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 2014  marzo 12 Mercoledì calendario

COME PENSA E COME OPERA IL PAPA GESUITA


[Antonio Spadaro, direttore di La Civiltà Cattolica]

LIMES In che modo i gesuiti pensano il mondo e la Chiesa?
SPADARO Il nostro modo di procedere non si basa su concetti astratti o su una progettualità da laboratorio, ma su un rapporto diretto con la realtà, a partire dall’esperienza. Il nostro sguardo di fede cerca di comprendere e contemplare come Dio opera e agisce nella realtà. Sant’Ignazio usava il termine «lavora». Dio è un lavoratore. Annunciare il Vangelo significa per noi dunque sapere di arrivare sempre in un terreno nel quale Dio è arrivato per primo: noi lo seguiamo. La stessa espressione «compagno di Gesù» nasce dall’idea di essere sempre in «compagnia» del Signore. Il nostro primo compito dunque è «cercare e trovare Dio in tutte le cose».
Il modo di agire dei gesuiti è caratterizzato dal «discernimento», cioè dal comprendere da quale spirito, buono o cattivo, siamo mossi nel nostro agire e desiderare. Ma anche riconoscere come e dove Dio si muove nel mondo, anche nelle culture, negli eventi. Il gesuita vuole rendere testimonianza alla creatività dello Spirito che è all’opera ovunque, e quindi capire come proseguirà la sua opera. Noi non scegliamo mai o Dio o il mondo, ma sempre Dio nel mondo. Il primo passo dunque consiste sempre nell’aprire gli occhi sulla realtà e nell’affrontarla, senza partire con un’idea a priori da applicare come una gabbia o come un adesivo.
LIMES Può fare un esempio?
SPADARO Nel colloquio con gli istituti religiosi dello scorso novembre, il papa ha riferito alcune sue esperienze vissute a Buenos Aires, sottolineando la difficoltà di annunciare Cristo a una generazione di ragazzi che crescono spesso in contesti familiari difficili persino da comprendere. Ha fatto due esempi: i figli di genitori separati e i figli di una coppia di persone dello stesso sesso. Quest’ultimo esempio ha suscitato clamore. Ma la cosa veramente importante è comprendere come il pontefice non si riferisca mai a concetti astratti ne faccia appello esclusivamente a principi. Fornisce esempi concreti del problema di cui parla perché ha gli occhi aperti sulla realtà concreta, quindi nomina quel che vede e le sfide che percepisce. Ecco, questo modo di agire per i gesuiti è ordinario. Osserviamo la realtà che abbiamo di fronte, la nominiamo e cerchiamo di capire come il Signore si sta muovendo e come dobbiamo muoverci noi. Il papa insiste su questo punto: il Signore è all’opera nel mondo, arriva prima di noi. Non siamo noi che portiamo il Vangelo con un atteggiamento trionfale: Dio ci precede, quindi a noi spetta capire come il Signore si sta muovendo. Questo spesso richiede di aprire gli occhi sugli angoli più impensabili del mondo e della società. Dopo aver riconosciuto l’azione di Dio dobbiamo agire e collaborare con Lui. È un’idea di missione molto particolare.
LIMES I gesuiti quindi partono dal principio di realtà.
SPADARO Esatto. Anzi, il nostro approccio si basa su una certa simpatia iniziale nei confronti della realtà umana, per quanto problematica e difficile. Questa si è trasformata nella storia in curiosità, impegno ad apprendere lingue e costumi, a dialogare con chiunque. I nostri missionari avevano questo stile, che a volte è stato persino frainteso.
LIMES Perché?
SPADARO È il principio dell’incarnazione. Nel momento in cui Cristo s’incarna, abbraccia la natura umana così com’è, la nostra storia. Ma c’è un altro principio importante, quello per cui lo Spirito Santo è attivo nel mondo. Il Signore non si è dimenticato del mondo ma è presente in esso: a volte bisogna affinare lo sguardo per riconoscerlo, altre volte invece non riusciamo a vederlo perché usiamo delle categorie mentali che non ci permettono di riconoscerlo presente nella realtà che abbiamo di fronte.
