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 2014  marzo 12 Mercoledì calendario

CHI E PERCHÉ REMA CONTRO BERGOGLIO


«SONO IN MOLTI A DENIGRARE L’OPERATO del papa. All’esterno ma anche all’interno della Chiesa. C’è un rigurgito di conservatorismo che si va consolidando in un certo mondo cattolico: si ritiene che Francesco sia un papa pericoloso, lo si giudica troppo dimesso perché parla in modo semplice e non tocca mai i grandi temi etici».
Al fedele entusiasta del nuovo pontefice, al credente tornato a frequentare la messa, al visitatore colpito dalla massa di presenze la domenica in piazza San Pietro o il mercoledì alle udienze generali, queste parole possono sorprendere. Eppure è vero: non tutti, nella Chiesa, condividono la ventata di novità, di freschezza e di riforma introdotta da Francesco. L’arrivo del pontefice che viene «dalla fine del mondo» ha infatti scardinato equilibri, sconvolto carriere, scombinato piani, tanto in curia quanto fuori, in luoghi lontani dal Vaticano, che forse potevano contare, grazie alla distanza, su un certo grado di acquiescenza da parte della gerarchia ecclesiastica.
Adesso, però, il vento robusto portato dal papa argentino ha spazzato sicurezze e garanzie. Non ci sono certezze nella Chiesa nuova di Jorge Mario Bergoglio. Chi si assopisce oppure si siede entra automaticamente nel mirino del nuovo vicario di Cristo, il quale, a dispetto di un’età non più verde, nel suo primo anno di pontificato sta incidendo fin nelle fondamenta di una Chiesa che sotto il predecessore Benedetto XVI appariva in preda a una crisi senza ritorno, suggellata dalla rinuncia dello stesso Ratzinger.
Le parole riportate sopra, pronunciate da monsignor Alessandro Plotti – già vicepresidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) – nell’ambito di un’intervista al mensile dei paolini Jesus, hanno palesato per la prima volta un sommovimento interno colto da molti, ma che pochi hanno avuto il coraggio di esternare. Confida agli amici monsignor Matteo Zuppi, figura storica della Comunità di Sant’Egidio, oggi vescovo ausiliare della diocesi di Roma: «Ci sono molti alti prelati che resistono. Ma alla fine il papa vincerà». Padre Antonio Spadaro, direttore del quindicinale gesuita La Civiltà Cattolica, intervistatore di Francesco e attento studioso della sua figura, aggiunge: «Altroché se ci sono delle resistenze verso il papa». Chi è dunque che dentro e fuori la Chiesa si oppone in modo più o meno marcato ed esplicito a questo pontificato?

2. Il contrasto più evidente, almeno sul piano della dottrina, è il braccio di ferro che sta opponendo il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller al porporato honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga. Cioè il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (già Sant’Uffizio) al capo degli otto uomini incaricati di affiancare il papa nell’opera di riforma della curia romana. O, se si vuole, il custode dell’ortodossia dottrinale, chiamato da Benedetto XVI alla testa del dicastero che lui stesso diresse per anni, curatore persino dell’opera omnia del papa emerito; e il presule salesiano, strenuo nemico del capitalismo e dei grandi circoli finanziari mondiali, definito oggi il «vicepapa operativo». A dividerli è formalmente l’argomento della famiglia e della comunione ai divorziati risposati.
