Guido Olimpio, Corriere della Sera 13/3/2014, 13 marzo 2014
I SOSPETTI SUL COPILOTA «INVITÒ DUE DONNE DENTRO LA SUA CABINA»
WASHINGTON — Un segnale radar a 200 miglia a nord ovest di Penang, costa occidentale della Malaysia. È quella del jet scomparso? Nessuno lo sa. «Non stiamo dicendo che si tratti dello MH 370. È un blip non identificato sullo schermo», ha spiegato il comandante dell’aviazione Rodzali Daud. La traccia sconosciuta è stata individuata alle 2.15 (le 20.15 ora italiana) del giorno della scomparsa e volava ad una quota di circa 8.900 metri. Poi più nulla. Il nuovo dato e l’estensione delle ricerche anche nella regione delle isole Andamane (India) rappresentano le due novità in questa vicenda misteriosa, dove il dubbio che le autorità stiano nascondendo qualcosa è crescente. Magari per coprire qualche problema. Da qui le critiche, anche feroci, per la gestione caotica della crisi da parte della Malaysia.
Intanto la compagnia aerea indaga anche sul profilo del suo equipaggio. A riguardo del copilota è infatti emerso un particolare non proprio professionale: nel 2011 Fariq Abdul Hamid aveva invitato in cabina due ragazze durante il volo da Phuket a Kuala Lumpur. Un’episodio documentato anche da alcune foto mostrate dalla televisione australiana Channel Nine, alla quale una donna sudafricana ha raccontato la sua «gita» in compagnia di un’amica nella sala comandi del 27enne Hamid. Qui, assieme al copilota, le due avrebbero trascorso oltre un’ora chiacchierando e fumando tranquillamente. La linea aerea malese si è detta «costernata» dall’episodio e ha annunciato che controllerà l’attendibilità delle immagini e del racconto della ragazza.
Nel giallo del volo MH 370 da Kuala Lumpur a Pechino l’unico elemento certo sono le 239 vittime. Per il resto è un intrecciarsi di versioni. Dal giorno del disastro le autorità ne hanno fornite tre sull’ultima traccia del jet. La prima: ore 1.20, ossia 40 minuti dopo il decollo, a nord-est della Malaysia, lungo la rotta prevista. La seconda: alle 2.40, direzione ovest, Stretto di Malacca (informazioni prima divulgata, poi parzialmente smentita). La terza: ore 2.15, a nord-ovest di Penang. Le differenze non sono da poco. Intanto perché l’area di perlustrazione si allarga considerevolmente, oltre 70 mila chilometri quadrati. Ma, cosa più importante, introduce l’interrogativo sulla posizione del jet, così lontano dal percorso previsto. In sintesi: non si sa bene dove cercare i resti del Boeing 777.
In questa serie di «avvistamenti» (veri o presunti) il comune denominatore è l’assenza di appelli via radio. Nell’ultimo contatto il pilota si sarebbe limitato a «tutto ok, buona notte». Gli esperti ricordano però che in caso di emergenza l’equipaggio deve seguire tre regole: pilota, usa gli strumenti, comunica. Dunque si può immaginare che il comandante e il secondo abbiano dovuto affrontare la situazione imprevista e repentina al punto tale da non poter lanciare alcun messaggio. E questo lascia aperti tutti gli scenari evocati in questi giorni. L’esplosione di una bomba, un cedimento strutturale, una falla al sistema elettrico o all’autopilota. Non le uniche. Il cambio di rotta fa pensare anche al dirottamento. E poi c’è lo scenario detto del «kamikaze», il pilota o il suo vice che decidono di far schiantare il jet. La polizia malaysiana ha, poi, interrogato a lungo un amico dei due iraniani saliti a bordo con i passaporti rubati e che — stando alle notizie emerse — volevano raggiungere l’Europa per chiedere asilo politico. Forse ci sono aspetti che non «tornano» oppure si tratta solo di ulteriori verifiche alla storia.
L’altro focus riguarda lo stato del 777. Secondo le fonti ufficiali il jet aveva superato di recente i test di controllo. Qualcuno ha però ricordato un avviso su possibili «crepe» alla carlinga e un incidente subito dal velivolo all’ala destra, rimasta danneggiata durante uno scalo. L’ultimo giallo arriva dal governo cinese, che afferma che uno dei propri satelliti avrebbe individuato in mare i possibili rottami dell’aereo scomparso.