LIMES Come procede il modo di ragionare del gesuita?
SPADARO È un ragionare che non lascia da parte l’affettività spirituale. Attraverso il metodo spirituale delle desolazioni e delle consolazioni ulteriori cerchiamo di capire gli effetti che la nostra azione ha innescato e che cosa ci lascia dentro il nostro agire. Questo avviene nella preghiera, il luogo nel quale il nostro «ragionamento spirituale», diciamo così, prende forma. Possiamo dire dunque che noi partiamo sempre dal contesto e dall’esperienza. Da quest’ultima si sviluppa la riflessione e la meditazione che ci porta poi ad agire. Deve poi sempre seguire la valutazione della nostra azione. Questo processo può essere vissuto sia a livello personale sia a livello comunitario, nel quale il confronto con gli altri diventa fondamentale.
LIMES Che ricadute concrete ha questa missione fondata sul discernimento più che sulla conquista e sul proselitismo?
SPADARO Il processo decisionale della Compagnia è molto diversificato, anche perché abbiamo svariate divisioni territoriali: ci sono le province (Italia, Francia, Spagna, eccetera), poi a un livello più alto le assistenze (Europa meridionale, Stati Uniti, Asia del Pacifico e così via), fino ad arrivare al padre generale. Il tratto saliente è che per ogni scelta ci consultiamo molto, anche se la decisione è poi presa dal vertice, senza deliberazioni per così dire democratiche, cioè prese a maggioranza. Il nostro metodo presenta un duplice vantaggio: da un lato, la consultazione è ampia e libera, senza remore o filtri perché si sa che la decisione verrà presa dal vertice; dall’altro si vive dinamismo e flessibilità perché non ci sono equilibri politici da rispettare o maggioranze alle quali attenersi, anche perché in genere esse rappresenterebbero tendenzialmente la difesa dello status quo. Il padre generale, poi, ha un’autorità immediata e diretta sulla Compagnia e per questo le province in cui l’ordine è suddiviso hanno un valore più che altro amministrativo. Il nostro ordine nasce al servizio del papa non perché rappresenta l’autorità massima in astratto, ma direi per un motivo pratico: il papa per il suo ministero specifico ha la visione più ampia e universale possibile della Chiesa, dunque sa dove c’è più bisogno e lì può inviarci.
LIMES Cosa succede quando un provinciale diventa vescovo – vedi Bergoglio?
SPADARO Questa per noi è una cosa eccezionale. Facciamo voto esplicito di rinunziare alle cariche ecclesiastiche, in particolare all’episcopato perché implica la stabilità, mentre nei nostri geni c’è la mobilità, per poter andare dove c’è bisogno. Il nostro carisma specifico, più che la custodia di un gregge già costituito, è la missione. La Chiesa da sempre ci manda lì dove le pecore sono fuori dall’ovile. Colpisce però che una volta papa Francesco abbia detto che forse oggi nell’ovile è rimasta una pecora e le altre 99 sono fuori. Per questo la sua è una visione radicalmente missionaria della Chiesa. Il vescovo, comunque, per il suo ministero, è pensato come stabile.
LIMES Eppure abbiamo avuto e abbiamo grandi vescovi gesuiti, come Martini.
SPADARO Ma sono pochi.
LIMES Il voto comunque non è obbligatorio.
SPADARO Il voto vincola la persona che lo fa. Semmai è vero che l’obbedienza al papa supera qualunque tipo di obiezione. Dunque se il papa lo decide prevale questa sua decisione sul voto. Esistono alcuni vescovi gesuiti in missione ma si tratta di casi particolari, in luoghi in cui ci sono pochi preti o dove bisogna impiantare la Chiesa. Però resta interessante la visione della Chiesa che vive fuori dall’ovile. È una visione ancora da approfondire meglio, forse persino da capire.
LIMES Come si applica il processo del discernimento a Bergoglio?
