Flavio Alivernini, Limes: Le conseguenze di Francesco 3/2014, 13 marzo 2014
LA LINGUA DEL PAPA
«SAPETE PERCHÉ IL PONTEFICE HA CELEBRATO la benedizione di Pasqua in italiano? Perché l’italiano è la lingua dei poveri» [1].
La battuta di Herald Schmidt, conduttore dell’omologo show televisivo in onda sul sito della Bild, è stata inserita nella scaletta del programma qualche giorno dopo la benedizione urbi et orbi, il momento culminante di tutto il calendario cristiano. L’ironia di accostare le difficoltà economiche del Belpaese all’attenzione che papa Francesco rivolge ai più umili, nasconde forse l’amarezza e la nostalgia provate dai tedeschi dopo che Benedetto XVI è tornato a vestire i panni di Joseph Ratzinger e al soglio pontificio è salito un papa argentino. Ma indubbiamente coglie un fatto importante: con Jorge Mario Bergoglio l’italiano è tornato ad essere lingua franca della Chiesa cattolica.
A partire da quel famoso «buonasera» che proferì dalla loggia di San Pietro al mondo intero il giorno della sua elezione, papa Francesco ha fatto intendere che la missione di vescovo di Roma gli avrebbe richiesto di privilegiare la lingua della sua diocesi. Nel corso di questo ministero petrino la consuetudine dei discorsi pubblici plurilingue si è interrotta. La circostanza può apparire naturale agli indigeni che lo ascoltano a piazza San Pietro, ma non altrettanto alle comunità cristiane che lo seguono da ogni parte del mondo. Dopo due brillanti poliglotti come Wojtyta e Ratzinger, è arrivato un madrelingua spagnolo che parla un ottimo italiano ma ha ammesso di utilizzare con scarso profitto le lingue straniere, in particolare l’inglese: «Una lingua che mi causa grossi problemi è l’inglese, per via della sua pronuncia», ha detto Bergoglio qualche anno fa [2].
Gli appuntamenti diplomatici hanno certificato tale difficoltà: quando il 9 aprile scorso incontrò il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, col quale parlò meno di mezz’ora nella biblioteca di Palazzo apostolico, Bergoglio chiese che fosse presente all’incontro un monsignore della segreteria di Stato per fargli da interprete. Sembra che le uniche parole pronunciate nella lingua di Shakespeare furono: «This is for you», mentre congedava l’ospite consegnandogli un dono [3]. Ha chiesto assistenza al cardinale svizzero Kurt Koch anche durante l’udienza che ha concesso a Nikolaus Schneider, leader della Chiesa evangelica tedesca. Per la tradizionale udienza successiva all’elezione del nuovo pontefice, il papa ha poi incontrato il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede rivolgendosi in italiano ai legati e rompendo così con la consolidata tradizione che vuole il francese lingua della diplomazia.
«A me risulta che papa Francesco conosca il francese e il tedesco. Il fatto che nei suoi incontri diplomatici ricorra a un interprete», commenta lo storico della lingua Luca Serianni, «la vedrei più come una questione politica che strumentale. Tanto più, a questo punto, risulta significativa la sua scelta di parlare in italiano così diffusamente».
Va comunque riconosciuto che lo stile pastorale di Bergoglio si distingue indipendentemente dal codice linguistico che lo veicola: la sua caratteristica principale è quella di toccare il cuore e l’immaginazione dell’interlocutore per mezzo di una spontaneità e di un carisma fuori dal comune. Lui piace non perché fa così, ma perché è così: ciò che dice va al di là delle parole, quasi come se il messaggio fosse lui stesso.
