Ettore Bianchi, ItaliaOggi 13/3/2014, 13 marzo 2014
TATUAGGI, UNA GRANDE INDUSTRIA
Un professionista del tatuaggio guadagna più di un medico. Parola di Paul Ghoubaira, quarantenne libanese, uno degli operatori più importanti del settore in Francia. Insieme a suo fratello svolge una doppia attività: da un lato fabbrica materiale e lo rivende all’ingrosso; dall’altro, gestisce sei studi di tatuaggio e piercing a Parigi.
Ha una quarantina di dipendenti e nel 2013 ha messo a segno una crescita di fatturato del 10% in un periodo di piena crisi.
Ma i progetti di Ghoubaira non si fermano qui: nel giro di un anno vuole estendere la sua presenza nel resto del paese e all’estero attraverso la formula dell’affiliazione. I protagonisti del comparto sostengono che la domanda ha sempre superato l’offerta. Da un sondaggio è emerso che il 10% dei francesi si è fatto tatuare; la percentuale è più alta fra i giovani. In pochi decenni il tatuaggio, da pratica provocatoria, si è trasformato in elemento della cultura di massa. È sempre più difficile trovare calciatori che non esibiscano almeno un disegno sulla pelle. E così avviene per i personaggi dello spettacolo. Basti pensare alla cantante Rihanna e ai suoi 21 tatuaggi. E al forte seguito fra gli adolescenti, che si precipitano a copiare la loro beniamina.
In Francia i tatuatori sono circa 1.200 stando alle cifre diffuse dal sindacato Snat. Ma gli addetti ai lavori ritengono che in realtà si sia superata quota 3 mila perché i numeri ufficiali comprendono soltanto gli operatori che da qualche anno sono obbligati a dichiararsi. In più ci sono i clandestini, che si sono improvvisati tatuatori: niente diploma ma soltanto tre giorni di formazione sull’igiene, una dichiarazione, il materiale necessario. In sostanza, autodidatti che hanno cominciato in quattro e quattr’otto. Il guadagno è assicurato, visto che i prezzi vanno da 50 a 200 euro l’ora. I fallimenti sono rari.
I professionisti e i dilettanti del tatuaggio spesso si guardano in cagnesco: per i primi c’è un problema di concorrenza sleale, di incompetenza. I secondi, invece, dicono che esercitano una forma d’arte: l’unica cosa che li differenzia dai pittori è il lavoro sulla pelle anziché sulla tela. Dunque, non è questione di scuole specializzate: l’arte si trasmette dal maestro tatuatore all’allievo, come negli studi di pittura del Rinascimento. E c’è chi si batte per il riconoscimento dello status di artista. Ma c’è pure chi preferisce rimanere coi piedi per terra, come Stéphane Chaudesaigues, proprietario di otto negozi in Francia: non siamo tutti artisti, il governo lo sa e non ci darà mai l’Iva ridotta. Meglio sarebbe ottenere la qualifica di artigiani, che permetterebbe di assumere apprendisti e di regolamentare la formazione.
C’è però una controindicazione alla diffusione su larga scala della pratica del tatuaggio: aumentano i pentiti che dopo un po’ di tempo rivogliono la pelle pulita. Nel 2012, negli Stati Uniti, sono stati eseguiti circa 63 mila interventi di questo tipo. I professionisti crescono anche in questo settore, grazie alla tecnica basata sul laser. Ma ci vogliono tempo e soldi e il risultato non è sempre assicurato. Per un tatuaggio medio occorrono dieci sedute. Alla fine potrebbero restare ombre o cicatrici. Ora le speranze sono riposte in un nuovo laser, lanciato dal gruppo americano Cynosure, che sembra più efficace.