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 2014  marzo 13 Giovedì calendario

ALICE CHE SI RISVEGLIA DAL COMA E DISEGNA L’AUTO CHE L’HA INVESTITA


DAL NOSTRO INVIATO ROVERBELLA (Mantova) — Un anno e mezzo di buio squarciato da un disegno, l’abbozzo del profilo di un’automobile. Alice Cavrioli, studentessa oggi diciottenne, non ha mai pensato di togliersi la vita, come un’indagine troppo frettolosa aveva decretato. La Procura di Mantova ha riaperto il fascicolo sul caso della ragazza che forse non si lanciò dalla finestra della sua casa di Roverbella, ma che invece potrebbe essere stata travolta da un pirata della strada.
Scavando con tenacia nella sua memoria mutilata, Alice ha dei flash ma non riesce a esprimerli a parole. Vede invece nel pozzo dei ricordi qualcosa che disegna su un foglio di carta, l’immagine stilizzata di un’auto. Una, due, tante volte quel fotogramma riaffiora sempre identico; il resto lo fa una perizia medica che aggiunge spessore scientifico a quelle impressioni soggettive: le ferite che hanno segnato per sempre il fisico di Alice non sono compatibili con una caduta dall’alto, con la dinamica del suicidio. L’avvocato Paolo Soardo porta tutto negli uffici della Procura di Mantova e ottiene la riapertura delle indagini. Un miracolo. «No, è una vittoria di tenacia, scrupolo e di un fatto di cui sono sempre stata convinta: Alice non avrebbe mai potuto pensare al suicidio. Adesso speriamo venga individuato il responsabile», dice Monia Manerba, mamma della ragazza. Alice, accanto, fa sì con la testa e lancia uno sguardo di complicità con i suoi profondissimi occhi azzurri. È inchiodata su una sedia a rotelle, ha perso l’uso delle gambe e ha sopportato cinque interventi chirurgici. «E pensare che all’ospedale le avevano dato quattro ore di vita…», sospira la mamma. Era il 3 maggio del 2010: una vicina trova nel cortile il corpo esanime di Alice. La porta di casa è chiusa, la finestra della camera, al secondo piano, aperta, lei è scalza. Studentessa al liceo linguistico di Mantova, una passione per il karate e per il canto, resta in coma cinque mesi e sedata dalla morfina per vincere i dolori terribili, poi comincia il calvario della risalita. Fuori e dentro dalle sale operatorie per la riduzione della frattura al midollo, per ricostruire il volto sfigurato da un trauma cranico.
«Sono viva, continuavo a ripetermi per andare avanti», racconta oggi Alice, che ha riacquistato la parola ma non la memoria su quanto accaduto. «Per un anno e mezzo ho avuto un buco nero, ero io a chiedere agli altri cosa mi fosse successo». Gli inquirenti chiudono il caso come un tentativo autolesionistico, roba da adolescenti. «E allora mi sono imposta di cercare la verità, senza l’aiuto di nessuno: scavavo dentro di me e nella mente riaffiorava quel lampo. Piano piano ho provato a mettere sulla carta quelle sensazioni a cui le parole non davano forma e veniva sempre fuori il profilo di un’auto».
Possibile? Il passo successivo (e decisivo) arriva da una perizia medica. Uno specialista coglie il bandolo della matassa: Alice non aveva fratture alle gambe, tipiche di chi si lancia da una finestra. E invece ci sono fratture alla schiena, alla testa, al fegato. Se ne convince anche la Procura di Mantova. «Quel giorno un’auto pirata ha travolto Alice», dice la madre. La partita della verità è riaperta e Alice lo conferma: «Lo faccio per amor di verità, non voglio che vedendomi la gente dica: ecco quella che si è buttata dalla finestra».