Anche l’uso che fa della sua voce è significativo: la comunicazione verbale, valorizzata con l’intonazione, recupera foneticamente una dimensione emotiva altrimenti non restituibile. Questa sua attenzione alla melodia, unitamente alla sua particolare sensibilità vocale, ce lo avvicinano in modo coinvolgente: Bergoglio finisce con l’essere percepito come un maestro di scuola antico, un papa rasserenante, un prete umile e collaborativo. «Il linguaggio di Bergoglio, semplice e facile a comprendersi», continua Serianni, «ricorda quello di papa, Luciani; con quest’ultimo l’impatto è stato addirittura più dirompente, perché più netta era la contrapposizione di stile col pontefice precedente, Paolo VI, molto aulico nel modo di esprimersi e nelle strutture linguistiche. I commentatori arrivarono a definire Luciani “parroco di campagna”, “inadeguato al ruolo” adesso è passato molto tempo, c’è stato un modello comunicativo come quello di papa Wojtyta che ha fatto breccia e quindi siamo più preparati a un pontefice che parla come Francesco».
2. Il linguaggio scritto cerca di affiancare questa spontaneità verbale e così, nella versione ufficiale pubblicata sul sito Internet vaticano, il discorso di Francesco alla stampa presentava ben sette punti esclamativi. Anche un documento come l’esortazione Evangelii gaudium si caratterizza per il tono quasi colloquiale [4]. Alla spontaneità non corrisponde, però, una disorganizzazione della struttura semantica. Le omelie sono spesso pronunciate a braccio, ma partono sempre da tre parole che ne introducono e riassumono lo svolgimento; nella prima messa da pontefice, celebrata nella cappella sistina il giorno dopo l’elezione, il trinomio era: camminare, edificare e confessare. «Questa dimensione del ritmo del discorso», ha osservato padre Antonio Spadaro, direttore di La Civiltà Cattolica, «è tipica dell’espressione ignaziana, quindi gesuitica. Da sempre gli esercizi spirituali sono stati predicati in tre punti. Quindi, quando papa Francesco parla in tre parole si richiama esattamente a questa capacità di dare ritmo al discorso, individuando i nuclei chiave».
Forse proprio per la sua capacità di sintesi e incisività il messaggio del papa si sposa perfettamente con la comunicazione in rete: una presenza che desta crescente attenzione nel mondo digitale, permettendo alla Chiesa di parlare a una comunità molto più ampia di quella a cui si rivolgeva solo pochi anni fa.
Un’indagine svolta tra marzo e novembre 2013 dalla società 3rdPlace rileva che Francesco è stato il personaggio con il maggior volume di ricerche mensili su Google (1.737.300) e di menzioni sul Web (oltre 49 milioni).
A livello globale, la classifica delle ricerche su Google è la seguente: papa Francesco (1.737.300), Barack Obama (1.500.000), Edward Snowden (673.000), il senatore texano Ted Cruz (246.000), Vladimir Putin (246.000). Sempre a livello globale, la classifica delle menzioni online (blog, siti di informazione, forum di discussione, social media) vede papa Francesco sempre al primo posto (49 milioni), seguito da Obama (38 milioni), Putin (8 milioni), Angela Merkel (3,8 milioni), l’ex presidente egiziano Muhammad Mursi (3,7 milioni).
Se si considerano congiuntamente Stati Uniti, Regno Unito e Italia, le trenta parole associate più frequentemente alle menzioni di papa Francesco sono: children, gay (marriage), poor, media, Twitter, abortion, peace, marriage, money, support, Christians, family, war, economy, education, unemployment, abuse, sex, society, Syria, business, youth, justice, kids, recession, law, Muslim, homosexuality, Facebook [5].
Su Twitter, papa Francesco ha superato gli 11 milioni di followers (seguaci): meglio del Dalai Lama, che non interagisce con nessuno e ha «solo» 8,4 milioni di seguaci online. @Pontifex «twitta» in nove lingue: portoghese, arabo, spagnolo, inglese, tedesco, polacco, italiano, francese e latino. Il quotidiano Times ha scritto che da quando il papa usa Twitter nell’idioma dell’antico impero romano «c’è nuova vita per una lingua morta»: secondo monsignor Daniel Gallagher, un prete americano che presso la Santa Sede contribuisce a gestire l’account in latino, gran parte dei suoi 216.000 seguaci sarebbero «studenti delle università, delle scuole superiori o anche più giovani» che possono esercitarsi così nella lingua di Cicerone.