Maradiaga ha scelto un quotidiano tedesco, il Kölner Stadt-Anzeiger, per rispondere alle tesi del tedesco Müller il quale, affrontando la discussione in atto sulla famiglia, metteva le mani avanti sbarrando la strada a qualsiasi revisione: nessuna concessione sul sacramento della comunione a meno che il precedente matrimonio non sia stato regolarmente annullato dal tribunale della Sacra Rota. Una posizione formalmente ineccepibile sul piano della teoria, ma che in epoca di riforma fa storcere il naso a chi preferirebbe un atteggiamento più morbido e incline al compromesso, a favore dei tanti fedeli che guardano al problema con ansia e preoccupazione. Così ha risposto Maradiaga: «Muller penso di capirlo. È un tedesco, si deve dirlo, è un professore di teologia tedesco. Nella sua mentalità c’è solo il vero e il falso. Però io dico: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile, quando ascolti altre voci. E quindi non solo ascoltare e dire no.» E ancora: «Abbiamo famiglie patchwork, genitori single, maternità in affitto, matrimoni senza figli. Per non parlare delle coppie formate da persone dello stesso sesso. Nel 1980 questi fenomeni non si vedevano all’orizzonte». Un orizzonte del tutto nuovo, quindi, rispetto a 35 anni fa, comprendente per l’appunto le «famiglie patchwork di cui parla un altro riformista di area germanica, l’arcivescovo di Vienna cardinale Christoph Schönborn, allievo di Ratzinger eppure avversario del vecchio corso rappresentato dalla segreteria di Stato guidata da Tarcisio Bertone.
Una disfida dottrinale ma non solo, spesso interna all’area di lingua tedesca, visto che contro Müller sullo stesso tema si è schierato anche l’arcivescovo di Colonia, Reinhard Marx, uno degli otto porporati chiamati da Francesco ad aiutarlo nel governo della Chiesa. A un severo articolo di Müller sull’Osservatore Romano che intendeva chiudere la discussione, e a una successiva lettera inviata a tutti i vescovi tedeschi nella quale il prefetto precisava che la posizione della diocesi di Friburgo – dai cui uffici era uscito un documento sorprendente nel quale si ammetteva la comunione ai divorziati risposati – andava respinta perché confondeva i fedeli, Marx replicava: «Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede non può mettere fine alla discussione. La discussione è aperta, ci sarà un dibattito in vista del Sinodo (sulla famiglia, che si aprirà nell’ottobre 2014, n.d.r) e non ne conosciamo la conclusione».
Sulla stessa lunghezza d’onda la Chiesa austriaca, tradizionalmente liberal, che ha avviato con entusiasmo la consultazione di tutte le parrocchie del paese diffondendo un questionario per il Sinodo contenente 38 domande, che spaziano dal matrimonio gay alla contraccezione ai divorziati risposati. In un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit, anche il cardinale Walter Kasper, ex presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e da tempo molto aperto su questo fronte, si è detto sicuro che presto i divorziati risposati potranno accedere ai sacramenti: «Ciò che è possibile a Dio, vale a dire il perdono, deve valere anche per la Chiesa».
Commenta il teologo Hans Küng, per decenni opposto a Joseph Ratzinger e ora molto interessato all’operazione riformatrice guidata da Francesco: «Gli osservatori, preoccupati, si chiedono se il papa; emerito Ratzinger, per il tramite dell’arcivescovo Müller e di Georg Gänswein, suo segretario anch’egli nominato arcivescovo e prefetto della Casa pontificia, effettivamente non agisca come una sorta di papa ombra. Agli occhi di molti la situazione appare contraddittoria: da una parte la riforma della Chiesa, dall’altra l’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati. Il papa vorrebbe andare avanti; il “prefetto della fede” frena. Il papa ha in mente l’umanità concreta; il prefetto soprattutto la dottrina tradizionale cattolica. Il papa vorrebbe praticare la carità; il prefetto si appella alla santità e alla giustizia divina. Il papa vorrebbe che i sinodi episcopali nell’ottobre 2014 trovassero soluzioni pratiche ai problemi della famiglia anche consultando i laici; il prefetto si basa su tesi dogmatiche tradizionali per mantenere lo status quo. Il papa vuole che i sinodi intraprendano nuovi tentativi di riforma; il prefetto, già docente di teologia dogmatica, pensa di poterli bloccare in partenza con la sua presa di posizione. C’è da chiedersi», conclude con allarme Küng, «se il papa controlli ancora questa sua sentinella della fede».
