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 2014  marzo 13 Giovedì calendario

L’AEREO FANTASMA

«Tutto bene. Buonanotte». Clic. Nessuno fa in tempo a completare la frase con cui il giornalista americano Edward Murrow concludeva il suo programma: “Good night... and good luck”. Manca la “buona fortuna”. Non ce ne sarà, né a parole né per accadimenti, nella cabina di comando del volo MH 370 “sparito” con 239 persone a bordo. Le trasmissioni terminano così: buonanotte. E ci lasciano a terra, con i soliti incubi generati dai misteri senza apparente spiegazione, con la sensazione infantile di non aver capito niente, imparato abbastanza, che l’esistenza sia un volo nell’ignoto e possiamo tuttalpiù affidarci a uno slancio di fede per non precipitare.
Invece l’esperienza e l’intelligenza qualcosa ci hanno insegnato e quando gli aerei cadono o “scompaiono” dovremmo pur ricordarcene. Ci sono film che abbiamo già visto (anche letteralmente), realtà che sono rappresentazioni ed enigmi già risolti.
Nell’emozione del dopo tragedia tutto questo è oscurato da una domanda: “ Oddio! Com’è stato possibile?”. Più che davanti a ogni altro tipo di incidente ci annebbia il terrore per questo in particolare, per la manciata di secondi in cui il cuore e i denti si spaccano, la vertigine dilania e stringersi a qualcuno significa dirgli addio. Terribile, ma succede. Ci sono tracce per capire il prima, il durante e il dopo, situazioni da considerare e un paio di sigle da tenere a mente: AA 587 (volo da New York a Santo Domingo, precipitato il 12 novembre 2001, 265 vittime) e AF 447 (da Rio a Parigi, caduto il 1° giugno 2009, 228 morti).
Quando il Boeing del volo MH 370 “svanisce”, la prima ipotesi è come sempre: terrorismo. Il riflesso condizionato valeva anche prima dell’11 settembre. Le indagini iniziali svelano l’utilizzo di passaporti rubati (uno austriaco e uno italiano) da parte di due passeggeri con biglietti sospetti di solo andata: Di loro un inquirente dirà che “somigliano al calciatore Balotelli”. Si scoprirà che sono due circa ventenni iraniani. Che cosa ci rivela la circostanza? Anzitutto che le inchieste sono affidate a burloni, o cialtroni, dipende. Poi ci insinua un dubbio: due iraniani con nomi come Luigi Maraldi e Christan Kozel? Di Mario Balotelli (nato in Ghana, abbandonato a Palermo, adottato a Brescia) ce n’è uno. Questi, non dovevano controllarli? Eccola qua, la mitologia del controllo. Abbiamo passaporti elettronici, foto digitali, scansioni fisiognomiche. Niente e nessuno passa inosservato. La domanda è: dove? E la risposta non è: dappertutto. Considero i due ultimi viaggi: per andare da Roma a New York il mio documento è stato verificato al check in, alla barriera voli non Shengen, all’imbarco. Ogni volta l’addetto ha alzato gli occhi e si è assicurato della corrispondenza tra fotografia e volto. A Lima, sulla via di Amsterdam, una signora semi addormentata sullo scranno, occhi al pavimento, mi ha indicato la fila dopo aver tenuto il documento in mano per un secondo, dall’esterno. A mia madre fu contestato un biglietto per Londra giacché comprandolo per lei on line avevo digitato Wilma invece di Vilma (o viceversa, chi lo ricorda mai?). Nonostante l’errore di un impiegato libanese ho attraversato la frontiera libanese come Gabrielle, che sarebbe pure femminile, senza problemi. Che cosa dimostra questo? Che il teatro della sicurezza funziona a macchia di leopardo. Se vai in Israele subisci un terzo grado. Se sei diretto in Cile, avanti il prossimo. Da Kuala Lumpur: todos caballeros. Resta comunque un teatro, una rappresentazione messa in piedi per farti credere al sicuro nell’unico momento in cui lo sei: quando compri il biglietto. E anche qui: ci si è si è stupiti che i biglietti dei due pseudoterroristi fossero stati acquistati da terzi e trasferiti. Che il viaggiatore abbia un’identità fissa è tuttavia un feticcio. Esiste a New York una coppia di broker che procura voli in business a prezzo scontato. Come fa? Si rivolge a frequent flyer che hanno miglia in eccesso. O fa comprare loro i biglietti da rivendere o fa trasferire le miglia sul proprio conto. E da lì all’utilizzatore finale. Tutti ci guadagnano. I tagliandi vengono riemessi con nomi diversi. Se provi a chiederlo alla tua compagnia ti senti rispondere: “Impossibile senza pagare una penale”. Se domandi ai due broker: “Conosciamo qualcuno che conosce qualcuno…”. Conoscevo manager che viaggiavano in economy e si facevano rimborsare dalle aziende biglietti di business emessi da agenti compiacenti per trenta dollari. O addirittura inventavano viaggi. I biglietti erano reali, i nomi cambiavano. Alla fine appare quello di due giovani iraniani che vogliono emigrare in Germania, decisi a tutto.