Dopo aver riattivato l’account temporaneamente sospeso per l’abdicazione di Ratzinger, il primo «cinguettio» (che rimane, in inglese, quello più «retwittato» in assoluto) fu: «Cari amici, vi ringrazio di cuore e vi chiedo di continuare a pregare per me». Dal quel giorno invia quotidianamente messaggi, appelli ed esortazioni in 140 caratteri. E pensare che Bergoglio aveva detto, prima di salire al soglio pontificio, che avrebbe utilizzato i social network solo quando sarebbe andato in pensione e nonostante le sue telefonate siano diventate celebri non hai mai posseduto un cellulare perché – secondo lui – può essere utile per cominciare un dialogo, ma per parlare davvero non c’è niente di meglio che trovarsi faccia a faccia [6].
«Lo stile comunicativo di papa Francesco si adatta brillantemente ai social network», afferma Serena Danna, esperta di cultura digitale di La Lettura, supplemento culturale del Corriere della Sera, «perché veicola il valore più importante per un brano in Rete: l’autenticità. Bergoglio appare autentico nei suoi sentimenti, nelle scelte lessicali, nei contenuti. Il suo selfie (autoscatto) diventa virale proprio perché spontaneo, non frutto di una strategia comunicativa».
3. Immediatezza del linguaggio in tutte le sue forme, autenticità e semplicità come caratteristiche preponderanti del suo modo di essere e di parlare: il pastore deve «avere l’odore delle pecore» [7] e la vita dev’essere il paragone delle parole, per usare una metafora manzoniana molto amata dal papa.
Un sondaggio svolto in Italia, non a caso, ha dimostrato che la popolarità e la credibilità delle istituzioni ecclesiastiche è salita di circa 20 punti percentuali da quando Bergoglio ne ha assunto la guida. E il motivo, per il 75% degli italiani, sta proprio nel linguaggio, nello stile diretto e autentico [8]. Del resto, «ciò che un romano ammira in una persona», aveva scritto Pier Paolo Pasolini, «è la capacità di parlare, l’inventiva linguistica, o almeno un uso vivido delle istituzioni gergali».
Jorge Milia, giornalista e scrittore argentino, amico personale del papa e suo alunno ai tempi del liceo a Santa Fé, ritiene che Francesco, a forza di coniare neologismi, stia addirittura creando una nuova lingua. Milia da qualche tempo ha iniziato a catalogare un’antologia di lemmi ed espressioni gergali del suo ex insegnante [9]. «I “bergoglismi”, dice Milia, «sono una manifestazione naturale del suo modo di essere: molta gente pensava che una volta volato a Roma avrebbe cambiato atteggiamento. Ma ha tenuto gli stessi pantaloni, le stesse scarpe, lo stesso crocefisso che aveva in Argentina; perché avrebbe dovuto cambiare la sua maniera di parlare?»