SPADARO I due pilastri del suo processo decisionale sono la preghiera e la consultazione. Molti mi chiedono: «Qual è il progetto del papa?». Sembrerà un paradosso, ma penso non lo sappia nemmeno lui. Mi spiego: il pontefice non è uno che applica alla realtà le sue idee astratte. Il suo è un pensiero che si sviluppa a confronto con la realtà stessa: osserva, medita, prega, agisce, riflette su ciò che ha fatto e sulle conseguenze, dialoga. Questo modo di procedere fa essere ben consapevoli di quale sia il punto di partenza ma non fa vedere il punto di arrivo, perché vi si giunge solo con il cammino. Il processo è veramente tale. Quanto alla consultazione: il papa vive a Santa Marta proprio per potersi muovere con più libertà nel rapporto con le persone. L’appartamento pontificio nel Palazzo apostolico non è affatto ricco, ma il papa lo sente come un imbuto in cui l’interazione con le persone rischia di essere limitata. Bergoglio senza una vita di comunità o comunque di relazione non riesce a stare. Preghiera e consultazione sono fondamentali per il suo discernimento in ordine all’azione. Poi aggiungo che nell’intervista pubblicata nel settembre scorso su Civiltà Cattolica ho chiesto al papa – usando un’espressione gesuitica – se nel prendere le decisioni impieghi il «terzo tempo». Ho voluto fare una domanda provocatoria. E lui ha subito reagito rispondendo: «No, il secondo tempo». Ne ero certo.
LIMES Qual è la differenza?
SPADARO Il «terzo tempo» è un tempo tranquillo in cui si bilanciano i pro e i contro, in cui non si è agitati e si possono ponderare razionalmente le decisioni. Il «secondo tempo» invece si fonda sulla preghiera e sul dialogo con Dio, sul discernimento delle mozioni che ci spingono ad agire: se vengono dallo spirito buono o da quello cattivo. Difficile, credo, da comprendere fuori da una visione di fede. Agendo, il papa verifica come la decisione presa lo lascia spiritualmente. Se avverte una pace profonda che nasce e rimane stabile e profonda, sente che la decisione è frutto dello Spirito. Se sente magari una grande effervescenza iniziale, un certo entusiasmo seguito però dal vuoto o dall’inquietudine, allora capisce che qualcosa non va. Questo si comprende solo con il dialogo interiore di coscienza tra la persona e Dio. In realtà, mi ha spiegato meglio, a volte la decisione nasce solo dal bilanciamento delle ragioni pro e contro, ma poi sente il bisogno di soffermarsi e di valutare quella decisione alla luce delle consolazioni e delle desolazioni spirituali. Il «terzo tempo» è un monologo interiore, il «secondo tempo» è un dialogo.
LIMES Quest’approccio è riconoscibile. Però Bergoglio, appena eletto, è entrato da subito in medias res, come se negli otto anni passati tra il conclave del 2005 – in cui secondo la ricostruzione di Limes ricevette più di quaranta voti – e quello del 2013 si fosse preparato interiormente.
SPADARO Non lo posso escludere, ma di certo quel 13 marzo si è comunque preso un po’ di tempo per riflettere e pregare prima di accettare la votazione del conclave. È secondo me in questo lasso di tempo che è avvenuto lo scatto che gli ha poi permesso di fare quella sua entrata in scena così prorompente. Io penso che non si possa mai essere pronti al pontificato. Nell’intervista mi ha anche detto che si accorse che la scelta sarebbe potuta seriamente cadere su di lui già a pranzo di quel giorno. Quindi ha avuto un po’ di tempo per prepararsi. In quel pranzo del 13 marzo, mi ha detto il papa, ha avvertito una profonda consolazione inferiore, una profonda pace che non lo ha mai lasciato, insieme a un buio totale su tutto il resto, su ciò che sarebbe stato.
LIMES Eppure i cardinali hanno espresso una certa continuità nella votazione.
