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 2014  marzo 13 Giovedì calendario

QUEI BILANCI SENZA TRASPARENZA LA SVOLTA CHE MANCAVA AI SINDACATI


Dopo la nostra inchiesta “Un miliardo dallo Stato: ecco il conto dei sindacati”, a firma di Osvaldo De Paolini, abbiamo ricevuto una lettera dai tre segretari del sindacato confederale.
Perché contesta molti dati dell’inchiesta, e questo è più che legittimo. Perché li attribuisce a un intento malevolo verso il sindacato e le sue funzioni, e qui occorre capirsi. E, infine e soprattutto, perché non entra davvero nel merito che tutti noi ci saremmo aspettati: la smentita o la contra argomentazione sul miliardo pubblico annuo al sindacato.
Una «contro cifra» non c’è. Ed è esattamente questo il punto fondamentale che l’inchiesta intende sollevare. E sul quale vale la pena di tornare. Non c’è perché la natura giuridica del sindacato in Italia è rimasta notoriamente «incompleta». L’articolo 39 della Costituzione prevedeva una legge attuativa in materia di libertà sindacale riconosciuta, e con la «registrazione» sarebbe stato possibile codificare un quadro preciso di responsabilità-controlli pubblici senza alcuna lesione delle sacrosante libertà sindacali. Ma quella legge non è mai stata approvata. E così i sindacati restano di fatto libere associazioni non riconosciute, soggette ai magri articoli del codice civile.
La legge ha sorvolato su tale mancanza di piena personalità giuridica in materia di rispetto dei contratti collettivi e di diritto di sciopero e relativa proclamazione. Spesso, per questa stessa ragione, la magistratura ha imboccato strade opposte in relazione alla tutela delle «libertà interne» al sindacato, garantite da ciascuno statuto. Di fatto, mancando la piena personalità giuridica, non c’è mai stato l’obbligo a bilanci consolidati, completi nel conto economico e in quello patrimoniale.
Di questa mancanza parla l’inchiesta del Messaggero. E forse non è un caso che i tre segretari confederali non vi facciano cenno. Quando citano – ed è una risposta di routine – i rendiconti economici pubblicati da Cgil, Cisl e Uil, essi per primi sanno benissimo la differenza tra un mero rendiconto di cassa, e un bilancio analiticamente completo di centro e periferia, di ogni spesa e ogni trasferimento ricevuto, dell’ammontare degli attivi mobiliari e immobiliari nonché delle passività di ogni genere.
In assenza di bilanci consolidati resi pubblici, purtroppo, l’informazione deve tentare per forza di cose di ricostruire il complesso delle fonti e dell’ammontare dei finanziamenti sindacali sommando le maggiori poste desumibili. Rispetto al miliardo, che dei circa 12 milioni di iscritti ai sindacati i pensionati siano comunque poco meno della metà e dunque gli attivi – 6 milioni – solo poco più di un quarto degli occupati complessivi italiani, è questione che riguarda la rappresentanza rispetto all’intero mondo del lavoro. Rispetto al miliardo, che per la compilazione dei modelli 730 il corrispettivo pubblico incassato dai Caf sia di 14 euro a testa e non di 26 è una informazione che va verificata visto che la relazione Amato parla esplicitamente di 26 euro. Il problema del miliardo è che tutto ciò che incassano Caf e Patronati deriva da norme di legge. Non si tratta di negare la funzione che essi svolgono. Si tratta di compiere un’operazione analoga per gli euro spesi e incassati dai sindacati.
Se i trasferimenti pubblici per Caf e patronati fossero del tutto equivalenti a ciò che i lavoratori pagano a tal fine, le loro cifre non sarebbero comprese nel rendiconto generale della spesa dello Stato, sotto la voce «contributo pubblico al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale». Né Giuliano Amato avrebbe ricevuto dal governo Monti l’incarico di redigere un rapporto sul finanziamento diretto e indiretto dei sindacati, dalle cui cifre l’inchiesta del Messaggero ha tratto le mosse. Né la spending review montiana avrebbe disposto la riduzione del 20% dei compensi per i Caf derivanti dalle dichiarazioni fatte per conto dell’Inps. Vuol dire che un problema c’è eccome, di congruità dei trasferimenti.
Sappiamo anche noi, che lo Stato assegna ai patronati lo 0,226 dei contributi obbligatori incassati dall’Inps, dall’Inpdap e dall’Inail. Ma la legge istitutiva dei patronati, il decreto legislativo 804 del 1947, poi modificato per le aliquote relative prevede che ogni anno il ministero del Lavoro valuti le esigenze finanziarie dei Patronati in relazione alla attività concretamente svolta ma anche alla loro organizzazione. Su queste basi il ministero decide quale percentuale dei contributi sociali che sono stati incassati dagli enti di previdenza deve essere girata su di un apposito capitolo del bilancio dello Stato. E da qui, poi, il ministero eroga ai Patronato prima l’anticipo e poi il conguaglio. Il problema è che, in assenza di obbligo di bilancio consolidato, noi dell’organizzazione e dei relativi costi nonché efficienza dei patronati sappiamo troppo poco. E per questo ci interroghiamo sulla congruità di trasferimenti per centinaia di milioni.
Un altro esempio. In materia di distacchi sindacali, alcune migliaia in Italia, conservare presso il sindacato lo stipendio precedente a carico del pubblico comprensivo dei «premi produttività», che non sono su base individuale, è certo una garanzia. Ma i sindacati devono capire che l’obbligo sin qui osservato all’anonimato delle loro liste, per motivi di privacy confermati dopo attento esame anche dalla stessa Autorità Garante, non è esattamente un pilastro e presidio di trasparenza agli occhi dell’opinione pubblica.
Anche le centinaia di milioni che l’Inps garantisce al sindacato per le quote associative dei pensionati, trattenute direttamente sulle pensioni con il meccanismo della delega di carattere permanente (salvo revoca), nonché a titolo di ritenute sulle prestazioni, costituiscono un ammontare che occorre comprendere a che cosa va parametrato. Lo Statuto dei lavoratori riconosce infatti ai sindacati ampie prerogative - assemblee retribuite, permessi per partecipare alle riunioni degli organi dirigenti, sedi, diritto di affissione - in base alle quali l’attività sindacale si svolge pressoché integralmente a carico dei datori di lavoro. Ed è troppo, sapere il preciso ammontare dei patrimonio immobiliari sindacali, esente da tassazione immobiliare?
Conclusione: chi qui scrive è per un modello di sindacato finanziato di soli contributi liberi, senza ritenute alla fonte obbligatorie per legge e con propri fondi previdenziali integrativi, in modo che ciascuno possa essere giudicato sulla gestione più efficiente. Siamo però sicuri che per primi i dirigenti sindacali guadagnerebbero molti consensi, tra i loro iscritti e soprattutto tra i molti milioni in più di lavoratori che non lo sono, se il prossimo primo maggio ci facessero intanto un regalo. Anche se non obbligati per legge, decidete da soli di redigere e pubblicare un bel bilancio consolidato.