Giuseppe Lo Bianco, Il Fatto Quotidiano 13/3/2014, 13 marzo 2014
L’INNESCO NEL CITOFONO RIINA: “BORSELLINO SI FUTTIU SOLU”
Si futtiu sulu’’ (si è fregato da solo). Con una frase e un dito alzato a indicare il citofono, conversando con Alberto Lorusso nel carcere di Opera nel novembre scorso, Totò Riina riscrive la dinamica della strage di via D’Amelio rivelando che il Semptex chiuso nella 126 esplosa sarebbe stato azionato dallo stesso magistrato nell’atto di suonare il campanello del citofono della madre. Una versione ultratecnologica dell’antico, e subdolo, artificio contadino di morte: il fucile puntato verso la porta d’ingresso del casolare di campagna con il grilletto collegato all’apertura della porta. Chi la apre non ha scampo. In questo caso, la tecnologia iper sofisticata (ammesso che Riina dica il vero) solleva più d’un dubbio sulle reali capacità di Cosa Nostra di agire da sola in via D’Amelio.
RIINA LO RIPETE PIÙ VOLTE nel corso della conversazione e aggiunge di aver “detto ai picciotti di stare lì per impedire che qualcuno suonava”. Non solo. Quel giorno Riina è prodigo di particolari sulla strage del 19 luglio e aggiunge di aver saputo l’orario dell’arrivo del magistrato in via D’Amelio dai picciotti che “ascutaru” (ascoltarono), rilanciando così l’ipotesi, cancellata dall’assoluzione del tecnico della Elte Pietro Scotto, di un’intercettazione sulla linea telefonica di casa Borsellino. Le nuove rivelazioni del boss al suo compagno di “aria” adesso sul tavolo dei magistrati di Caltanissetta verranno probabilmente depositate nel processo di Palermo sulla trattativa mafia-Stato, in questi giorni in trasferta a Roma per ascoltare, tra gli altri, Fabio Tranchina, l’uomo di fiducia di Giuseppe Graviano, per il quale lo stesso Graviano si sarebbe appostato dietro il muro in via D’Amelio il giorno dell’attentato. Da qui i pm di Caltanissetta hanno ipotizzato che quella domenica fosse lui l’uomo del telecomando. E che Graviano fosse a conoscenza della strage lo ha ribadito ieri Tranchina nell’aula bunker di Rebibbia: “La sera prima del 19 luglio io e Giuseppe Graviano eravamo insieme, lui mi aveva già avvertito di non passare per l’autostrada di Capaci e quella sera si accertò che io non passassi la domenica a Palermo”. Ma le parole del capo dei corleonesi non convincono il fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, ingegnere informatico, che si chiede che vantaggio avrebbe avuto Cosa Nostra ad architettare un sistema così complesso e rischioso per chi ha agito: “Sono perplesso, tecnicamente bisognava schermare la zona e il rischio che un condomino facesse saltare tutto prima del tempo era alto – dice Salvatore Borsellino – le parole di Riina non mi convincono. Possono essere un tentativo di intorbidare ulteriormente le acque”. E non è convinto neanche il deputato del Pd in commissione Antimafia Davide Mattiello, autore di una interrogazione al ministro della Giustizia sulla crisi intestinale che ha colpito Riina, e che nelle parole del boss vede la “manina” di un suggeritore: “Bisogna fare luce sul recente malore che ha colpito Riina e sul suo trasferimento lampo in ospedale – dice Mattiello –, il boss ha rivelato particolari non irrilevanti sulle dinamiche dell’attentato in via D’Amelio. Per questo chiediamo certezza sul fatto che non sia stato a contatto con nessuno estraneo al mondo carcerario durante quel trasferimento”.
E LA RIVELAZIONE DI RIINA rilancia infine i dubbi di Giovanna Maggiani Chelli sulla dinamica dell’attentato di via dei Georgofili, a Firenze. “Auspichiamo che a breve possiamo sapere cosa o chi, ha innescato l’incendio di via dei Georgofili in un appartamento del numero civico 3 – dice la Chelli – ce lo dica il Capo di Cosa Nostra magari attraverso un’intercettazione ambientale, visto che il mezzo di comunicazione della mafia ora è quello e visto che annusando l’aria che tira sul fronte della giustizia, un processo per i concorrenti nella strage non lo avremo mai”.