SPADARO Vero, ma si potrebbe anche ragionare al contrario. Dando per vera quella ricostruzione, Bergoglio era già stato votato, appunto. Strano pensare che i cardinali avrebbero votato il non eletto del conclave precedente. Poi era un uomo di 76 anni: si attendeva un papa più giovane d’età. Ed erano passati otto anni... La cosa personalmente non mi convince. Tra il 2005 e il 2013 c’è un salto molto grande. Succedere a Giovanni Paolo II e succedere a Benedetto XVI sono due cose completamente diverse.
LIMES Quali fra i grandi teologi gesuiti ha più influenzato Bergoglio?
SPADARO Henri de Lubac e Michel de Certeau. Il che è molto singolare. Sebbene il secondo fosse entrato in Compagnia per ammirazione del primo, i due finirono per entrare in conflitto e per assumere posizioni divergenti. Mi ha colpito il fatto che il papa li abbia citati insieme: dimostra che per lui le differenze di pensiero non sono un problema.
LIMES Bergoglio sembra molto influenzato dalla cultura francese, specie nel campo della psicologia, della sociologia...
SPADARO ... e della letteratura. Sì, ma non solo. Una figura determinante nel suo pensiero è Romano Guardini, in particolare per il suo apprezzamento per le opposizioni e le polarità. Mi ha citato anche von Balthasar: è interessante perché in questo pensatore l’estetica e la drammatica precedono la logica. Secondo me il fil rouge di tutti i suoi riferimenti si rintraccia nel principio della realtà che supera l’idea. D’altronde nel cinema ama il neorealismo. In letteratura è colpito dal tragico, da Dostoevskij ad esempio. Poi insiste molto su Virgilio: in fondo Enea, il plus per eccellenza, è una figura simile ad Abramo, che va in periferia, e quella periferia diventerà poi il centro del mondo, Roma.
LIMES Bergoglio appartiene al filone della teologia del popolo. Si tratta di una variante della teologia della liberazione o viceversa?
SPADARO Abbiamo bisogno di conoscere meglio la teologia latinoamericana. Mi dico spesso che, se Dio ha scelto come pontefice un uomo che viene dall’America Latina, questo vuol dire qualcosa anche a livello di riflessione teologica e di stile di pensiero. Tuttavia, parlando con giovani preti formatisi alla scuola bergogliana, emerge che il criterio fondamentale della sua teologia è che il Vangelo s’interpreta col Vangelo, non ci sono ideologie che facciano da ermeneutica del Vangelo. La teologia della liberazione è uno dei grandi contribuiti dell’America Latina alla cultura universale. Ma chi ha studiato queste correnti teologiche avverte una certa distanza tra la teologia del popolo e quella della liberazione: quest’ultima, almeno in alcuni esiti, è sembrata un modo di filtrare il Vangelo alla luce di un’ideologia, non di una realtà vissuta, mentre la teologia del popolo è sempre molto radicata in un vissuto popolare. La differenza tra la teologia della liberazione e quella del popolo è che nella seconda non sono mai state utilizzate né la metodologia marxista dell’analisi della realtà né categorie prese dal marxismo. E poi il Cono Sud, dove si è sviluppata la teologia del popolo, rientra nel mondo occidentale, ma presenta un meticciato culturale con diverse varianti. Il che richiede una prospettiva specifica.
LIMES Centrata sulla saggezza del popolo?
SPADARO Direi di sì. Si parla del popolo come soggetto storico-culturale e della pietà popolare come di una forma inculturata di fede cristiana cattolica nel popolo argentino e latinoamericano. È una linea che privilegia più l’analisi storico-culturale che quella socio-strutturale. La pietà popolare è riconosciuta come portatrice di un senso teologico, di un vissuto del cristianesimo incarnato in un popolo preciso, portatore di valori fondamentali da riscoprire a partire proprio dalla pietà. La teologia del popolo è una teologia di cui il popolo stesso è attore, e che il teologo riconosce ed esplicita. Uno dei testi più significativi della storia della Chiesa argentina fu il documento di San Miguel del 1969, in cui si parlava di pastorale popolare pensata non solo «per» il popolo, ma «a partire dal» popolo.