Termini e modi di dire che Bergoglio mutua spesso dal lunfardo, uno slang nato nelle carceri come linguaggio in codice fra i prigionieri e che poi, col tempo, si è diffuso tra la classe media e il resto della popolazione anche attraverso il tango. Parte dei suoi vocaboli, tra l’altro, provengono da vari dialetti tra cui il piemontese, che Jorge Mario Bergoglio conosce molto bene per via delle sue origini italiane. «Non avevo pianificato di catalogare queste parole in maniera sistematica», dice Milia, «ma quando il papa mi ha detto che “rincontrare” le sue parole gli dava gioia, mi ha dato uno stimolo a proseguire e adesso il glossario ha assunto una certa consistenza». Ecco alcuni esempi:
Primerear. Lo scorso 18 maggio, in occasione della vigilia pentecostale, papa Francesco pronunciò la parola primerear. «Ci diciamo che dobbiamo cercare Dio, ma quando noi andiamo verso di Lui, Lui ci sta già aspettando. Lui è già lì; come diciamo in Argentina, il Signore ci primerea, ci anticipa, ci aspetta: pecchi e lui ti sta aspettando per perdonarti». Primerear, spiega Milia, è un termine legato alla mentalità e alle tradizioni del porteño, l’uomo che vive nei pressi del porto di Buenos Aires, il quale cerca prepotentemente di affermare che lui viene prima rispetto agli altri e al resto delle cose. Un proverbio spagnolo dice: «Chi colpisce per primo, colpisce due volte». È un termine che il più delle volte possiede un’accezione negativa, ma è interessante notare come Bergoglio lo trasformi e lo adatti conferendogli un significato nuovo: Dio ci primerea vuol dire che ci precede, ci inserisce nel suo piano, nel progetto che ha per noi.
Balconear. Nel gergo del lunfardo balconear significa «stare a guardare dalla finestra» e descrive un atteggiamento di curiosità senza partecipazione. «Negli anni della nostra infanzia e adolescenza, quando il giovane insegnante Bergoglio era nostro professore, la Scuola dell’Immacolata concezione di Santa Fé partecipava con altre scuole cattoliche alla processione del Corpus Christi assieme ai fedeli. Durante il lungo percorso che attraversava tutto il centro cittadino, era comune vedere molti balconeros: famiglie che con qualche immagine religiosa e un paio di candele sul balcone si dedicavano a salutare i fedeli in processione e a fare commenti. Quando si è rivolto ai giovani invitandoli a non balconear, ma a tuffarsi nella vita come ha fatto Gesù, ho provato una profonda ammirazione per quell’amico che mostrava nel profondo dell’anima il suo essere porteño, che suggeriva con forza l’idea di scendere in strada per essere parte attiva della Chiesa e di non osservare passivamente la realtà dal balcone di casa».
Ningunear. Il termine racconta di un atteggiamento offensivo, spregiativo, vuol dire non dare valore a qualcuno o non starlo a sentire, ignorarlo, fare come se non ci fosse, come se la sua opinione non avesse importanza, come se contasse poco o nulla. Bergoglio, invece, vuole che i cattolici riconoscano Cristo negli altri. Non si capisce come si possa coniugare come un verbo una parola come «nessuno» (ninguno), che è aggettivo e pronome indefinito. Il papa l’ha fatto: «Se lo avessi fatto io in quelle vecchie aule», conclude Mila, «non credo che il professor Bergoglio lo avrebbe approvato!».
Note
1. «L’italiano “lingua dei poveri”, l’ironia del comico tedesco», video, Corriere della Sera, 3/4/2013, video.corriere.it/presentatore-fa-riferimento-benedizione-messa-pasqua/c60b457a-9c4d-11e2-aac9-bc82fb60f3c7
2. S. RUBÍN, F. AMBROGETTI, El gesuita: conversaciones con el cardenal Jorge Bersaglio, Vergara, 2010.
3. «Papa Francesco fa fatica a parlare in inglese, con Ban Ki-moon usa l’interprete», Il Messaggero 9/4/2013.
4. A. GISOTTI, Comunicare la gioia. Centro studi e ricerche Tocqueville-Acton.
5. La Rete ama papa Francesco, 3rdPlace, 2014.
6. E. HIMITIAN, Francesco. Il Papa della gente, Milano 2013, Rizzoli.
7. Prima Messa del Crisma di papa Francesco.
8. Indagine a cura dell’Istituto nazionale di ricerche Demopolis.
9. Jorge Milia tiene il blog «Il gergo di Francesco» sul sito Terre d’America (www.terredamerica.com).