Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 13/3/2014, 13 marzo 2014
ECCO IL NUOVO CONTRATTO CON GLI ITALIANI
Ancora una volta, e con efficacia maggiore che nel giorno in cui presentava il governo in Parlamento, Matteo Renzi ha offerto se stesso alla grande platea degli elettori. È lui il prodotto del rinnovamento, lui l’alfa e l’omega della rigenerazione politica e istituzionale. Lui lascerà la vita pubblica se il Senato non sarà abolito (o meglio, a esser precisi, se non sarà cancellato il voto di fiducia al governo obbligatorio nel bicameralismo perfetto).
La maggior parte dei provvedimenti, dei decreti e dei disegni di legge deve ancora essere definita e approvata, ma non importa: Renzi ci ha già «messo la faccia», secondo una delle sue espressioni preferite, si è impegnato in tv davanti al mondo. È come se quelle leggi fossero già pronte e operative, come se Palazzo Madama fosse già trasformato in un giardino pubblico.
È giusto e doveroso sottoporre a controllo fattuale l’alluvione di parole, dati, numeri, annunci che il presidente del Consiglio ha calato sugli italiani durante la sua conferenza stampa. Informare con correttezza significa filtrare tutto questo per separare il grano dal loglio, per individuare chi ha ragione fra chi pensa che le coperture delle riforme non esistono se non in minima parte; e chi, lo stesso Renzi, ritiene che ci siano fino all’ultimo centesimo («to-tal-men-te»).
Eppure, al di là di questo lavoro certosino e indispensabile, si rischia di non comprendere il personaggio se non lo si abbraccia per intero, ben al di là delle sue contraddizioni. Renzi è tutto politico, moderno e antico al tempo stesso. Spericolato abbastanza per sapere che il ferro va battuto finché è caldo, senza esitazioni o palesi incertezze. E lo spettacolo andato in onda da Palazzo Chigi era davvero e profondamente uno spettacolo politico. Un dialogo in cui gli interlocutori erano due.
D a un lato, è ovvio, il presidente del Consiglio. Dall’altro gli italiani, anzi il corpo elettorale: pesato e soppesato per quello che vale oggi e soprattutto per quello che potrà valere in maggio, nel giorno delle elezioni europee. Dieci milioni di persone... quelle che percepiscono redditi al di sotto dei 25mila euro lordi annui. Renzi lo ha ripetuto per almeno dieci volte, ogni volta ribadendo che ognuno di questi elettori riceverà circa 80 euro netti in più a partire dalla busta paga del 27 maggio.
Torna a onore del premier non aver minimamente nascosto il senso elettorale dell’annunciata riforma dell’Irpef. Lo ha fatto capire in modo quasi esplicito. Il rilancio della domanda interna, la complessa operazione che comprende anche l’Irap (al prezzo di più tasse sulle rendite finanziarie), il mercato del lavoro, la restituzione dei debiti, il piano casa: tutto deve avere un’immediata ricaduta nelle urne. Renzi si aspetta che le elezioni europee gli portino buone notizie; anzi, ne ha un serio bisogno perché è consapevole che altrimenti sarà difficile per lui tenere in rotta la nave del governo e sotto controllo il malessere in cui si agita il Pd.
Ma in fondo questo è un argomento quasi irrilevante. Non conta il tornaconto personale che un politico spera di ricavare da una certa operazione che lo vede protagonista; contano i risultati più ampi che ne derivano per il paese. Sotto questo aspetto, il dividendo elettorale a cui Renzi anela è un "bonus" per lui irrinunciabile e fin troppo sottolineato, ma non può influenzare di per sé il giudizio meditato sul complesso dei provvedimenti.
Certo, l’impressione di aver assistito a un nuovo «contratto con gli italiani» è forte e non molto rassicurante, considerando il precedente storico. È vero che rispetto a Berlusconi l’attuale presidente del Consiglio è entrato più nel merito delle misure economiche, ma siamo ugualmente rimasti nella sfera delle promesse, sia pure declamate con enfasi. Se i fatti gli daranno ragione, Renzi avrà davvero cambiato l’Italia (e forse gli italiani) in pochi mesi. Finora non è riuscito a nessuno, tanto meno al Berlusconi del ’94, giusto vent’anni fa, con l’altro contratto presentato al corpo elettorale. Se non ci riuscirà, Renzi avrà perso un po’ la faccia, ma non è detto che la sua parabola sia destinata a concludersi.
In fondo il primo Berlusconi assomigliava nel suo dinamismo e nell’ottimismo contagioso al Renzi di oggi. Anche lui dava l’idea di voler riformare alle radici il sistema per imprimere una spinta prodigiosa al sistema economico, del quale si considerava parte integrante. La delusione, percepibile già pochi mesi dopo, non impedì al leader del centrodestra di continuare a raccogliere una messe di voti per lunghi anni, si può dire fino a oggi, grazie anche all’incapacità della sinistra di incarnare una valida alternativa.
Ora con Renzi si vede che il quadro è cambiato. Al pessimismo cosmico di una certa sinistra, si è sostituita la frenesia del sindaco che sprizza energia. I vecchi assetti sono travolti, gli storici steccati abbattuti. Eppure l’operazione annunciata ieri sera ha un’impronta «sociale» che è impossibile non vedere. Ma le elezioni sono vicine e Renzi è anche un leader politico, sia pure trasversale. Pronto a risucchiare voti da Grillo come dal suo alleato-interlocutore Berlusconi.