LIMES Qui però interviene un fattore geopolitico. La teologia del popolo ha una sua origine storicamente e geograficamente ben definita. A Roma non c’è mai stato grande interesse per questo approccio. Eppure ora un teologo del popolo è diventato vescovo di Roma.
SPADARO Quando si parla di Chiesa non si deve pensare solamente a Roma. L’elezione di papa Francesco ha reso ancora più evidente la necessità di prestare attenzione a un mondo di Chiese giovani che crescono – specie in Asia – e che danno sempre più linfa alla Chiesa, ma allo stesso tempo facendosi portatrici perfino di logiche diverse dalle nostre. Per spiegare Bergoglio ai lettori di Civilità Cattolica mi sto confrontando con persone che hanno studiato con lui e che con lui si sono formate: leggo i loro scritti e ne resto galvanizzato, ma mi rendo conto che queste persone ragionano in modo diverso dal mio. Parlo proprio di stile e di forma di pensiero o anche di argomentazione.
LIMES Per usare un eufemismo, una parte della Chiesa non ama Bergoglio. La spiegazione sta forse nella difficoltà di entrare nel suo modo di pensare?
SPADARO Riscontro questo scoglio anche in persone che potenzialmente potrebbero essere in sintonia con il papa. Non è un problema di contenuti ma di svolgimento del pensiero. Quello di Bergoglio è un pensiero a spirale, non lineare ma nemmeno circolare. Si fonda qui, credo, il principio dell’incompletezza del pensiero. Quando il papa mi ha detto nell’intervista – ripetendolo successivamente in altri contesti – che il gesuita è un uomo dal «pensiero incompleto», vuol dire che non è finito in se stesso, proprio come la spirale, che non termina mai e si sviluppa verso l’alto.
LIMES Cosa intende Bergoglio quando parla di una Chiesa «povera», non «dei poveri» come diceva Giovanni XXIII?
SPADARO Si riferisce a un criterio spirituale, credo. La povertà gesuitica non è solo mancanza di beni, anzi. Ignazio chiede l’indifferenza sull’essere povero o ricco. Quando Matteo Ricci va in Cina, per parlare con l’imperatore deve per forza di cose vestirsi d’oro, ma allo stesso tempo sa che quell’abito lo toglierà subito dopo: è un mezzo. La Chiesa povera significa una Chiesa povera di se stessa, rivestita di Cristo. Che poi metta un vestito piuttosto che un altro dipende dalle circostanze. Ma chiaramente, se è povera di sé, deve essere libera anche dalle ricchezze. Il papa sta parlando di una Chiesa libera e non prigioniera della mondanità spirituale e delle sue logiche che facilmente si infiltrano dentro il suo modo di pensare e di vivere.
LIMES Questo ci porta al rapporto con la Chiesa. Nella sua denuncia contro il peccato del clericalismo e nei suoi continui appelli diretti al popolo, Bergoglio palesa la difficoltà di rapportarsi con le gerarchie ecclesiastiche, italiane ma non solo. È più un prete che un vescovo?
SPADARO Fare un ragionamento del genere significa prendere la nostra immagine di gerarchia – e per nostra intendo anche mia – proiettarla su Bergoglio e vedere che le due non combaciano. Ma questo procedimento è sbagliato. Una delle cose che più mi appassionano di quest’uomo è che mette in crisi. Mi mette in crisi. Varie volte mi chiedo perché stia agendo in un certo modo. Poi riflettendo e confrontandomi con persone a lui vicine, improvvisamente viene l’illuminazione. E mi accorgo di essere tanto stupido e incrostato da non riuscire a vedere le sue motivazioni. Faccio un esempio. Se un ecclesiastico che ha una posizione di rilievo finisce il suo incarico va da sé, per il modo ordinario di pensare, che debba «salire» di grado. È la logica del mondo. Se questo non avviene si pensa subito a una punizione. Ma questa non è una logica evangelica dove il servizio è veramente tale. Per il papa questa logica di promozione/ punizione non esiste. Poi bisogna intendersi su cosa si intenda per promozione. L’unico criterio valido è quello di nomine davvero funzionali al vissuto del corpo ecclesiale. Del resto, questa è anche la tipica dinamica che viviamo noi come gesuiti, come molti altri religiosi: se un superiore provinciale finisce l’incarico, semplicemente va dove c’è bisogno, torna a essere uno degli altri. Per esempio, il nostro ex generale, padre Kolvenbach, che ha ricoperto la massima carica dell’Ordine, adesso è un padre della comunità di Beirut, sotto un superiore come tutti gli altri padri. Nelle sue nomine papa Francesco sembra sostanzialmente seguire questa regola.
