Tommaso Ciriaco, la Repubblica 13/3/2014, 13 marzo 2014
LA LEGGE ELETTORALE NELLA STRETTOIA DEL SENATO
Il silenzio non inganni, Palazzo Madama assomiglia a una palude dove rischia di affogare l’Italicum. Molti, tra i banchi del Senato, cullano una voglia matta di rivincita. Vogliono indebolire, sgambettare, affossare Matteo Renzi. E il pallottoliere, al solito, non regala certezze. «Glielo assicuro, mancano i numeri», giura sorridente Roberto Calderoli.
Sulla carta, in realtà, la maggioranza per la riforma esiste. L’asticella è fissata a 160 senatori, il patto tra Pd (107) e Forza Italia (60) porta in dote 167 voti. Un margine troppo risicato, però, per garantire un tranquillo navigare. Né si possono conteggiare i voti di Scelta civica (8) e Popolari per l’Italia (11), che a Montecitorio hanno osteggiato il nuovo sistema di voto.
Ci sono i 32 senatori del Nuovo centrodestra, certo. Ma gli uomini di Angelino Alfano hanno già promesso battaglia per modificare radicalmente l’Italicum, partendo dalle preferenze. In mano hanno un enorme potere d’interdizione: «Beh, sì, i numeri dicono questo - non si nasconde Gaetano Quagliariello - quindi la legge deve migliorare. Punto».
Mettere mano alla riforma, però, è più complicato che risolvere un rebus. Si è visto alla Camera. Correnti, sottocorrenti, gruppuscoli, tutti studiano a tavolino la trappola perfetta. Certo, a Palazzo Madama non c’è spazio per il voto segreto. Ma le linee di frattura sono ormai scoperte. «Sarebbe meglio non farla proprio arrivare al Senato, ‘sta legge...», scherza l’alfaniano Guido Viceconte. C’è poco da ridere, in realtà.
È il Pd lo scoglio più insidioso per il premier. La commissione Affari costituzionali è guidata da Anna Finocchiaro. Lei promette lealtà, nulla di più: «Io, come sempre, conduco battaglie alla luce del sole, non ho mai tramato in vita mia». Né sembra turbata dai sospetti di Renzi: «Ma perché, scusi: avrò diritto di parola?».
Servirà una buona dose di diplomazia. «E di realismo - ragiona Corradino Mineo - perché se Renzi si impunta va a sbattere. I numeri sono numeri. E a Palazzo Madama non ci sono». Stessa linea di Felice Casson, altro civatiano indifferente all’eventuale furia renziana: «Dovrebbe darsi una calmata». Mineo, poi, fiuta anche un altro scenario: «C’è un fronte che vorrebbe rimandare la legge elettorale per far votare prima la riforma del Senato...».
Sarà. Chi lavora per cambiare la legge, intanto, cerca di scovare il tallone d’Achille dell’Italicum. «Senatori rivoluzionari non ne conosco - premette scettica la vendoliana Loredana De Petris - in ogni caso sulla soglia del 4,5% e del 37% può passare qualche emendamento. E sfasciare tutto». Forgiato da un anno complicato, il capogruppo dem Luigi Zanda predica comunque cauto ottimismo: «Ci confronteremo in assemblea, la prossima settimana. Con due obiettivi: apportare miglioramenti e creare consenso. Alla fine saremo compatti».
E poi ci sono le preferenze. Autentico spettro per il Cavaliere, andranno a braccetto con gli emendamenti sulla parità di genere. Il Ncd ne ha fatto una questione prioritaria. I cinquestelle le sosterranno, così come gli espulsi grillini: «Darò battaglia», assicura l’epurato Francesco Campanella. Come i Popolari: «In privato molti colleghi del Pd - sussurra Aldo Di Biagio - mi giurano di voler dare battaglia. È un bel casino».
Toccherà al premier proteggere un patto che traballa. «Sono necessarie profonde modifiche. Nella differenza tra il progetto D’Alimonte e il testo uscito dalla Camera c’è tutto l’asse con Verdini», rileva Vannino Chiti. Per il senatore toscano il passaggio è scivoloso: «Il rischio è che per trattare con l’opposizione si perdano per strada pezzi di maggioranza...».