Gian Enrico Rusconi, La Stampa 13/3/2014, 13 marzo 2014
PERCHÉ IL PAPA RESTA ANCORA UN ENIGMA
Fenomeno in gran parte mediatico? Rinnovamento solo pastorale? O inizio di una nuova ermeneutica dottrinale? Ad un anno esatto dalla sua elezione, Papa Bergoglio continua a sollevare interesse e forti interrogativi. Ma per molti aspetti rimane ancora un enigma.
Tra devoti entusiasti, clericali mugugnanti e laici che volonterosamente offrono la loro spiegazione.
Papa Francesco va per la sua strada, sostento da una fede formidabile. Tutto il resto attorno a lui è incerto. Talvolta dà l’impressione di essere sostanzialmente solo. Incarnando perfettamente il nostro tempo mediatico, affascina direttamente la gente (fedeli e non) con il suo sorriso e le sue parole semplici e penetranti. Smonta l’aura sacrale del suo altissimo ruolo entro cui agivano o su cui si appoggiavano i suoi predecessori. Ma molti temono che questo atteggiamento prima o poi minerà la sua autorità.
In realtà il progetto di Papa Francesco è restaurare l’autorità (e l’attrattività) della Chiesa intesa come espressione di una autentica comunità di credenti, che ragionano e dialogano a partire dal vissuto quotidiano. Non una Chiesa che si avvolge nel mistero ma poi si esprime attraverso un apparato istituzionale che dal vertice distribuisce certezze con il rischio di diventare «una Chiesa fredda che dimentica la speranza e la tenerezza, che non sa dove andare e si imbroglia» - come disse mesi fa in una intervista a questo giornale.
Qual è lo strumento principale per questo audace progetto? E’ il linguaggio. Il linguaggio parlato e dell’immagine, che attinge al vissuto, alla sensibilità umana, al modo di esprimersi comprensibile a tutti per la sua carica emotiva («dolcezza», «misericordia). Una semantica che sembra introdurre ad una nuova ermeneutica della dottrina tradizionale. Ma questa è ancora tutta da inventare.
Tutto ciò spiazza i critici che avevano previsto (non senza buone ragioni) una collisione tra dottrina tradizionale e azione pastorale. In realtà siamo appena all’inizio di un conflitto che può rivelarsi più duro e più lungo del previsto, perché trova impreparati gran parte degli uomini di Chiesa.
Qui urtiamo in un brutto paradosso perché l’azione di Bergoglio è efficace se non è una pressione dall’alto. Il Papa non solo non vuole creare tensioni o divisioni all’interno della Chiesa, ma come nessun altro dei suoi predecessori intende valorizzare al massimo le forme di collegialità esistenti. Soprattutto vuole restaurare la piena autorità dei vescovi radicati nel loro popolo. Ma se questi sono i primi a non capire la rivoluzione semantica ed ermeneutica di Bergoglio e vi vedono soltanto pericoli per le certezze dottrinali?
Oggi all’ordine del giorno c’è la «teologia della famiglia», che indirettamente porta alla luce questioni radicali che toccano in profondità quella «antropologia» (o condizione umana o semplicemente natura umana) che sino a qualche tempo fa veniva affermata in modo perentorio e in contrapposizione ad ogni altra concezione, subito declassata a relativismo, immoralismo, laicismo, nichilismo ecc. Adesso finalmente sentiamo autorevoli uomini di Chiesa che pubblicamente parlano di amori e unioni matrimoniali autentiche ma fragili, difficili e infine fallite. Soprattutto della legittimità morale che progetti di vita comune incolpevolmente falliti possano ritrovare una loro soluzione positiva in un altro matrimonio. Ovvero in termini giuridici: divorzio e ricostituzione di un’altra famiglia. Naturalmente per gli uomini di Chiesa l’ottica che conta è quella della piena permanenza nella vita ecclesiale degli uomini e delle donne che patiscono la situazione ora descritta e desiderano vivere interamente la loro fede. Sbrigativamente e giornalisticamente questo problema si condensa nel tema della «comunione per i divorziati». In realtà la questione è più sofisticata: si parla di percorsi «penitenziali che abbiamo come esito la ritrovata comunione eucaristica».
Con tutto il rispetto per questa impostazione, qui mi preme dire che dietro a questa problematica sono in gioco molto di più delle «patologie» della famiglia o del matrimonio. E’ l’intero discorso sulla «natura umana». Discorso ampio e impegnativo, attorno al quale il confronto tra visione laica e visione religioso-cattolica da tempo si è bloccato.
Vorrei concludere, accennando ad un altro tema, riprendendo un passaggio ironico, breve ma significativo dell’intervista di Bergoglio alla «Stampa» di mesi fa. «Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non clericalizzate, facendole magari cardinali». L’arguzia dell’affermazione evade la sostanza di un problema dottrinale eluso. Non intendo affatto in questa sede sollevare la problematica del sacerdozio femminile che nella dottrina cattolica ha una lunga e argomentata tradizione di rifiuto. Ma Papa Francesco avrebbe potuto semplicemente dire: «La donna collocata in posti decisionali e in ruoli istituzionali essenziali, potrà senz’altro de-clericalizzare la Chiesa così come è oggi». Perché non ha detto queste parole? Sarebbe stato un elegante e ancora ortodosso contributo ad una nuova ermeneutica dottrinale.