In un’intervista, Müller ha detto di non essere affatto «un avversario del papa». Non personale, è ovvio. Ed è vero che Francesco, tendendogli la mano, ha anche firmato la prefazione al suo ultimo libro. Ma le sue posizioni lo collocano su un altro versante rispetto al pontefice e ai suoi alleati. Gänswein, il popolare e potente don Georg che vive con il papa vecchio epperò lavora con quello nuovo, sembra vivere un forte conflitto interiore: si sente tuttora legato alla sua antica promessa di fedeltà e pertanto si colloca naturalmente dalla parte di Benedetto XVI. La sera, una volta chiuso l’ufficio in prefettura, si occupa del pontefice emerito, ne sbriga la corrispondenza e l’agenda, ascolta e accompagna nelle passeggiate quell’uomo anziano che continua a chiamare Santo Padre. È convinto, afferma, che «il papa è uno solo. Ogni giorno», dice però con un’ombra di inquietudine, «aspetto di sapere che cosa porterà il nuovo, che cosa cambierà».

3. Un secondo fronte internazionale di resistenza verso il nuovo corso vaticano è quello rappresentato dai ricchi cattolici, allarmati dalla linea di Francesco. Una questione non di poco conto: finché si trattava dell’eccentrico commentatore radiofonico Rush Limbaugh, oppure del Tea Party statunitense sotto le influenze di un vecchio pregiudizio anticattolico, il problema poteva anche apparire secondario.
Ma l’argomento posto da Ken Langone, fondatore della catena di negozi per la casa Home Depot, ha finito per allarmare diversi grandi donatori statunitensi della Santa Sede. Dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, nella quale il pontefice usa parole critiche nei confronti del capitalismo, il commentatore Limbaugh ha infatti accusato Bergoglio di adoperare un linguaggio «marxista». A quell’osservazione Francesco ha replicato, nell’intervista concessa al vaticanista Andrea Tornielli, di considerare sbagliata quell’ideologia, tuttavia riaffermando: «Io ho conosciuto diversi marxisti che erano brave persone, e quindi quell’aggettivo non mi offende».
Langone è così tornato sul tema in una dichiarazione al canale economico Cnbc, a proposito di una raccolta di 180 milioni di dollari necessari al restauro della cattedrale di St. Patrick organizzato dall’arcivescovo di New York, Timothy Dolan: «Un potenziale donatore a sette cifre mi ha confidato di essere riluttante a partecipare all’iniziativa, perché preoccupato dalle critiche del papa al capitalismo». Un punto, in particolare, aveva sorpreso il finanziatore. Quello in cui il papa argentino afferma che «la cultura della prosperità ha reso i ricchi incapaci di provare compassione per i poveri». Il cardinale Dolan ha poi rassicurato il filantropo, spiegandogli di aver probabilmente mal interpretato le parole del pontefice. Tuttavia, proprio i ricchi donatori americani – che assieme a quelli tedeschi competono nelle copiose elargizioni in varie forme alla Santa Sede – cominciano a guardare a Bergoglio con qualche perplessità. A difenderlo è sceso in campo persino il nuovo presidente dell’Istituto per le opere di religione (Ior), il tedesco Ernst von Freyberg, il quale in un’intervista al quotidiano argentino La Nación, oltre a definire «fantastico lavorare con Francesco, visto che promuove le riforme», ha affermato che non vi sono ragioni per cui il pontefice «possa essere criticato dall’estrema destra. Credo che il Santo Padre abbia esperienza di sistemi economici molto ingiusti e che da quelle realtà abbia tratto le sue conclusioni».
Tuttavia, negli Stati Uniti più di un sopracciglio si è alzato quando il papa ha escluso dalla Congregazione dei vescovi – uno degli organismi più potenti della Chiesa, che designa i capi delle diocesi di tutto il mondo – il cardinale americano Raymond Burke, leader della crociata antiabortista e prelato in grande evidenza sotto i pontificati di Wojtyta e di Ratzinger. Arrivato da poco, Bergoglio aveva infatti invitato a non enfatizzare troppo le battaglie su aborto e matrimoni omosessuali, concentrandosi più su questioni ritenute «essenziali», come la fede, la dignità umana, la battaglia contro la povertà. Ma Burke aveva subito replicato: «E cosa c’è di più essenziale della tutela delle leggi etiche sulla natura dell’uomo? Non parleremo mai abbastanza della difesa della vita umana, dei nascituri indifesi che vengono privati del loro diritto alla vita, del massacro dei non nati». Una ribellione che Francesco, in modo implacabile, ha deciso di non tollerare, sostituendo il porporato che aveva già negato il sacramento della comunione al segretario di Stato americano John Kerry perché favorevole all’aborto e condannato per lo stesso motivo i funerali religiosi a Ted Kennedy. Oggi, comunque, anche la corrente liberal dei cattolici Usa sembra aver raffreddato il suo entusiasmo iniziale per il successore di Benedetto XVI.