LIMES A Bergoglio sembra interessare poco il modo in cui le sue azioni vengono percepite.
SPADARO Poco? Nulla! Non vuole mandare messaggi, vuole fare le cose che devono essere fatte. Non compie azioni perché la gente «capisca» qualcosa: interpretarlo in questo modo significherebbe applicare ancora una volta le nostre categorie mondane. Per Bergoglio, il valore fondamentale è quello della testimonianza: le cose da fare si fanno. Sono quelle poi a comunicare un messaggio.
LIMES Tuttavia, le gerarchie ecclesiastiche colgono dei messaggi. In una logica curiale, con un papa anziano, la nomina di un segretario di Stato relativamente giovane implica che quest’ultimo potrebbe essere il prossimo successore di Pietro.
SPADARO Ma non è la logica di Bergoglio. Questa dinamica politica non mi sembra che sia quella propria del papa.
LIMES Eppure una parte della Chiesa la vede in questi termini. Ed è una parte importante nel determinare le equazioni di potere interne. Che rapporto ha il papa con la Chiesa come istituzione?
SPADARO È un rapporto libero, non legato alle codificazioni. Per Bergoglio ciò che conta non sono le gerarchie intese in senso burocratico ma intese nel loro significato di servizio alla Chiesa. Poi la Chiesa è pur sempre un corpo incarnato e il papa si rende perfettamente conto dell’importanza delle relazioni interne. Ma non ha un approccio di tipo burocratico. Nella visione di papa Francesco esiste una tensione dialettica intraecclesiale tra Spirito e istituzione: l’uno non nega mai l’altra, ma il primo deve animare la seconda in maniera efficace, incisiva. In modo da contrastare l’«introversione ecclesiale», come l’aveva definita Giovanni Paolo II, che resta sempre una grande tentazione. Nell’Evangelii gaudium papa Francesco ha scritto chiaramente di non volere una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Più avanti scrive che la Chiesa è un popolo pellegrino che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale. Del resto la parola «istituzione» per Bergoglio ha un valore peculiare, molto più legato al termine «istituto» per come lo intende la Compagnia di Gesù. Quando parla di istituto intende più il carisma che la struttura, insomma.
LIMES È sbagliato dire che questo è un papa rivoluzionario, non un riformatore della Chiesa?
SPADARO Innanzitutto, questo non è un papa rivoluzionario nel senso ordinario del termine. Bergoglio è rivoluzionario nella misura in cui è evangelico: per lui la rivoluzione più grande è il Vangelo. Per rivoluzionario il senso comune indica qualcos’altro.
LIMES Tuttavia, fare una rivoluzione vuoi dire compiere un percorso di 360 gradi.
SPADARO Allora, siccome il Vangelo per un credente è una rivoluzione permanente, si può dire che Bergoglio è rivoluzionario.
LIMES Martini diceva che la Chiesa è indietro di 200 anni. Questo è un modo di ragionare da riformatore, ma non appartiene a questo papa.