Il sistema dei controlli per la sicurezza è un congegno mastodontico. Il suo aggressore, una zanzara agguerrita. Chi ha visto il film “Captain Phillips” ha constatato con qualche stupore che l’invincibile pirateria somala è quanto risulta dal confronto fra un’immensa nave ultramoderna e una lancia che trasporta quattro disperati.
Parlando di film, è da vedere “Flight”, con un immenso Denzel Washington nella parte di un pilota tanto abile quanto spericolato. Compie una manovra impossibile, ma in stato di postebbrezza. I piloti sono regolarmente visitati, certo, ma chi verifica con cura come hanno passato la notte prima del decollo, che cosa hanno ingerito, se per caso la moglie lontana non li ha lasciati al telefono? Può capitare, è capitato che un aereo “scompaia” per causa o scelta loro: manovra errata o suicidio. La scatola nera del volo AA 300 rivelò questo dialogo tra comandante e copilota: “Stai bene?” “Sì” “Continua così” “C’è un po’ di turbolenza, eh?” “In effetti….”. Tonfo. Clic. Due tonfi. Riprende il comandante: “Porca…” “Dove diavolo siamo finiti?” “Fuori da qui! Tiriamoci fuori da qui!”. Tonfo. Silenzio. Per contrastare quel “po’ di turbolenza” era stato fatto un uso eccessivo del timone, spezzandolo. Sapeva quel che faceva l’egiziano primo ufficiale di riserva sul volo MSR 990 del 31 ottobre 1999 da New York al Cairo: voleva suicidarsi nell’oceano e ci riuscì, portando con sé 216 persone. A inabissare il volo AF 447 fu invece una condizione di stallo che lo fece bloccare come un fermo immagine e poi inghiottire nello schermo nero.
Di fronte agli aerei fantasma tendiamo e evocare fantasmi. I parenti degli scomparsi cercano medianicamente di rintracciarli ai cellulari. E puntualmente uno o più squillano, riaccendendo speranza. E’ accaduto per i quattro italiani spariti a Los Roques il 4 gennaio 2013, avviene ora per il volo MH 370. Inutile ribadire la spiegazione tecnica per cui il cellulare da cui parte la chiamata squilla per un periodo di latenza tra il suo inizio e il momento in cui questa arriva effettivamente a destinazione. In pratica, squilla per il tempo necessario a raggiungere un primo ripetitore, cosa ben diversa dal portatile del chiamato.
Ancora, uno slancio di fede per credere che non siano precipitati. O che abbiano gonfiato i giubbotti salvagente “nell’improbabile caso di una caduta in mare” come recitano le istruzioni al decollo. Tutto il percorso di un volo si basa su alcune certezze scientifiche e qualche illusione. Che cosa, in fondo, non fa altrettanto?