4. Nell’ambito del dicastero per i vescovi, il nuovo pontefice ha operato un vero e proprio repulisti di conservatori. Oltre a Burke, ha platealmente sostituito il cardinale Mauro Piacenza, formatosi alla scuola di Giuseppe Siri e arcivescovo di Genova per ben 41 anni, il cosiddetto «papa mancato» secondo l’indimenticabile definizione del vaticanista Benny Lai. Oltre a Piacenza, poco più di un anno fa dato come antagonista di Bertone alla segreteria di Stato e ora ridimensionato nel ruolo di penitenziere maggiore, ha espunto dalla Congregazione il presidente Angelo Bagnasco, attuale presidente della Cei, a vantaggio del vicepresidente Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, considerato l’astro nascente della Chiesa italiana e nel cuore del nuovo papa.
Dal momento in cui è arrivato, Bergoglio non ha perso occasione per assestare qualche colpo alla vecchia curia. In occasione degli auguri natalizi, se non sono mancati gli apprezzamenti per il lavoro di molte persone, vi sono stati altrettanti richiami. Basta dunque, recita il Leitmotiv di Francesco, con le «malelingue» e le «chiacchiere» che «danneggiano la qualità delle persone, del lavoro e dell’ambiente». Chi lavora in curia, piuttosto, deve fare «obiezione di coscienza» verso la maldicenza. Il papa insiste sull’importanza della professionalità: se questa manca, «lentamente si scivola verso l’area della mediocrità». Fisiologica è apparsa la sostituzione di Bertone, e il conseguente arrivo alla testa della segreteria di Stato di un diplomatico appartenente alla scuola dei nunzi vaticani (che Bergoglio pare voler riportare in auge) come Pietro Parolin, richiamato dal Venezuela dove era stato confinato dalla gestione precedente.
Ma se i cambiamenti alla segreteria di Stato sono avvenuti in maniera tutto sommato morbida, non così quelli alla Cei, dove le resistenze nei confronti del nuovo corso sono consistenti e tutt’altro che inclini a piegarsi alla volontà del pontefice. Lo spostamento di monsignor Mariano Crociata da segretario generale della Cei a vescovo di Latina, passaggio avvenuto senza nemmeno una promozione (come invece d’uso per i suoi predecessori) e la sua sostituzione con monsignor Nunzio Galantino, chiamato da Cassano allo Jonio (Calabria), sono apparsi significativi. Il gesto verso un organismo che, almeno nei suoi vertici, non è entrato in sintonia con il nuovo pontefice. Un incidente di percorso aveva messo in luce qualche tensione. Bergoglio aveva infatti deciso inizialmente per una proroga di Crociata. Ma l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, aveva dato la notizia parlando di «conferma» dell’arcivescovo, salvo poi fare un passo indietro. In Vaticano quel titolo non è passato inosservato.
La vicenda di Crociata è apparsa un richiamo allo stesso numero uno della Cei, angelo Bagnasco, rieletto poco prima della rinuncia di Benedetto XVI per un altro quinquennio alla testa dei vescovi italiani. La sintonia dell’arcivescovo di Genova con Francesco non sembra massima. Prima della sua prolusione di fronte al parlamentino dei vescovi, il papa non ha nemmeno ricevuto, come da tradizione, il porporato. Il quale, va detto, ha limato in modo vistoso i suoi interventi sia come lunghezza (sono ora ben più brevi), sia come concetti (spariti i richiami ai cosiddetti «valori non negoziabili»: tutela della vita, libertà di educazione, famiglia basata sul vincolo del matrimonio tra uomo e donna). Bagnasco appare oggi in difficoltà. Vi sono, sulla carta, personalità che emergono, come Bassetti o il vescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, teologo nominato dal papa segretario speciale del Sinodo mondiale sulla famiglia, un incarico di primo livello.
