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 2014  marzo 13 Giovedì calendario

Da “mantide” a suora laica Guerinoni libera dopo 26 anni Fu condannata per aver ammazzato il suo amante Pierangelo Sapegno Adesso dice «lasciatemi in pace, voglio essere dimenticata»

Da “mantide” a suora laica Guerinoni libera dopo 26 anni Fu condannata per aver ammazzato il suo amante Pierangelo Sapegno Adesso dice «lasciatemi in pace, voglio essere dimenticata». Gigliola Guerinoni, diventata la mantide persino al cinema, in un film con Monica Guerritore, da ieri è una donna libera, se si può essere liberi con la sua storia e il suo destino. Oggi, lei che ammaliava gli uomini stregandoli dal ghiaccio dei suoi occhi, è una suora laica che volge a terra i suoi sguardi severi, folgorata dalla fede in una di quelle lunghe giornate passate a stirare nel convento delle «Serve di Santa Maria», e cammina per Roma vestita da novizia parlando solo di Dio, «perché tutto quello che abbiamo l’ha deciso Lui e solo Lui ne sa il motivo». Per lo Stato ha pagato tutto il debito con la Giustizia chiudendosi alle spalle il portone di Rebibbia: aveva preso 26 anni per l’omicidio del suo amante Cesare Brin. Condanna definitiva dal 1991, emessa dentro a un’aula del tribunale di Savona affollata da comparse e macchiette che le giravano attorno come sulla scena di un teatro. Fu un processo memorabile. Ma chissà quanto le importi davvero adesso. Ha 69 anni ma ha conservato una certa bellezza, come se la capricciosa clemenza del tempo avesse voluto lasciarle intatta tutta la memoria di quel che era: i capelli sono ancora biondi, gli zigomi alti, lo sguardo profondo, e solo le forme hanno accentuato una loro morbidezza. Quando i giornalisti riescono ad avvicinarla, ripete: «Non fate più il mio nome. Sono state dette troppe bugie, un mucchio di falsità». Diceva le stesse cose durante il processo, quando sedeva vicino all’avvocato e sorrideva ai giornalisti per ammonirli delle loro «menzogne». Ora il tono è diverso, molto più deciso. «Ho una famiglia e non voglio esporla a rischi. Dimenticatevi di me». La sua famiglia è l’ultima che le è rimasta, sfarinata dal tempo anche lei. Un marito le era morto in circostanze che qualcuno aveva sospettato misteriose qualche anno prima del delitto di Cesare Brin, il ricco farmacista della Valbormida diventato suo amante. L’ultimo uomo che per lei aveva lasciato tutto le è stato invece vicino sino alla fine, Ettore Geri, 27 anni più vecchio, magro e baffuto, lo sguardo stralunato a fissarla tra i banchi, condannato pure lui a 15 anni, per favoreggiamento. Scontata la pena, l’aveva seguita a Roma. E non troppi anni fa, un giornalista l’aveva colta vestita con i pantaloni bianchi e una larga camicetta a fiori, mentre usciva dall’Istituto delle Serve di Santa Maria, prendeva un pullman, scendeva, andava a comprare una pizza ed entrava in un anonimo edificio dove su una targhetta c’era scritto il nome del suo compagno: «Geri». Da quando lui non c’è più, Gigliola è diventata una suora laica. La figlia nata dalla loro unione, Soraya, è rimasta a Savona, dove ha aperto un negozio di abbigliamento femminile. Un altro figlio, nato da un precedente matrimonio, aveva quasi vinto un famoso concorso di bellezza per uomini, proprio nei giorni del processo a sua madre. Tutto questo, però, è il passato. La Gigliola che sedeva in tribunale sorridendo alla sua corte con aria compassionevole, come se pensasse davvero che gli uomini in fondo sono dei cretini, non c’è più. Lo stesso Tribunale di Sorveglianza ha accolto l’istanza del suo avvocato Nino Marazzita, riconoscendole un «comportamento partecipativo» e una totale adesione alle prescrizioni, «senza mai nessun atteggiamento polemico». Mite e obbediente. Un’altra Gigliola.