Federico Orlando, Europa 13/3/2014, 13 marzo 2014
FLORES D’ARCAIS, L’INTELLETTUALE CHE DISFA
Con Paolo Flores d’Arcais, uno dei filosofi italiani più attivi sulla scena pubblica, meno mediatico di Cacciari ma inesauribile scrittore di parole e di concetti, non m’incontro più dal 14 settembre 2002, credo; ma mi tengo in contatto con lui attraverso Micromega, poderosa rivista bimestrale del gruppo L’Espresso, e i suoi supplementi di filosofia o teologia non meno poderosi, e i suoi quaderni, più snelli e rivolti alle contingenze della politica. L’ultimo, che porta il numero 1/2014, non ha titolo in copertina, ma nomi.
I primi due, Paolo Flores d’Arcais e Stefano Rodotà in rosso-fuxia, per un dialogo sui movimenti sociali e la loro rappresentanza politica; due nomi in verde-trifoglio, Lucrezia Reichlin e Luciano Gallino sulle radici della crisi finanziaria e politica; in fondo Alessandra Sciurba in quasi blu, sulla “mostruosa legislazione” contro gli immigrati. Temi da robusto giornale quotidiano, che ti aiutano subito a capire la personalità del filosofo; o a confermarti nella spiegazione, che t’eri dato, della sua caduta di aspirante leader civile, pari al successo teorico del maitre-à-panser.
Si annunciano in copertina con queste parole i temi della lectio magistralis: “I dilemmi della ‘via maestra’, ovvero: dialogo sulla cittadinanza attiva e la sinistra introvabile, su Renzi Grillo e Napolitano, sulla Fiom di Landini, e soprattutto sulle lotte della società civile senza rappresentanza, e su come costruirla (cominciando magari dalle europee con una ‘lista Tsipras’)”. Ci risiamo. Risiamo a quel discorso sulla società civile forte nelle piazze e assente nel Palazzo che smettemmo di fare a voce poco dopo quel 14 settembre a San Giovanni, dove eravamo entrambi, con Moretti, Foa, Colombo, Fo, la leader dei girotondi di Milano, Fossati, e un milione di giovani e adulti, che dall’alto del palco vedevamo come ciglia vibranti di coralli nella piazza e nelle strade, in profondità sull’Appia, verso Santa Croce in Gerusalemme, verso il Laterano e via Merulana, in un mare di bandiere che pulsavano coi cuori nel caldissimo pomeriggio di settembre.
Paolo non voleva che io parlassi: ma l’associazione Articolo 21, che presiedevo sia pure simbolicamente, per una volta lo pretese. I promotori della manifestazione, che avrebbe dovuto dare spinta all’azione iniziata da Moretti in primavera, “Con questi politici non vinceremo mai più”, furono d’accordo ch’io parlassi. E la scena del vecchio giornalista montanelliano e militante liberale, che eccitava la marea rossa e ne era eccitato fino a formare un ariete contro il monopolio e il bavaglio, “Siete voi la notizia”, eccitò anche Gian Antonio Stella, che mi strappò dalle mani la scaletta degli appunti e il giorno dopo sparò in prima pagina sul Corriere della Sera, con un’enorme fotografia, un titolone su Montanelli che dal cielo non crede ai suoi occhi (era morto un anno prima, dopo l’avvilente vittoria della destra).
Mi resi conto che per Paolo, promotore della giornata, quel trionfo non interamente e non esclusivamente suo, non era gratificante. Non gli aveva dato quel che forse inseguiva già da anni: la leadership di un movimento politico, che era lì, tutto davanti a noi, ma che nessuno di noi era (sia nella realtà, sia nel pensiero di Paolo) in grado di animare. Ci mancava il martello michelangiolesco. Non so se abbia creduto o creda d’essere l’unico in grado di scagliarlo, ne dubito. Il suo ego si concentrava piuttosto sull’analisi politica, ch’egli sentiva fluire dalle sue parole in forma più compiuta che da altre.
Moretti era il nome popolare di genio, gli altri contavano poco nonostante le ovazioni occasionali: e in questo convincersi d’essere il solo leader possibile non s’accorgeva d’essere l’autentico figlio della sinistra-sinistra italiana, quella (come scrive la nostra Fabrizia Bagozzi) che non riesce mai a mettere insieme due persone senza che si contrappongano in due partiti. Ecco Tsipras, l’apoteosi al teatro Valle occupato (mi raccomando “occupato”), la corona di Dei e semidei italici, che appena lui torna verso l’Olimpo si sbandano, si sbudellano, come su quel monte quando la Terra era giovane e anche i suoi miti. Solo che qui, nel frattempo, siamo tutti invecchiati.
Così in queste ore Paolo si tormenta nella guerra fra gli Dei ancora garanti e candidati della lista “L’altra Europa con Tsipras”, e gli Dei dimissionari. Lui è dimissionario. Prima era garante della lista ma non si candidava. Poi neanche più garante. Insieme a Camilleri, ha varcato l’Ellesponto verso altri regni. Era già tutto scritto nel numero 1/2014 di Micromega, dove il discorso che Paolo rivolge al non meno ondeggiante Rodotà parte da San Giovanni (e da dove, se no?) e dal successivo «ciclo di lotte straordinario e senza eguali in nessun altro paese dell’Occidente, lotte civili e sociali spesso intrecciate», lotte di movimenti non dell’antipolitica ma dell’altrapolitica, di una cittadinanza attiva ed orfana insieme. Chi ne avrà la leadership? Grillo si presenta solo al momento elettorale, a raccogliere messi di voti per quella paternità bifida dove non è vero che uno vale uno, ma «due valgono più di tutti».
Mentre Renzi, «al quale dobbiamo d’aver rottamato D’Alema», non può rappresentare il mondo che abbiamo mosso per quindici anni, «perché ne rappresenta un altro tutto interno all’establishment italiano». Così pensa Paolo. Che individua il «cuore dei nostri problemi» nel dover dare «rappresentanza, cioè forza politica organizzata, anche nel senso di liste che si presentino alle elezioni, ai milioni di cittadini che si sono riconosciuti nei valori del nostro lunghissimo ciclo di lotte».
E mentre lo scrive, sfascia la lista unitaria per Tsipras, perché un autentico uomo di sinistra-sinistra, come lui ma non solo lui, può concepire l’unità, ma vive solo praticando la divisione.
Non per altro, essendone inconsciamente consapevole, scrive a frontespizio del suo fascicolo le parole di Bobbio del febbraio 1990 al Capranica: «La creazione di una nuova sinistra, oggi, nel deserto delle idee della politica quotidiana, è una magnifica avventura. Il passo più difficile è quello dalle parole ai fatti». Ieri, e anche oggi. E domani. Mentre Fetonte, risorto ad Atene, spegne i suoi raggi nel Tevere.