Le mancate promozioni alla berretta cardinalizia di vescovi in sedi di grandi città, come quelle dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia e del patriarca di Venezia Francesco Moraglia, ascrivibili rispettivamente, all’ala ruiniana e a quella del cardinale Piacenza, hanno lasciato a bocca asciutta antibergogliani di varie correnti. Francesco ha anche tentato di scardinare la struttura statutaria della Cei, provando a far sì che i vescovi eleggano finalmente da sé (come accade in tutte le conferenze episcopali del mondo) il proprio presidente. Ma i monsignori hanno preferito lasciare la scelta, e dunque tutta la responsabilità, al pontefice. In alcuni, è stato detto, si osserva un «senso di spaesamento» che li porta a opporsi ai cambiamenti che Bergoglio vorrebbe imprimere al loro organismo.

5. In Italia, del resto, settori vicini al centro-destra non lesinano critiche alla guida pastorale di Francesco. L’alfiere di questa linea è Il Foglio di Giuliano Ferrara. Critiche rispettose («Amare il papa e combatterlo, combatterlo perché lo si ama. Si può», è il titolo di uno dei tanti articoli che quotidianamente il giornale dedica alla linea del pontefice argentino, letta in costante paragone con quella del suo predecessore), ma senza sconti («Ma il problema è mio, o di questo papa che ogni tanto stona?», si legge in testa a un altro pezzo). Il Foglio ha lanciato di recente una campagna di firme con una lettera al papa: «Tutti uniti per chiedere in modo deferente al Santo Padre Francesco di reagire affinché la Chiesa cattolica non ceda al ricatto sempre più forte delle avanguardie fanatizzate del mondo laicizzato».
Posizioni critiche giungono anche da quotidiani come Il Giornale e Libero. Sono i capifila dei cosiddetti «devoti nemici» del papa, tra cui si trovano diversi giornalisti, come il vaticanista Vittorio Messori che sulle colonne del Corriere della Sera critica in modo aspro Bergoglio, di cui sottolinea «il ritorno a una Chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche».
Resistenze a Francesco giungono anche da ordini e congregazioni. Il caso forse più eclatante è la spaccatura all’interno dei frati francescani dell’Immacolata, noti per il loro saio turchino, commissariati dallo stesso pontefice. L’accusa al loro fondatore, padre Stefano Manelli, con il casus belli costituito dal ritorno alla messa in latino, è quella di aver favorito una svolta cripto-lefebvriana, sostenuta all’esterno da diversi siti di carattere marcatamente tradizionalista. A segretario generale dell’ordine è stato così promosso padre Alfonso Maria Bruno, personalità più duttile e aperta alla discussione. Nelle ultime righe del decreto papale si legge in modo eloquente: «Il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei frati francescani dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (vetus ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzato dalle competenti autorità».
Successivamente, in una lettera significativa inviata ai confratelli francescani, il commissario apostolico (inviato del papa) padre Fidenzio Volpi, giunto nel mezzo della sua indagine, scriveva: «Con amaro sbigottimento ho preso atto di disobbedienze e intralci alla mia azione, di atteggiamenti di sospetto e di critica verso la Chiesa che è nostra madre, fino alla calunnia. (...) Ricordo che nella lettera con cui mi presentavo all’Istituto elencavo quattro punti che il commissario apostolico doveva verificare: modalità del governo dell’Istituto, formazione religiosa ed educativa, gestione economica dello stesso Istituto e comunione tra i membri. Proprio nei confronti di essi, alcuni religiosi – tra i più anziani dell’Istituto, ma non solo – hanno sollevato difficoltà. Non si trattava semplicemente dell’opportunità dell’adozione del vetus ordo, ma anche di uno stile di governo, di formazione incipiente e permanente, di economia ed amministrazione non conformi in tutto alle direttive e alla dottrina della Chiesa». Fino alla formulazione della seguente frase: «Ho concluso che l’Istituto era diventato il campo di battaglia per una lotta tra correnti curiali e soprattutto opposizioni al nuovo pontificato di papa Francesco».