nuova filosofia sociale, i pusillanimi paventavano di ascendere a tanta altezza» (14).
4. Il semplice pensare che un pontefice sia marxista suona ridicolo e, peggio, testimonia dell’ignoranza di chi scrive o commenta. Possiamo anche aspettarcelo da parte di qualcuno che, come Limbaugh, non è cattolico ed è anche un ultraconservatore americano, ma che dire dei nostri commentatori? Si tratta di ignoranza o, piuttosto, di malafede? Come la già ricordata parola «lotta», anche le parole «comunismo» e «comunista», socialismo e socialista, marxismo e marxista sono state, e sono, disprezzate e strumentalizzate per fini ben precisi.
Forse, nell’epoca della fine delle ideologie, sarebbe opportuno ripensare agli ideali. Chiesa e marxismo, con buona pace dei cattolici conservatori, hanno molti ideali in comune. È la risposta al disagio ad essere diversa: il marxismo chiama alla lotta di classe, la Chiesa sprona a seguire il Vangelo. Non è certo un caso che Francesco attacchi così apertamente l’economia del mondo globalizzato in un’esortazione apostolica dedicata all’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Forse si dovrebbe cominciare a pensare, come consiglia Bergoglio, che anche i «marxisti» possono essere brave persone, dopotutto, e collaborare per un mondo migliore senza tante polemiche. Sotto un altro aspetto la Chiesa e Marx hanno una visione comune: la speranza in un «mondo nuovo» e in un «uomo nuovo».
Ci sembra che la domanda da porsi, a questo punto, non sia se papa Francesco è comunista. Potremmo domandarci, per esempio se un uomo come Bergoglio, con la sua storia, è sincero, o se è solo, per dirla con parole forti, un gesuita travestito da francescano. E potremmo domandarci se non stia alimentando troppo le speranze di quei poveri, di quei disoccupati, di quegli immigrati di cui si fa con tanto fervore il paladino. Se, davvero, potrà passare dalle parole ai fatti. Ma queste, appunto, sono altre domande.
Note
1. A. GNOCCHI, M. PALMARO, «Questo papa non ci piace», Il Foglio, 9/10/2013.
2. M. Rossi, «Francesco sta fondando una nuova religione opposta al magistero cattolico», Il Foglio, 11/10/2013.
3. Ibidem.
4. Cfr. «Stephen Colbert on Pope Francis, Cardinal Dolan and (of course) Stephen Colbert», Religion News Service, www.religionnews.com
5. J. CARROLL, «Who Am I to Judge?», The New Yorker, 23/12/2013.
6. R. ARMENI, «Non stupitevi se la sinistra orfana del padre si accoccola su Francesco», Il Foglio, 10/10/2013.
7. Dal discorso del papa per l’incontro con i rappresentanti dei media, 16/3/2013, www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2013/march/index_it.htm
8. Enciclica Rerum novarum, n. 2.
9. Enciclica Quadragesimo anno, n. 103.
10. Ivi, nn. 105-106.
11. Ivi, n. 107.
12. Ivi, n. 109.
13. Enciclica Mater et magistra, n. 8.