SPADARO No, infatti. Ma io ho interpretato quell’espressione di Martini come un’indicazione di percorso, non come una semplice polemica o una mesta dichiarazione di sconfitta. Per noi gesuiti la riforma è proprio l’obiettivo degli esercizi spirituali e il frutto del discernimento che ho spiegato prima. Così è per Bergoglio. Ciò che mi sento di dire è che papa Francesco non ha un progetto di riforma fatto e finito, costruito in laboratorio, pronto per essere applicato. Ho insistito molto perché il titolo di un mio libro fosse Il disegno di papa Francesco e non Il progetto di papa Francesco. E anche nelle traduzioni ho insistito per alternative che sono state ora «sogno» ora «proposta». Ma non «progetto». Bergoglio non è l’architetto che ha un progetto prêt-à-porter. Per Bergoglio la riforma è un processo del quale non si conoscono gli esiti a priori. Non sa neanche lui dove vuole arrivare, perché vuole arrivare dove il Signore vuole che la Chiesa arrivi.
LIMES Alcuni dicono invece che Bergoglio sia conservatore.
SPADARO Così lo si riteneva, anche all’interno della stessa Compagnia. Una visione secondo me molto povera, alimentata dal fatto che di Bergoglio giungeva un’eco lontana e che lui era sconosciuto ai più. In ogni caso, la leggenda nera di Bergoglio si fonda su alcuni suoi atteggiamenti bruschi e decisionisti vissuti da provinciale e che nell’intervista ha riconosciuto errati.
LIMES Quando fu eletto, lo Spiegel titolò: «Il reazionario».
SPADARO In realtà Bergoglio ha fatto saltare le categorie di liberale e conservatore, di progressista e reazionario. Leggendo, studiando e interpretando alcuni suoi vecchi scritti mi sono reso conto della profondità e dell’originalità del suo pensiero. Non è certo un liberale e non è certo un conservatore. È altro.
LIMES Quanto è diventato francescano Bergoglio?
SPADARO C’è un francescanesimo di base nella Compagnia di Gesù cui il papa attinge a piene mani e che risiede nella povertà, incisa nel carisma gesuitico sin dalle origini. Non dimentichiamoci che Ignazio cambia vita leggendo cosa aveva fatto San Francesco e desiderando imitarlo. Ignazio stesso chiese ai professi di fare un voto per aumentare invece di allargare la povertà, in caso ci fossero stati dei cambiamenti nelle regole. Ma il francescanesimo di Bergoglio possiede anche una dimensione originale. Nei suoi scritti usa di frequente la metafora della ricostruzione, della Chiesa a rischio di crollo, della Chiesa che va riparata. Nella sua breve omelia della messa con i cardinali nella Cappella Sistina il giorno dopo la sua elezione, aveva usato l’immagine dei castelli di sabbia che vengono giù facilmente. In passato aveva parlato di muri deboli che dopo poco tempo crollano. Ci vedo un chiaro rimando all’appello di Cristo a san Francesco: «Va’ e ripara la mia Chiesa che, come vedi, è tutta in rovina».
LIMES Un’altra metafora potente è quella della Chiesa come ospedale da campo.
SPADARO Questa è ancor più estrema e fa capo alle metafore sanitarie che Bergoglio impiega moltissimo. Parla spesso ad esempio della necessità per la Chiesa di curare le ferite. Tutto questo ha una radice biografica. Nella sua giovinezza, Bergoglio è stato affetto da una grave malattia respiratoria. Nella mia intervista ha raccontato della suora che gli ha salvato la vita triplicando le dosi della medicina che doveva assumere. Insomma, ha provato un estremo bisogno di cura. Ricorda che in un momento di febbre alta abbracciò la mamma urlando: «Dimmi che cosa mi sta succedendo!». Immagino che cosa possa significare per un giovane sentirsi mancare il respiro, aver bisogno di cure immediate, di sollievo. Credo che questo abbia segnato in qualche modo la grande e profonda sensibilità umana e spirituale di papa Francesco, ma anche la sua visione della Chiesa e la sua affettività, dando loro connotazioni molto corporee. E ora si fa interprete di questa necessità fisica di risanamento: quando è in mezzo alla gente sente il bisogno di toccarla, quando è circondato dai malati vuole a tutti i costi abbracciarli.

Marco Ansaldo; Lucio Caracciolo; Federico Petroni